Punto di vista

Inquiniamo anche da morti. Come ridurre l’impatto ambientale dei funerali


Tutti i principali riti funebri hanno un notevole impatto sull’ambiente, inquinando e consumando suolo. Esistono però alternative green.

Nel corso della nostra vita consumiamo un’innumerevole quantità di prodotti e siamo responsabili dell’emissione di enormi quantità di CO2, contribuendo ad inquinare il pianeta. Non smettiamo di inquinare neppure quando moriamo. I funerali e le pratiche ad essi correlate hanno infatti un elevato impatto ambientale.

In natura, quando gli animali muoiono, i nutrienti presenti nei loro corpi rientrano nel circolo della catena trofica, donando nuova vita a microrganismi, animali e piante. La nostra specie ha da tempo provato a emanciparsi dalla natura (facendo finta di non sapere che questo non è semplicemente possibile) e questo vale anche per i riti funebri. Siamo soliti infatti chiudere i defunti in bare, loculi, oppure cremarli, estraniandoli così dal ciclo naturale di cui tutti facciamo parte.

L’impatto ambientale delle sepolture 

Sono tre le tecniche prevalentemente utilizzate per i riti funebri: l’inumazione, ovvero il seppellimento del cadavere in una fossa scavata dentro la terra, la tumulazione, cioè il seppellimento in loculo, solitamente costruito in muratura, e la cremazione, pratica che prevede la riduzione del corpo a cenere e frammenti ossei tramite il fuoco.

Sia le cremazioni che le sepolture hanno un notevole impatto ambientale, che solitamente non viene considerato. È però importante esserne a conoscenza, specie in questo momento, in cui stiamo vivendo una crisi climatica senza precedenti e la coscienza ambientale dell’opinione pubblica, a lungo sopita, si sta risvegliando. Possiamo contribuire a ridurre la nostra impronta ecologica tanto da vivi quanto da morti. Cerchiamo ora di capire effettivamente come e quanto inquinino i funerali.

Inquinamento e disboscamento

Soltanto in Italia ogni anno, secondo quanto sostiene la startup italiana Capsula Mundi, si abbattono 50 chilometri quadrati di bosco per ricavare il legno necessario per costruire le bare tradizionali. Le bare inoltre, oltre alle emissioni di carbonio associate al processo di fabbricazione, una volta interrate iniziano ad inquinare il suolo e le falde con sostanze tossiche di cui sono composte, come zinco e vernici.

Anche alla cremazione, in particolare in Asia, è associato un massiccio abbattimento di alberi. Ne vengono abbattuti milioni per realizzare le pire funerarie, questa pratica contribuisce inoltre all’inquinamento dell’aria e dei corsi d’acqua.

I cimiteri occupano infine grandi spazi e sono responsabili del consumo di suolo. Si stima che nel Regno Unito, entro venti anni, gli attuali cimiteri saranno pieni.

Sepoltura o cremazione, quale inquina di più

La cremazione, nel breve periodo, ha un impatto ambientale decisamente maggiore della sepoltura. Provoca infatti l’immissione in atmosfera di numerosi inquinanti, tra cui monossido di carbonio, cloro, mercurio e altri metalli pesanti.

Per bruciare un corpo, processo che richiede in media otto ore, serve inoltre molta energia e si traduce in milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica all’anno. Secondo una stima della Matthews Environmental Solutions, azienda specializzata nella tecnologia della combustione, negli Stati Uniti le cremazioni generano ogni anno 360mila tonnellate di emissioni di CO2.

A lungo termine la sepoltura sarebbe però più inquinante, poiché bisogna considerare anche aspetti secondari, come la manutenzione della tomba e dei prati del cimitero nel corso degli anni. Il liquido utilizzato per l’imbalsamazione rappresenta un’altra minaccia ambientale. Le sostanze chimiche che lo compongono si fanno gradualmente strada nella terra inquinando il suolo e le falde acquifere sotterranee. La sepoltura occupa inoltre suolo prezioso e sempre più scarso, mentre la cremazione lascia poche tracce.

Entrambe le tecniche, come abbiamo visto, hanno dunque un impatto sull’ambiente da non trascurare. Esistono però alternative più ecologiche, creative e, talvolta, dall’elevato valore simbolico. Scopriamone alcune.

Sepolture ecologiche

Un vestito di funghi

Jae Rhim Lee, artista in grado di unire arte, scienza e cultura, e fondatrice di Coeio, ha creato un particolare abito funebre che contiene le spore di diverse specie di funghi. I funghi, nutrendosi del corpo del defunto, contribuiranno ad accelerarne la decomposizione e, al tempo stesso, sarebbero in grado di metabolizzare le tossine presenti nel nostro corpo prima che penetrino nel terreno.

Capsula Mundi

Sviluppato da Anna Citelli e Raoul Bretzel, Capsula Mundi è un contenitore dalla forma di uovo realizzato con un materiale biodegradabile, nel quale viene posto il corpo del defunto in posizione fetale o le ceneri. L’uovo viene messo a dimora proprio come un seme e su di esso viene piantato un albero. “Il cimitero assumerà dunque un nuovo aspetto – si legge sul sito della startup italiana – non più grigie lapidi di pietra ma alberi vivi a formare un bosco, un bosco sacro. Un luogo con un particolare significato affettivo in cui andare a passeggiare e portare i bambini a riconoscere gli alberi”.

Diventare un albero con Bios Urn

Bios Urn è un’urna biodegradabile progettata “per trasformarti in un albero dopo la vita”. All’interno dell’urna, realizzata appositamente con due capsule separate, è presente un seme destinato a diventare un albero. Nel 2016 in Italia si è svolta la prima sepoltura di questo tipo.

Idrolisi alcalina, alternativa green alla cremazione

La idrolisi alcalina, così come la cremazione, mira a riportare il corpo ai suoi elementi base. Lo fa sottoponendolo a un trattamento fisico e chimico che scioglie organi e tessuti e, in un secondo momento, polverizza le ossa. Il liquido sterile privo di DNA generato da questo processo viene restituito al ciclo dell’acqua, o usato per fertilizzare i campi, mentre le ceneri ossee possono essere conservate un’urna dai parenti. Rispetto la cremazione tradizionale, l’idrolisi alcalina genera un decimo delle emissioni di CO2. Attualmente questa tecnica è in consentita in 14 stati americani e in tre province canadesi.

Andarsene con leggerezza

Siamo abituati a percepire la morte come fine, ma in natura non c’è fine, tutto è ciclico. Sebbene l’impatto della nostra morte sia infinitesimale, se paragonato a quello della nostra vita, è importante esserne consapevoli e cercare di tornare alla terra inquinando il meno possibile.

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