Ecco come contribuiamo alla devastazione dei polmoni verdi del mondo
Quando si parla di deforestazione delle aree tropicali del mondo, non sempre si ha la percezione che sia un problema che ci riguarda da vicino. Sono zone lontane dall’Europa quindi difficilmente ci sentiamo corresponsabili di questo scempio che sta continuando, a ritmo serrato, a portare morte e distruzione in un prezioso habitat fondamentale per l’equilibrio ecologico del pianeta.
È un fenomeno che appare lontano, ma in realtà è direttamente collegato alla produzione di materie prime destinate all’esportazione: l’80% della deforestazione è dovuta alla necessità di fare posto ai pascoli per la produzione di carne, soia e olio di palma, richiesti dai Paesi occidentali. Va poi aggiunta l’industria del legno che spesso fa da apripista al taglio delle foreste. Ecco perché dietro le immagini dell’Amazzonia che brucia si nasconde l’import europeo. Ci rendiamo complici della deforestazione quando non utilizziamo prodotti eco-bio, quando mangiamo carne proveniente da allevamenti intensivi oppure semplicemente scegliamo il cibo da portare sulle nostre tavole.
Se analizzassimo una giornata tipo di un consumatore poco consapevole, ci renderemmo conto di quanto la distanza tra noi e l’Amazzonia si accorcerebbe: ci laviamo con saponi contenenti olio di palma, beviamo un caffè e priviamo del proprio habitat specie già a rischio di estinzione, pranziamo con una bella bistecca che nel 99% dei casi proviene da allevamenti intensivi dove gli animali sono allevati con OGM coltivati in Brasile e ci rilassiamo nel nostro salotto completamente pavimentato con parquet, fatto sicuramente con legname proveniente dalle ultime foreste primarie delle zone tropicali. In questi prodotti di largo consumo si nasconde deforestazione, distruzione di ecosistemi e di habitat preziosi e la causa siamo anche noi con le nostre scelte.
L’ultimo rapporto del WWF dal titolo “Quanta foresta avete mangiato, usato o indossato oggi?” racconta proprio questo e di quanta natura viene sacrificata con i prodotti che consumiamo quotidianamente, alcuni dei quali tipicamente italiani, come il caffè. Nel mondo si bevono circa 2,5 miliardi di tazze di caffè al giorno e l’Italia è il paese simbolo di questo rito quotidiano. L’Europa (che rappresenta il 33% del consumo globale di caffè) è il più grande mercato del caffè al mondo. L’aumento di domanda sempre più crescente porterà a triplicare la sua produzione entro il 2050, in aree forestali ancora incontaminate per fare spazio ai preziosi chicchi. Ma non solo caffè, l’Italia detiene il primato come maggiore importatore europeo di carne bovina del Brasile, il 50% della quale viene utilizzata per produrre la Bresaola della Valtellina Igp ed è il terzo importatore dell’Ue di prodotti legati al legno tropicale. E l’olio di palma? Quasi un terzo delle importazione Ue arrivano nel nostro Paese e siamo il secondo importatore dalla Malesia. Negli anni è diventato il simbolo della distruzione incontrollata delle foreste pluviali in diverse parti del mondo, visto il largo uso che se ne fa nell’industria dolciaria e nella produzione dei biocarburanti, ma anche di cosmesi e prodotti per l’igiene personale. Il basso costo e l’elevata resa della produzione ha incoraggiato una coltivazione sempre più ampia, portando una massiccia deforestazione per fare spazio alla monocoltura di palme da olio. A fare le spese di questa devastazione sono gli oranghi, la tigre di Sumatra e tutte quelle specie già a rischio estinzione privati dei loro habitat naturali, oltre alle popolazioni locali che non solo vengono privati delle loro terre ma anche costretti a lavorare in condizioni poco etiche. Alla luce di tutto questo siamo ancora così sicuri che la deforestazione non sia un fenomeno che ci riguarda? Noi consumatori possiamo fare tanto per cambiare le cose. Facendo scelte consapevoli, come evitare il consumo di carne da allevamenti se non OGM free e tutti quei prodotti che fanno il giro del mondo prima di arrivare nelle nostre case. Le grandi multinazionali accettano i cambiamenti solo quando sono imposti, ma siamo noi a scegliere quali prodotti acquistare. L’atto rivoluzionario più incisivo avviene proprio quando si va a fare la spesa.
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