In Europa cresce sempre più rapidamente l’interesse per l’idrogeno come soluzione per decarbonizzare i processi industriali e i comparti economici nei quali la riduzione delle emissioni di carbonio è più difficile. La visione strategica prevista dal Green Deal europeo prospetta la crescita della quota dell’idrogeno nel mix energetico europeo, oggi inferiore al 2%, al 13-14% entro il 2050.
L’interesse ad uno sviluppo accelerato dell’idrogeno è rimarcato anche nel PNRR dove sono complessivamente 3.64 miliardi di euro i fondi previsti nella misura e dedicati esplicitamente allo sviluppo di progettualità legate all’idrogeno.
Vale quindi la pena di puntare una lente di ingrandimento su questo elemento per capirci qualcosa di più.
CARATTERISTICHE CHIMICO FISICHE DELL’IDROGENO
Il fatto che l’idrogeno sia il primo elemento della tavola periodica non è un caso. Infatti, la sua posizione è dovuta al fatto che è l’elemento più semplice dal punto di vista chimico molecolare: è composto solo da un protone e un elettrone, ma grazie al suo elevato contenuto energetico per unità di massa, è una fonte di energia molto interessante. Tra tutti i combustibili e carburanti, l’idrogeno possiede la maggior densità energetica: 1 kg di idrogeno contiene la stessa energia di 2.1 kg di gas naturale o di 2.8 kg di benzina. La differenza è notevole! Non per niente si parla infatti del principale combustibile nell’Universo: le stelle sono quasi interamente composte da idrogeno sotto forma di plasma.
L’idrogeno è una molecola biatomica (H2) e in circostanze normali, ossia a pressione e a temperatura atmosferica, si trova sotto forma di gas, incolore, inodore e insapore. È il più diffuso elemento nell’universo, ma sulla Terra è combinato con altri elementi: è infatti presente nell’acqua e in tutti composti organici e organismi viventi (forma fino al 75% della materia, in base alla massa). Forma composti con la maggior parte degli elementi, ma sulla Terra è scarsamente presente allo stato libero e molecolare, per questo deve essere prodotto per i suoi vari usi.
PRODUZIONE DELL’IDROGENO
Come abbiamo detto l’idrogeno è l’elemento più abbondante non sono della Terra, ma dell’intero universo e questo potrebbe far pensare che sia estremamente facile produrlo, ad esempio estraendolo dall’acqua, ma in realtà non è così.
In base alle fonti da cui viene estratto, l’idrogeno viene differenziato secondo un modello “a colori”, di cui vi avevo già parlato, e possiamo dire che anche le diverse modalità di produzione dipendono dalla fonte di partenza.
- Reforming (o steamreforming) è il processo più utilizzato per produrre l’idrogeno, tale processo consiste nel far reagire il metano (CH4) e vapore acqueo (H2O) ad una temperatura intorno a 700-1100 °C per produrre syngas (una miscela costituita da monossido di carbonio e idrogeno). Il calore richiesto per attivare la reazione è generalmente fornito bruciando parte del metano.
- Elettrolisi: è probabilmente il processo più conosciuto ed è quel processo elettrolitico nel quale si ricava idrogeno (e ossigeno) dall’acqua, attraverso il passaggio di corrente elettrica.
La reazione completa che avviene durante il processo di elettrolisi è la seguente:
2H2O → 2 H2 + O2
da questa si può capire quanto la produzione di idrogeno attraverso questo processo sia più vantaggioso rispetto alla produzione ottenuta da reforming. Innanzitutto, perché in quest’ultimo viene utilizzato metano, emettendo quindi CO2, e in secondo luogo perché con l’elettrolisi si ottiene un volume di idrogeno che è quasi il doppio rispetto a quello dell’ossigeno (come si può vedere dalla reazione), quindi si ha resa maggiore. In realtà però questo non vuol dire in modo assoluto che questo processo sia il “migliore”, poiché molto dipende dall’energia elettrica utilizzata per scindere l’acqua: l’elettrolisi è il processo di estrazione meno inquinante solo se l’energia elettrica viene prodotta con fonti rinnovabili, come l’energia solare o eolica.
Questi appena visti sono i processi di produzione dell’idrogeno maggiormente utilizzati, ma esiste anche un terzo metodo produttivo:
- Gassificazione delle biomasse: questo metodo è possibile poiché le biomasse vegetali sono composte all’incirca dal 50% da carbonio, 6% da idrogeno e per il 41% da ossigeno, quindi attraverso delle reazioni è possibile ottenere syngas, dalla quale è relativamente facile estrarre H2. Ma questo processo è più complesso ed inefficiente, rispetto al reforming del gas naturale, motivo per il quale l’industria preferisce quest’ultimo. C’è da dire che se la politica decidesse di incentivare la gassificazione di biomasse, e penalizzare il reforming del gas naturale, allora si aprirebbe un nuovo mercato per le aziende agricole, che in questo modo potrebbero produrre idrogeno pulito dai loro stessi scarti.
Come al solito non tutto è oro quello che luccica. Le possibilità di una produzione green ci sarebbero, ma purtroppo il metodo produttivo maggiormente utilizzato è proprio quello più inquinante: uno studio della IEA (International Energy Agency) dimostra che l’idrogeno attualmente in commercio è per il 73% derivante da gas naturale, il 26% da carbone e solo l’1% si potrebbe ipotizzare sia “idrogeno pulito”, e questi dati si riferiscono a livello mondiale. Il maggior intoppo? I costi di produzione dell’idrogeno con energie rinnovabili o attraverso biomassa, sono proibitivi, com’è dimostrato in questo stesso studio.
E ahimè i problemi legati all’utilizzo dell’energia ricavata da idrogeno, non si fermano qua.
PROBLEMATICHE
Nella produzione
Attualmente l’idrogeno ottenuto da fonti rinnovabili (eolico o solare) e biologiche, ha un costo di produzione – in termini energetici – molto più elevato di quello della sua combustione (quindi processo di reforming) per ottenere energia. Quindi la tecnologia per produrre idrogeno verde c’è, ma va sviluppata su vasta scala e resa soprattutto sostenibile a livello economico.
Nel trasporto
L’idrogeno per essere utilizzato deve essere immagazzinato in modo tale da aumentarne considerevolmente la densità. E qua la faccenda si fa complicata, perché per aumentare la densità di un gas, o si aumenta la pressione, o si diminuisce la temperatura; per l’idrogeno esiste anche una terza via che è quella dell’assorbimento in materiali solidi, possibile proprio grazie alla facilità che ha l’idrogeno di legarsi ad altre sostanze. Ma, tutte e tre queste vie possibili, hanno risvolti negativi.
- Stoccaggio allo stato gassoso: l’immagazzinamento in forma gassosa, ad alta pressione, avrebbe bisogno di bombole capaci di sopportare pressioni di esercizio nell’ordine dei 700 bar, per capirci gli attuali serbatoi di metano hanno pressioni di esercizio pari a 220 bar, parliamo quindi di tanto di più! Per questo si stanno effettuando studi su materiali compositi come resine rinforzate con fibre di carbonio.
- Stoccaggio allo stato liquido: per effettuarlo è necessario conservare l’idrogeno a temperature criogeniche, questo perché l’idrogeno evapora a -253 °C, il che vuol dire che per mantenerlo allo stato liquido, è necessario stivarlo a temperature inferiori. Il raggiungimento di queste temperature non è un traguardo indifferente, dal momento che parliamo di una temperatura che è appena 20 °C sopra lo zero assoluto, ossia il limite minimo di temperatura raggiungibile in natura. Insomma, servono dei serbatoi ad altissima tecnologia e attualmente i sistemi più evoluti promettono di conservare idrogeno liquido per circa 3 giorni, prima che questo inizi ad evaporare (vista la bassissima temperatura di ebollizione).
- Stoccaggio in materiali solidi: questa modalità di immagazzinamento è quella meno sviluppata ed efficace al momento, poiché si parla di una capacità di stoccaggio da parte degli idruri metallici, del 2 – 7%. In goni caso risultati irrilevanti.
Nella distribuzione
Qua si hanno due possibili alternative: usando la rete esistente o tramite la costruzione di una rete dedicata. In entrambi i casi ovviamente non si parla di cambiamenti veloci e/o facili, per questo motivo alcuni pensano che una valida alternativa sia quella di produrre e utilizzare idrogeno localmente, evitando così di doverlo trasportare per lunghe distanze.
Sicuramente c’è ancora tanta ricerca da fare e il PNRR è volto anche a questo, considerando che dedica 160 milioni di euro proprio al tema della ricerca tecnico-scientifica, ma per fortuna si è capito che questa è la giusta direzione da intraprendere verso la decarbonizzazione.
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