Punto di vista

Biocarburanti: quel che non si dice sull’impatto ambientale


Tessa Gelisio, biocarburanti

Negli ultimi tempi si discute spesso dei biocarburanti, ad esempio il bioetanolo, come una soluzione irrinunciabile per una mobilità più sostenibile. Tanto che questi combustibili, che nascono per sostituire derivati dal petrolio come benzina e diesel, sono sempre più caldeggiati anche a livello normativo, basti pensare alle diverse direttive approvate a livello europeo. Ma i biocarburanti sono davvero la panacea a ogni male?

Competizione alimentare, depauperamento dei terreni e deforestazione: questi sono solo alcuni dei problemi legati ai biocarburanti che, pur essendo decisamente meno dannosi delle fonti fossili, non sono di certo a basso impatto.

Quali sono i principali biocarburanti

Olio di colza

Innanzitutto, è bene ricordare cosa siano i biocarburanti, di cui vi ho già parlato qui su Ecocentrica. Si tratta di idrocarburi, cioè di combustibili, che vengono ottenuti da materie organiche, come ad esempio la lavorazione e la fermentazione di alcuni vegetali, quali la colza. Non derivano perciò da fonti fossili e, nella gran parte dei casi, possono essere utilizzati nei motori termici – benzina o diesel – già esistenti. 

Nell’universo dei biocarburanti si possono distinguere due grandi gruppi:

  • il biodiesel, ottenuto dalla lavorazione di oli vegetali – il girasole o la colza, ad esempio – che può essere usato negli attuali motori a gasolio o, ancora, mescolato con il diesel fossile;
  • il bioetanolo, ricavato dalla fermentazione di biomasse – cereali, vinacci, mais  e via dicendo – adatto ai motori a benzina, solitamente in un mix con il carburante di origine fossile.

I biocarburanti stanno prendendo sempre più piede, tanto che in alcune nazioni come il Brasile sono ormai prossimi a soppiantare i carburanti di origine fossile. L’impiego in Italia, invece, è ancora largamente legato a usi industriali, mentre poco diffuso a livello privato.

L’impatto ambientale dei biocombustibili

Rispetto ai carburanti classici, i biocombustibili presentano numerosi vantaggi ambientali. Oltre ad assorbire CO2 nella fase di crescita delle piante, che però viene rilasciata pressoché totalmente durante la combustione, non sono neutri a livello di CO2 a causa delle emissioni della filiera produttiva. Coltivazione, trasporto e processamento comportano l’emissione di una quota di CO2 del 30-70% aggiuntiva rispetto alla quantità assorbita e poi rilasciata dalla pianta. Tuttavia, si tratta comunque di emissioni ridotte del 20-50% rispetto alla benzina e del 40-80% in confronto al diesel, a seconda delle modalità di utilizzo, stando a recenti studi. Eppure, non significa siano a basso impatto: quali sono, di conseguenza, le principali problematiche?

La competizione alimentare

Biocarburanti, coltivazione della colza

Uno dei principali problemi connessi alla produzione di biocombustibili è rappresentato dalla cosiddetta competizione alimentare. In altre parole, per far spazio a enormi campi coltivati per ottenere biofuel – si pensi alla già citata colza – si sottraggono aree agricole destinate al consumo umano.

Stando ad alcune ricerche, l’aumento della domanda mondiale di biocombustibili ha avuto effetti a dir poco negativi sulla produzione e l’approvvigionamento di cibo:

  • nei luoghi dove le coltivazioni di colza sono sempre più diffuse, diminuiscono i terreni destinati alla produzione alimentare. Negli Stati Uniti, il 40% dei campi di mais esistenti è oggi destinato ai biocarburanti, circa il 15% in Brasile e il 10% nell’Unione Europea. Per sostituire completamente benzina e diesel con i biofuel nel Vecchio Continente, bisognerebbe sfruttare quasi il 70% dei campi agricoli esistenti;
  • la riduzione delle zone agricole classiche, in favore delle coltivazioni da biofuel, ha contribuito all’aumento globale dei prezzi dei generi alimentari, con stime che variano dal 3,4 al 62%, a seconda delle zone.

Biocarburanti: l’abuso di pesticidi e fertilizzanti chimici

Pesticidi per i biocarburanti

Vi è poi un secondo problema da prendere in debita considerazione: la coltivazione di vegetali per la produzione di biocarburanti avviene con metodi intensivi, per massimizzare la resa del suolo e, quindi, ottenere quanto più combustibile possibile.

Secondo un recente studio, poiché i campi da biofuel non sono destinati alla produzione di alimenti, l’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici è estremamente diffuso, tanto che in molti casi si può parlare di un vero e proprio abuso. Il ricorso massiccio a sostanze di sintesi sta avendo effetti importanti:

  • un alto inquinamento del suolo e delle falde acquifere, per la penetrazione in profondità dei cosiddetti inquinanti perenni;
  • la contaminazione di molte specie animali che, entrando in contatto con queste sostanze chimiche, subiscono una preoccupante diminuzione della loro fertilità;
  • l’uccisione di milioni di api, indispensabili per la biodiversità sul pianeta, vittime di pesticidi destinati ad altre specie ben più invasive.

In particolare, l’uso di pesticidi e fertilizzanti sta avendo effetti devastanti in quei Paesi che non presentano limiti eccessivamente rigidi, come ad esempio in diverse nazioni del Sudamerica.

Il biofuel, tra fertilità del suolo e deforestazione

Biocarburanti e deforestazione

Molte delle colture utili alla produzione di biofuel – in particolare la canna da zucchero, molto utilizzata in Brasile per il bioetanolo – si caratterizzano per un elevato assorbimento di sostanze nutritive dal suolo. E ciò porta a un depauperamento dello stesso, nonostante il ricorso a fertilizzanti di origine chimica.

Ad esempio, la monocoltura di mais per bioetanolo ha portato, negli Stati Uniti, a una diminuzione prossima al 50% della fertilità di molti suoli del Midwest. In Brasile, invece, la produzione della canna da zucchero per il bioetanolo ha comportato la distruzione di ampie foreste per trasformarle in campi coltivabili, il tutto registrando un vero e proprio debito di carbonio organico: queste piante ne assorbono troppo e, anche con l’ausilio di fertilizzanti chimici, serviranno decenni per ripristinare i terreni alle normale concentrazione di questo elemento.

Biocarburanti e consumi idrici

Biocarburanti e irrigazione

Infine, non bisogna dimenticare che molte specie scelte per la produzione di biocarburanti – come ad esempio il mais, la canna da zucchero o la soia – richiedono un’irrigazione intensiva, con un enorme consumo di acqua dolce.

Basti pensare che, secondo alcune analisi, il bioetanolo ha un’impronta idrica tra i 50 e i 150 metri cubi per ogni Gigajoule di energia prodotta, mentre la canna da zucchero si attesta sui 100-200 metri cubi per Gigajoule. Per facilitare la comprensione, un GJ equivale all’energia che circa 26 litri di benzina o 30 di diesel sono in grado di generare.

In definitiva, i biocarburanti possono di certo rappresentare una risorsa meno inquinante dei derivati dal petrolio, ma sono tutto fuorché a impatto zero: il loro peso sull’ambiente è infatti preoccupante.

Ti potrebbe anche interessare

No Comments

Leave a Reply


Il periodo di verifica reCAPTCHA è scaduto. Ricaricare la pagina.