L’acqua potabile di diversi comuni in Lombardia è contaminata da PFAS. È questo l’allarme lanciato pochi giorni fa da Greenpeace, nel rivelare i risultati di un’indagine avviata lo scorso maggio. In oltre il 35% dei campioni analizzati sono stati trovati livelli fuori norma di questi composti dannosi, con conseguenze potenzialmente dannose sia per la salute dei cittadini che per l’ambiente. Ma cosa sta accadendo sul territorio lombardo e, soprattutto, quali sono i rischi dell’esposizione a queste sostanze chimiche?
Dei problemi connessi alla contaminazione da PFAS – delle sostanze di sintesi impiegate a livello industriale sin dagli anni ‘40 – se ne discute ormai da decenni. E in termini preoccupanti, poiché questi composti non solo inquinano l’ambiente, ma possono avvere effetti sul sistema endocrino umano e favorire neoplasie. Per questo le rilevazioni di Greenpeace destano allarme: ho cercato di capirne di più.
PFAS in Lombardia: cosa sta accadendo
Partiamo dai fatti di cronaca. A inizio ottobre, Greenpeace ha annunciato i risultati del campionamento condotto sulle acque potabili dei principali comuni lombardi, quelle che giungono nelle case dei comuni cittadini e sono anche disponibili pubblicamente in vari punti di approvvigionamento delle città. E gli esiti sembrano essere più che preoccupanti: una porzione considerevole di campioni è, a vari livelli, contaminata da PFAS.
Dal 12 al 18 maggio scorsi, l’associazione ha raccolto 31 campioni da acqua da punti sensibili delle città lombarde, come ad esempio le fontanelle disponibili nei parchi pubblici o nei pressi delle scuole primarie. Dalle analisi di laboratorio condotte, è emerso che 11 campioni – il 35% sul totale – mostrano delle anomalie contaminazioni da PFAS. In particolare, si registrano:
- Comuni con livelli di PFAS più elevati rispetto ai limiti di 100 ng/l imposti dalla Direttiva Europea 2020/2184: Caravaggio e Mozzanica (Bergamo), Corte Palasio e Crespiatica (Lodi);
- Comuni con livelli di PFAS inferiori alla normativa, ma diversi da zero: Somma Lombardo (Varese), Pontirolo Nuovo (Bergamo), Capriolo (Brescia), Rescaldina (Milano), Mariano Comense (Como) e nelle fontane pubbliche di via Civitavecchia e via Cusago a Milano.
Ma per quale ragione questi composti di sintesi generano tanta preoccupazione e perché risultano tanto diffusi? Di seguito, alcune informazioni utili.
Cosa sono e dove si trovano i PFAS
Con l’acronimo PFAS si indicano le “Perfluorinated Alkylated Substances”, ovvero dei composti chimici di sintesi impiegati in ambito industriale sin dagli anni ‘40 del secolo scorso. Ne esistono più di 4.000 tipologie diverse e, grazie ai loro forti legami tra atomi di fluoro e carbonio, presentano delle buone proprietà oleorepellenti e idrorepellenti. In altre parole, i PFAS stringono legami molto deboli sia con l’acqua che con i grassi e, di conseguenza, vengono utilizzati per isolare diversi materiali e superfici.
I PFAS sono oggi presenti pressoché ovunque, anche su oggetti di uso più che quotidiano. Fra i più comuni, si elencano:
- utensili da cucina con proprietà antiaderenti, come le pentole;
- detersivi ed emulsionanti per la pulizia della casa, in particolare i prodotti lucidanti;
- detergenti per il corpo e cosmetici, in particolare shampoo e prodotti sgrassanti;
- tessuti per l’arredamento, come ad esempio tappeti con trattamento oleorepellente;
- carte e imballaggi resistenti all’acqua e agli oli, anche per uso alimentare;
- metalli placcati, come ad esempio la rubinetteria di casa;
- tessuti e rivestimenti idrorepellenti e oleorepellenti a uso medico, come camici protettivi, guanti e alcune tipologie di protesi;
- cavi e cablaggi resistenti all’acqua e a bassa infiammabilità;
- circuiti elettronici resistenti all’acqua;
- vernici, metalli e superfici antincendio a uso edile;
- connettori resistenti all’acqua per cavi elettrici e impianti fotovoltaici.
Ancora, i PFAS sono normalmente impiegati nella lavorazione del petrolio, in campo aerospaziale e aeronautico e nel settore automobilistico, per migliorare la resistenza dei materiali agli agenti atmosferici e ottimizzare l’erogazione dei carburanti.
I rischi della contaminazione da PFAS
Da diversi decenni si studiano gli effetti avversi della contaminazione da PFAS, sia sulla salute umana che sull’ambiente. E, purtroppo, i dati che emergono dalla ricerca scientifica sono tutto fuorché rassicuranti, tanto da rendersi necessaria l’imposizione di limiti decisamente rigidi per il loro utilizzo.
PFAS e problemi di salute
Così come evidenziano l’European Environmental Agency e la Fondazione Umberto Veronesi, gli studi scientifici hanno confermato il ruolo dei PFAS come interferenti endocrini e possibili cancerogeni. In particolare:
- sono degli interferenti endocrini, ovvero alterano il normale equilibrio ormonale dell’organismo. L’esposizione ai PFAS influisce sulle funzionalità di tiroide, sistema immunitario e fegato;
- aumentano il rischio cardiovascolare, poiché queste sostanze aumentano la produzione di colesterolo cattivo e il suo accumulo nelle arterie;
- provocano infertilità, alterando la qualità del seme e i processi di maturazione dell’uovo;
- favoriscono alcune neoplasie, in particolare leucemie, tumori al seno e al pancreas, favorendo la sovraregolazione del gene ID1, coinvolto appunto nello sviluppo dei tumori.
PFAS e ambiente
Purtroppo i PFAS sono delle sostanze molto mobili e, di conseguenza, si diffondono molto rapidamente nell’ambiente. Inoltre, si tratta di composti molto persistenti e, di conseguenza, possono essere rilevati nell’acqua e nel terreno anche a molti decenni dalla loro emissione.
Il problema principale è rappresentato dalla contaminazione dell’acqua, sia a causa di scarichi industriali che per la loro presenza ormai ubiquitaria nei prodotti di uso comune. I PFAS sono infatti in grado di penetrare a fondo nelle falde acquifere e, nel tempo, alterano i normali processi di sviluppo delle specie vegetali e animali acquatiche. Si accumulano poi nei terreni attraverso l’irrigazione e le piogge e vengono perciò assorbiti dalla vegetazione, comprese piante e ortaggi a uso alimentare. In altre parole, contaminano l’intera catena alimentare – acqua, pesci, ortaggi, verdure – con potenziali gravi conseguenze, molte delle quali ancora al vaglio della ricerca scientifica.
Ancora, se impiegati per la produzione di spray o di detersivi, queste sostanze diventano molto volatili e oggi rappresentano una delle principali minacce alla tenuta dello strato di ozono nell’atmosfera.
Come difendersi dai PFAS?
Purtroppo, non è semplice difendersi dalla contaminazione da PFAS: come ho già spiegato, questi composti non sono solo praticamente ubiquitari, ma una volta depositati nell’acqua o sul terreno rimangono inalterati per decenni. Vi sono però dei piccoli consigli che possono aiutare a limitare l’esposizione, almeno a livello domestico:
- evitare pentole e padelle con profilo antiaderente, preferendo invece acciaio, alluminio, vetro, ghisa e ceramica. È importante verificare che questi materiali non siano stati trattati con rivestimenti idrorepellenti e oleorepellenti;
- evitare tessili per la casa e indumenti sottoposti a trattamenti impermeabilizzanti;
- preferire sempre detergenti, detersivi e cosmetici ecobio, completamente privi di PFAS. Spesso questa informazione è riportata anche in etichetta;
- installare sistemi di microfiltrazione e nanofiltrazione per l’acqua domestica, sia a uso sanitario che per il consumo alimentare. Non possono trattenere tutti i PFAS disciolti nell’acqua potabile, ma ne possono abbattere sensibilmente la presenza.
Ancora, è importante sollecitare le istituzioni locali affinché conducano controlli ciclici e ripetuti sugli acquedotti e le reti di distribuzione dell’acqua locale, per individuare eventuali concentrazioni di PFAS ben oltre ai limiti imposti per legge.
In definitiva, per quanto sia difficile non esporsi ai PFAS, possiamo quantomeno limitare i livelli di esposizione, a tutto vantaggio della nostra salute e dell’ambiente.
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