Punto di vista

La dura vita dell’imprenditrice agricola


Il percorso che mi ha portato alla produzione dei vini Biomar

Pochi giorni fa ho letto una notizia: l’Italia è leader in Europa nel settore dell’agricoltura, e la maggior parte delle nuove imprese sono condotte da giovani. Durante il Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, è stata presentata una recente indagine di Coldiretti, secondo cui le aziende agricole con a capo under 35 nel nostro Paese sono cresciute ancora dallo scorso anno, toccando quota 55mila.

È una curiosa controtendenza, dopo anni in cui dalle campagne si faceva il possibile per andare a vivere in città: ma non c’è niente da fare, il richiamo della terra è troppo forte. E poi, esiste una soddisfazione maggior di vedere, letteralmente, i frutti del proprio lavoro? In un mondo in cui comandano gli interessi economici, i numeri, le speculazioni, non è realizzare qualcosa di concreto e fondamentale alla vita la vera ribellione? Ed esiste qualcosa di più nobile del cibo?

Anch’io non faccio eccezione. Cresciuta nel verde, in mezzo agli animali, da piccola il mio sogno era quello di aprire una fattoria. Il primo passo verso la rinuncia però l’ho fatto quando ho realizzato che allevare animali significava, a un certo punto, sacrificarli, e non ne sarei mai stata capace.
Ma soprattutto, a volte, la vita ti porta un po’ dove vuole lei, a imboccare strade che non avresti previsto di percorrere. Come sapete, la mia professione è diventata un’altra,  e anche se è pur vero che l’ho impostata sul mio amore per la natura e la mia filosofia ambientalista, mi sono dedicata ad altro, e il sogno di coltivare la terra è rimasto in fondo a un cassetto, sepolto dall’idea che sarebbe stato troppo complicato concretizzarlo.

Poi, come ho detto, la vita ti sorprende sempre, perché a un certo punto è arrivato Massimo, il mio compagno. Ironia della sorte, lui aveva dei terreni agricoli in Sardegna, dov’è nato, e così il mio desiderio, mai dimenticato, è tornato fuori più forte di prima. Abbiamo deciso di buttarci insieme.

L’INIZIO DELL’IMPRESA

Siamo partiti con una certezza: avremmo coltivato biologico.
L’idea iniziale era quella di produrre frutta e verdura, ma, oltre alla difficoltà principale, ovvero il fatto di trovarci a fare un nuovo lavoro, di cui non sapevamo nulla, ci siamo “scontrati” con la natura del luogo, che la fa da padrone e a cui bisogna obbedire. L’ambiente di questa zona di Sardegna, a Calasetta, è molto difficile per più di un motivo: i terreni poco fertili perché sabbiosi o la costa sferzata dal vento di Maestrale. Sono condizioni estreme per l’agricoltura, per cui bisogna accettare un grosso limite: qui non è possibile coltivare qualunque cosa.
Ma oltre alla natura poco favorevole e oltre alla necessità da parte nostra di imparare un nuovo mestiere, piano piano si sono affacciati tutti gli ostacoli comuni a chi vuole fare agricoltura.

PERCHÉ È DURA LA VITA DELL’IMPRENDITORE AGRICOLO?

Da un lato, è vero, noi siamo partiti avvantaggiati perché i terreni erano proprietà di famiglia; per chi deve anche cercarli ed acquistarli, è un’impresa nell’impresa!
Di contro, però, non si prestavano e prestano a coltivazioni intensive (anche bio), né comunque si poteva o può contare su un’ampia disponibilità di superficie agricola, perché su quest’isola ci sono solo piccoli appezzamenti.

È dura la vita dei piccoli produttori, perché oggi l’agricoltura non è più come una volta, occorre essere al passo con i tempi anche in fatto di macchinari e tecnologie, e questo richiede un grosso investimento economico. I costi sono tanti, vanno dalla lavorazione dei prodotti, al trasporto, alla manodopera, soprattutto quando vuoi rispettare la legge e assumere regolarmente i dipendenti, senza sfociare nei casi di caporalato che spesso ci riporta la cronaca; e anche solo trovare persone da assumere non è così semplice, perché paradossalmente molti preferiscono lavorare in nero!
Altro incubo, la burocrazia. Quella italiana è particolarmente complessa, anche quando fai del tuo meglio non sei mai certo di essere a norma di legge, e non c’è un consulente che possa aiutarti, perché nessuno è esperto in tutti i campi: ne devi contattare (e pagare) diversi per venirne a capo.

Voi direte, tutte le imprese hanno degli investimenti iniziali, ma poi, una volta “ingranato”, rientri dei costi e inizi a guadagnare. Ecco, ammortizzare i costi non è così scontato.

Ho capito che per far tornare i conti, o si fa “bio intensivo” (biologico, sì, ma di minor qualità con maggior volumi di prodotti ottenuti), oppure se si hanno grandi superfici si sfrutta l’economia di scala, oppure si fa la vendita diretta. Per noi, nessuna di queste tre cose era possibile…

Se non fa vendita diretta, il piccolo produttore, con alta qualità ma una resa scarsa, non riesce a ripagare i costi con le vendite, perché comunque deve sottostare alle leggi di mercato, non può vendere a un prezzo più alto dei suoi competitor, nemmeno se quel prezzo è quanto gli serve per rientrare delle spese, perché non troverebbe acquirenti.
È vero, se hai economia di scala, una grande produzione, ci perdi in qualità, quella che certamente non manca al piccolo produttore; peccato che spesso per il mercato non sia un valore aggiunto, in altre parole non viene riconosciuta né giustifica agli occhi dei compratori un prezzo maggiore.

Dopo questa esperienza ho capito perché è così difficile trovare frutta e verdura buona in giro: se aggiungiamo il problema della concorrenza (sleale) dei prodotti importati dall’estero e venduti a bassi prezzi, è chiaro che fare impresa agricola sui prodotti freschi in Italia sia veramente difficile.

Quindi, se non sei un grande produttore, o non hai la possibilità di fare vendita diretta, non resta che una terza soluzione: puntare su prodotti su cui puoi fare marketing, investire in comunicazione, dare visibilità. Gli ortaggi, diciamocelo, non sono molto appetibili da questo punto vista.

IN VINO VERITAS

Ed ecco come, alla fine, siamo arrivati al vino, un prodotto che amo e per il quale, a differenza di altri, le persone sono disposte a spendere di più.
Ho scoperto il Carignano del Sulcis, un vino eccezionale che non conoscevo e che è proprio tipico di Calasetta e dell’isola di Sant’Antioco: i vigneti sono antichi, un uvaggio portato pare dai Fenici, e l’ambiente circostante, che si rivelerebbe ostile per altre coltivazioni, in questo caso contribuisce a conferirgli delle caratteristiche uniche.

Ci siamo buttati, seppure con un po’ di paura, perché mettersi a produrre vino non è una passeggiata, occorrono impegno, dedizione, pazienza, ci vogliono anni prima di vedere i risultati; però siamo contenti di aver puntato su questo prodotto, simbolo della nostra zona e probabilmente la cosa che poteva riuscirci meglio. Riguardo al vino, fortunatamente, la qualità ripaga: per ottenerla devi investire tanto, e in tanti campi, ma i consumatori, pronti a pagarti il giusto prezzo, ti permettono di mantenerla alta e sostenere la produzione.

È stato un azzardo, ma per ora sono molto soddisfatta di questa nuova avventura. Certo, non siamo che agli inizi, c’è ancora tanta strada da fare, perciò questa storia per ora finisce con una pagina bianca. Il resto, “lo scopriremo solo vivendo”, come cantava Battisti.

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