Cinghiali e lupi sono ormai da tempo divenuti protagonisti della cronaca locale e nazionale. Non passa giorno che sui social non venga condiviso un video di ungulati che si aggirano per i centri cittadini, intenti a fare razzia di rifiuti. E, seppur con una frequenza minore, si apprende di branchi di lupi che, per sfamarsi, attaccano il bestiame al pascolo. Eppure, non sembra che il dibattito pubblico – e soprattutto quello politico – sul tema della difficile convivenza tra l’uomo e alcune specie animali venga condotto con sufficiente serietà, tra recriminazioni e urla nei salotti televisivi. Ma cosa sta succedendo alla nostra fauna selvatica, esiste davvero un’ emergenza e, se sì, come gestirla?
per capirne di più, ho deciso di affidarmi a una voce autorevole: quella di Pietro Genovesi, Responsabile del Servizio per il Coordinamento della Fauna Selvatica dell’ISPRA. Ne abbiamo parlato insieme qualche settimana fa in diretta su Ecocentrica On Air, per affrontare il tema di cinghiali e lupi nel modo più scientifico possibile. Qui sotto, potrete rivedere l’intera intervista.
Il quadro faunistico in Italia
Innanzitutto, non si può parlare del problema cinghiali e lupi senza prima analizzare il quadro faunistico attuale in Italia. Lo Stivale nel corso degli ultimi decenni ha visto una profonda trasformazione della sua fauna. Da un lato vi è stata la moltiplicazione degli ungulati – basti pensare come oggi siano stati avvistati in oltre 100 centri cittadini, quando solo pochi anni fa le segnalazioni si contavano sulle dita di una mano – ma dall’altra la biodiversità è in crisi. In particolare, le specie acquatiche – sia di acqua dolce, come i pesci di fiume, oppure tutti gli animali che albergano le nostre coste – hanno visto una forte diminuzione a causa delle attività dell’uomo. Il quadro quindi è negativo per la maggior parte delle specie tranne alcune.
Quello dei cinghiali che entrano in città, e dei lupi che di tanto in tanto attaccano qualche gregge, non sono quindi altro che la manifestazione più immediata ed evidente di un problema più profondo. Ma perché siamo a chiamati a gestire la loro presenza? D’altronde, siamo da sempre portati a credere che la natura sia capace di regolarsi da sola, trovando sempre il miglior equilibrio.
Così come spiega Genovesi, non si tratta di una questione di equilibri naturali, bensì di danni che alcune specie in sovrannumero possono causare alle attività dell’uomo. Non si interviene quindi per favorire i processi naturali, bensì per proteggere le necessità umane.
Genovesi prende proprio come esempio il cinghiale: questo ungulato non risultava presente in molti luoghi d’Italia, ma è stato introdotto dall’uomo alterando la biodiversità dei luoghi. La maggior parte dei cinghiali presenti oggi in Italia è prolifera proprio per l’introduzione a scopo venatorio e, non trovando predatori naturali o sufficiente cibo, si spinge senza troppo timore all’interno dei centri cittadini.
La gestione di lupi e cinghiali
Proprio poiché il problema di cinghiali e lupi vede la mano umana come principale causa, spetta proprio all’uomo gestire e risolvere una situazione che, altrimenti, rischia di peggiorare nel tempo. Ma che fare per regolare la presenza di alcune specie animali sul territorio?
La questione cinghiali
Non vi sono molti dubbi: la causa della proliferazione dei cinghiali su tutto il territorio italiano è dovuta soprattutto all’azione dell’uomo. Negli scorsi decenni, infatti, questi ungulati sono stati introdotti in gran numero – a volte anche illegalmente – in diverse località dove non risultavano in realtà presenti, a scopo venatorio. Un reintegro così intenso, e spesso fuori dai rigidi confini stabiliti dalle normative, tanto che per lungo tempo si è ritenuto che questi cinghiali non avessero nemmeno un’origine italiana, bensì ungherese. Tuttavia, così come spiega Genovesi, le indagini genetiche non mostrano grandi differenze con gli ungulati che si trovavano sullo Stivale un centinaio di anni fa.
Il sovrannumero di cinghiali, dovuto alla loro reintroduzione e anche alla capacità di riprodursi abbastanza rapidamente, ha determinato una serie di conseguenze: incidenti stradali, danneggiamento dei campi coltivati e dei raccolti e, naturalmente, anche forti disagi cittadini. A livello governativo si è quindi pensato di ampliare le modalità di caccia, affinché si possa ridurre il numero di esemplari in circolazione. Ma è una strategia efficace? Non sempre, così come spiega l’esperto Ispra. Con la caccia venatoria si colpisce una porzione relativamente ridotta della popolazione di questi ungulati e, come facile intuire, quelli rimasti non fanno altro che ritornare nei boschi e continuare a proliferare. Che fare?
- Recinzioni: proteggere i campi con opportune recinzioni è il metodo più immediato per evitare che i cinghiali possano distruggere i raccolti. È una tecnica che ha avuto successo in Liguria, così come spiega Genovesi, dove la contenzione di questi animali in aree ben specifiche ha permesso di ridurre gran parte dei disagi per l’uomo;
- Gestione dei rifiuti: una popolazione di cinghiali in sovrannumero fatica a trovare in natura tutte le risorse alimentari di cui ha bisogno. E alla ricerca di qualcosa di cui nutrirsi, questi ungulati raggiungono i centri cittadini attratti dall’immondizia. Una gestione più oculata dei rifiuti, magari con una raccolta porta a porta, potrebbe ridurre il numero di questi esemplari in città;
- Abbattimento: in alcuni casi la rimozione dei cinghiali è necessaria, poiché ormai in popolazioni troppo estese per poter essere gestite diversamente. Oggi si stima che in Italia ci siano 1.5 milioni di esemplari, una cifra raddoppiata in pochi decenni.
Quando si parla di abbattimento, però, non si deve pensare unicamente alla caccia venatoria. Da sola, quest’ultima non è in grado di avere un impatto significativo sulla contenzione dei branchi di cinghiali: questo perché i cacciatori tendono a colpire esemplari maschi, poiché più grandi, lasciando pressoché invariato il numero di femmine, che così continuano a riprodursi. Serve anche la caccia di selezione e di controllo, sotto lo stretto controllo di organi pubblici. Ma cosa sono?
- Caccia di selezione: è una tecnica di prelievo a basso impatto sulle altre specie animali, eseguita da cacciatori opportunamente formati. Si esegue a livello territoriale definendo di volta in volta specifici criteri per l’abbattimento dei capi – ad esempio, stabilendo il numero di femmine – affinché sia efficace nel contenere l’aumento della popolazione di ungulati;
- Caccia di controllo: è una tecnica di abbattimento che viene eseguita da enti pubblici, con personale specializzato, per mitigare i danni. Anche in questo caso si seguono specifici criteri, affinché l’attività possa avere effetti duraturi contro il sovrappopolamento.
Sullo Stivale circa l’86% degli abbattimenti avviene con la caccia venatoria e solo il 14% in selezione e controllo, quindi serve uno sforzo maggiore su questo fronte, poiché la prima modalità non ha grande efficacia a lungo termine. E la sterilizzazione? Spesso si discute sulla possibilità di catturare i cinghiali e sterilizzarli, per poi rilasciarli in natura. Sebbene questa tecnica abbia avuto successo con progetti pilota su altre specie – ad esempio, una sperimentazione condotta sugli scoiattoli in Piemonte – è estremamente difficile da realizzare con i cinghiali e poco efficace.
La questione dei lupi
Quella dei lupi è una questione ben diversa rispetto a quella dei cinghiali, sia perché i numeri sono decisamente più esigui che per il comportamento tipico di questa specie. Temendo l’uomo, il lupo tende a non avvicinarsi troppo ai centri abitati: i danni che si registrano non sono quindi sulle persone, bensì su bestiami al pascolo.
Fino agli anni ‘70 si è seguita una politica di esteso sterminio dei lupi, ora l’approccio è diverso: : non solo il lupo non è più visto come una specie negativa per l’uomo e le sue attività, ma si è trasformata anche la sua percezione nell’opinione pubblica, oggi più che felice di piani di reinserimento e ripopolamento. Dalla quasi estinzione totale degli anni ‘70, con meno di 100 esemplari su tutto lo Stivale, oggi se ne contano 3.300.
L’aumento della popolazione ha ovviamente portato a una crescita delle attività di predazione del bestiame, con circa 2 milioni di euro di danni che, per quanto ripagati agli allevatori (spesso con tempi lunghi e molta burocrazia), richiedono ulteriori sforzi: ripartire da zero con l’allevamento,
la perdita della genetica dei capi, il ripristino di strutture eventualmente danneggiate. Per il lupo, però, la strategia vincente non sembra essere quella dell’abbattimento, bensì quella della prevenzione. I branchi di lupi sono innanzitutto capaci di autocontrollare le loro dimensioni, anche con l’uccisione interna dei piccoli in sovrannumero, poiché specie sociale che si regola sulla disponibilità di prede e di risorse naturali sufficienti per sfamare tutti i membri. Ancora, le attività di prevenzione possono risolvere il problema alla radice, se eseguite in modo adeguato. Come fare?
- Non lasciare il bestiame incustodito al pascolo: spesso ovini e bovini al pascolo, soprattutto negli alpeggi del Nord Italia, vengono lasciati soli per periodi estesi, ad esempio di notte. Una condizione, quest’ultima, che facilita l’attività predatori dei lupi;
- Incentivare l’allevamento con cani: per quanto lupi e cani vedano una discendenza comune, la presenza di questi secondi- in particolare di pastori maremmani – funge da enorme deterrente.
Per quanto si possano controllare in modo efficace, gli attacchi al bestiame non si possono eliminare del tutto: in tal caso è però necessaria un approccio di risarcimento veloce e congruo ai pastori, affinché il contraccolpo sulle loro attività sia il più semplice possibile da superare.
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