Punto di vista

E se scomparissero le api?


La cause che stanno portando alla moria di questi insetti

“Se le api scomparissero dalla terra, per l’uomo non resterebbero che 4 anni di vita”: è una famosa frase, per molto tempo attribuita ad Albert Einstein. In realtà pare che il famoso scienziato non l’abbia mai pronunciata, ma poco importa, ciò che conta è il suo contenuto, purtroppo verosimile. Le api sono fondamentali per l’ambiente e anche per l’uomo, perché non ci procurano soltanto il miele: secondo la FAO sono impollinatori di 71 sulle 100 specie vegetali da cui traiamo la maggior parte dei nostri prodotti alimentari, come frutta, verdura, cereali. Quindi, le piante hanno bisogno delle api per sopravvivere, ma allo stesso modo questi insetti necessitano di una natura il possibile intatta; qualcosa che negli ultimi anni stiamo sottraendo loro, via via sempre di più.

Un paio di anni fa vi avevo proposto qui su Ecocentrica un post dedicato al miele italiano: già allora la produzione era in crisi, il 2016 si era rivelato (fino ad allora) l’anno peggiore per il raccolto, con una perdita di 400 tonnellate di miele d’acacia rispetto al 2015. Ho consultato il Report sulla produzione di miele del 2018, realizzato con i dati dell’Osservatorio del Miele, e ho scoperto che anche quello appena concluso non si può certo definire un bell’anno per gli apicoltori, con un continuo calo produttivo.

Foto: www.checucino.it

La conferma mi è arrivata di recente, quando ho conosciuto Debora Rizzetto, vincitrice del premio Terre de Femmes della Fondazione Yves Rocher (ricordate? Il concorso annuale che premia le donne impegnate nella tutela dell’ambiente). Debora è apicoltrice presso la Tenuta “Il Ritiro”, azienda gestita da un team di esperti che si occupa di allevamento e riproduzione di api regine, oltre che naturalmente di produzione di miele, che avviene con metodo biologico (l’apicoltura è certificata ICEA); mi ha raccontato cose alquanto sconcertanti. È pur vero che della moria di api, soprattutto gli Apoidei selvatici, si sente parlare spesso, eppure è riuscita lo stesso a sorprendermi: mi ha rivelato che è stato perso il 50% del patrimonio apistico a livello mondiale. Lei parla da apicoltrice, quindi mi ha spiegato aspetti e problematiche di cui sui giornali non viene mai fatto cenno: sono ormai costretti a un’apicoltura “nomade”, ovvero a spostare di continuo gli alveari, per evitare che le api entrino in contatto con i trattamenti chimici che vengono periodicamente svolti sui terreni agricoli. Insomma, il paradosso è che oggi sono gli apicoltori che permettono a questi preziosi insetti di sopravvivere. è vero che spostare api e alveari, ad esempio dalla pianura all’Appennino, fa parte della tradizione per inseguire la fioritura a seconda delle stagioni, ma ora va fatto molto più di frequente, tra il nord e il centro Italia, con uno stress enorme per le api: quindi questa non può essere una soluzione a lungo termine.

“SINDROME DELLO SPOPOLAMENTO DEGLI ALVEARI”

Foto: www.meteoweb.eu

Con questa espressione ci si riferisce al fenomeno per cui le colonie di api vengono perse, anche in tempi molto brevi. Negli Stati Uniti si è iniziata ad osservare alla fine degli anni ’70 una drastica riduzione delle specie selvatiche (che ormai sono quasi estinte), seguita da una moria di quelle allevate; poco più tardi lo stesso è avvenuto in Europa e poi in Italia, negli anni ’90.

Ma le cause che stanno portando alla moria delle api negli alveari sono le stesse che hanno colpito quelle selvatiche? Per avere più chiaro il quadro della situazione, ho intervistato un esperto, il Dott. Claudio Porrini, entomologo e ricercatore del Dipartimento di Agraria presso l’Università di Bologna. Mi ha spiegato che nella maggior parte dei casi sono le stesse: «Negli allevamenti c’è anche il problema delle malattie, soprattutto in quelli di tipo intensivo, perché le api sono concentrate in ambienti ristretti e quindi le patologie si diffondono velocemente. Ma in generale, alla base della moria di api ci sono ad esempio gli effetti dei cambiamenti climatici (come aumento delle temperature e fenomeni metereologici estremi), ma anche il degrado ambientale. Per via di cementificazioni e monocolture, con conseguente perdita di biodiversità, le api, comprese quelle da miele, non possono più nutrirsi da sole perché non trovano più nettare e pollini a sufficienza; le api non possono impollinare tutto, alcune sono legate a una pianta specifica e senza non possono sopravvivere.» Ma soprattutto, il nemico numero 1, è l’inquinamento dato dai pesticidi. «Tra gli agrofarmaci vanno segnalati in particolare alcuni neonicotinoidi: oltre ad essere potenzialmente letali, a dosi inferiori sono comunque nocivi perché provocano alterazioni nel comportamento e nell’orientamento delle api, oltre che nelle attività sociali (quindi anche la riproduzione).»

Come mi aveva spiegato anche Giancarlo Naldi, allora Presidente dell’Osservatorio Nazionale Miele, in Italia abbiamo un patrimonio apistico unico al mondo grazie alle caratteristiche geografiche e climatiche della penisola: produciamo più di 30 varietà di monoflora e un numero infinito di millefiori. E me lo conferma anche il Dott. Porrini: «In Italia avremmo almeno un migliaio di specie diverse di api, però questa nostra biodiversità sta man mano scemando. Alla fine degli anni ’90 ho partecipato a una lunga indagine, durata 4 anni, che ha coinvolto diverse università italiane: sono state individuate appena poco più di un terzo delle specie che avrebbero dovuto essere presenti.»

MORIA DELLE API: QUALI SOLUZIONI?

Foto: ecodellalunigiana.it

I pesticidi “incriminati” sono clothianidin, imidacloprid e thiamethoxam; nonostante anche gli studi dell’ESFA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) abbiano stabilito che rappresentano un rischio per le api mellifere e per quelle selvatiche, l’Unione Europea non li ha ancora vietati. Come spiega il Dott. Porrini su un articolo pubblicato su ArpaRivista, «I prodotti insetticidi sotto accusa sono solo una delle ragioni di mortalità delle api. Con la loro sospensione non si risolveranno tutti i problemi dei danni alle api ma sicuramente si agirà su una delle cause (…); tra l’altro, lunghi studi condotti in Italia ne indicano la sostanziale inutilità (Furlan et al., 2007). Sono convinto infatti che quando si è individuato un colpevole per un delitto, normalmente lo si ferma e non si aspetta di scoprire anche i complici, che comunque vanno perseguiti.»

Durante l’intervista, l’entomologo ha poi aggiunto: «Alcuni di questi pesticidi sono inutili, altri servono solo alle monocolture che comunque sono dannose perché causano la distruzione di siepi e boschi, importanti per gli insetti; l’ideale sarebbe trovare dei prodotti alternativi. Nel frattempo basterebbe una maggior collaborazione con gli agricoltori: che stabiliscano un orario preciso in cui effettuare i trattamenti, oppure che trovino un modo per avvisare per tempo gli apicoltori. L’apicoltura nomade comunque non è una soluzione: non si possono cercare di continuo delle aree rifugio, bisogna preoccuparsi di salvaguardare l’ambiente a monte. Il problema è che per noi è una questione culturale, abbiamo poca coscienza ambientale.»

Per concludere, vorrei dirvi cos’ho scoperto leggendo il sito che Greenpeace ha dedicato a questo problema, salviamoleapi.org: per sopperire alla mancanza di api, è stata inventata l’impollinazione artificiale, ovvero delle tecniche (manuali o meccaniche) adoperate dagli agricoltori. Però, scrive l’associazione, “L’impollinazione artificiale è una pratica faticosa, lenta e costosa. Il valore di questo servizio, offerto gratis dalle api di tutto il mondo, è stato stimato in circa 265 miliardi di euro all’anno.”
Avremo sicuramente poca coscienza ambientale, ma anche poca furbizia…

 

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