Punto di vista

Incubo microplastiche


Non solo acqua e pesce, microplastiche ancora più piccole stanno contaminando anche frutta e verdura

I rifiuti di plastica non hanno solo un grave impatto sull’ambiente, ma finiscono anche in quello che mangiamo, sotto forma di microplastiche. Queste piccolissime particelle, inferiori a 5 mm, sono ovunque e a quanto pare non possiamo fare a meno di ingerirle insieme a cibi e bevande che ogni giorno consumiamo. Un’emergenza silenziosa che sta interessando non solo i mari e le specie ittiche, ma anche l’acqua che beviamo, l’aria che respiriamo e perfino in frutta e verdura. Uno studio recente dell’Università di Catania (Micro- and nano-plastics in edible fruit and vegetables. The first diet risks assessment for the general population) infatti, è riuscito a misurare le concentrazioni di microplastiche presenti nella parte edibile di alcuni alimenti più comunemente consumati , come mele, pere, patate, carote, lattuga e broccoli. Secondo i risultati, le mele e le carote sono rispettivamente la frutta e la verdura più contaminate, con una concentrazione di microplastiche di grandezza inferiore a 10 micrometri, ovvero 10 millesimi di millimetro. Davvero invisibili! La scoperta sconcertante è che le microplastiche, una volta degradate dal terreno, sono assorbite dagli ortaggi, entrano nella parte edibile di frutta e verdura e vengono assunte dall’uomo. Già con la ricerca commissionata dal Wwf qualche anno fa, era stato accertato che ingeriamo microplastiche per l’equivalente del peso un bancomat a settimana (5 grammi circa alla settimana, circa 21 grammi al mese). Con questa nuova ricerca apprendiamo che la plastica è in grado di degradarsi in dimensioni ancora più piccole e quindi sempre più difficili da individuare. Tra le plastiche più presenti rinvenute dentro gli ortaggi analizzati, ci sono il polietilene e il polistirolo che sono i materiali più usati in agricoltura, nelle serre ad esempio, per le pacciamature, o ancora, nei vivai. Alla luce di tutto questo però, ancora non sappiamo quali siano i danni effettivi che le microplastiche ingerite quotidianamente hanno sulla salute umana. Ma una cosa la conosciamo già: il livello di tossicità dato sia dalla plastica in sé (si tratta pur sempre di polimeri sintetici derivati dal petrolio) che dai possibili additivi chimici utilizzati durante la produzione, è già molto alto. Un esempio di composti molto diffusi sono gli ftalati, contenuti ad esempio nel PVC e in generale nelle plastiche flessibili: pericolosi perché considerati interferenti endocrini, ovvero sostanze in grado di alterare il funzionamento del sistema ormonale. Quindi possiamo facilmente dedurre che ingerire quotidianamente micro quantità di questi materiali sano non sia di sicuro!

Ma quali sono le cause che favoriscono la formazione delle microplastiche? 

La prima causa sono i nostri piccoli gesti quotidiani: come utilizzare prodotti per l’igiene personale, creme, detergenti e dentifrici con microgranuli che vanno a finire direttamente in mare perché troppo piccoli per essere filtrati dai sistemi di depurazione delle acque ma anche i detersivi per il bucato, le superfici e le stoviglie che rilasciamo materie plastiche nell’ambiente e nel mare in forma liquida e semisolida o addirittura solubile. Oppure fare uso di tessuti sintetici: secondo Greenpeace, un pile lavato in lavatrice rilascia anche 700mila microfibre, e se consideriamo che il 50-60% del vestiario in circolazione è fatto in materiali sintetici come il polietilene, fate voi un po’ i conti di quello che arriva in mare ed entra in circolo. Un’altra causa è l’abbandono dei rifiuti nell’ambiente e lo scorretto smaltimento dei rifiuti con la conseguente frammentazione di oggetti in plastica, spesso usa e getta, o i vari imballaggi che con il tempo diventano microplastiche. Ma anche l’usura degli pneumatici e le polveri urbane pare siano le tre principali cause di rilascio diretto di microplastiche negli oceani del mondo. Il problema comunque è a monte, ovvero la produzione di plastica: aumentata a dismisura negli ultimi 50 anni, nel 2015 ne sono state messe in commercio 300 milioni di tonnellate, e si calcola che almeno 8 milioni finiscano in mare ogni anno. Inoltre se consideriamo che la filiera del riciclo della plastica non è completa e solo il 9% di quella prodotta viene riciclata, il resto finisce in discarica o peggio dispersa nell’ambiente, va da sé che il riciclo non è certo la soluzione più sostenibile in assoluto.

Allora cosa possiamo fare per limitare i danni? 

Ancora più importante del riciclo della plastica, è fondamentale la riduzione del suo utilizzo: ogni volta che state per acquistare qualcosa in plastica, chiedetevi se è possibile farne a meno. Non fatevi ingannare dall’idea che tanto lo riciclerete da bravi cittadini, ma pensate che state creando al 91% un rifiuto che ci metterà forse mille anni prima di scomparire e nel frattempo causerà danni che non possiamo neanche immaginare. Non utilizzare detersivi e cosmetici contenenti microgranuli, preferendo quelli naturali e eco-bio. E ancora, evitare l’acquisto di tessuti sintetici, come poliestere o il nylon, ma prediligere tessuti ecologici come il cotone biologico. Insomma mettere in pratica tutte quelle buone pratiche quotidiane che a noi costano poco o niente, ma aiutano a salvaguardare il Pianeta, dal mare fino alle nostre tavole. 

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