Punto di vista

Stiamo sottovalutando le migrazioni climatiche?


Migrazioni climatiche, Tessa Gelisio

Tra le tante conseguenze dei danni ambientali causati dall’uomo al Pianeta, le migrazioni climatiche ne rappresentano di certo la più sottovalutata. Con proiezioni che parlano di milioni di sfollati entro il 2050, e nemmeno negli scenari predittivi più allarmistici, sembra infatti che il tema non stia particolarmente solleticando né le reazioni della politica, né quelle dei cittadini nel loro complesso. Ma da dove arriva questo scarso interesse, si tratta semplicemente di una difficoltà informativa o, purtroppo, di un fenomeno non correttamente identificato, che rischia pertanto di essere affrontato quando ormai troppo tardi?

Cosa sono le migrazioni climatiche

Accampamenti, migrazioni climatiche

Innanzitutto, è necessario comprendere cosa si intenda per migrazioni climatiche. In linea generale, con questo termine si identificano i grandi spostamenti di popolazioni, causati – direttamente o indirettamente – da alterazioni ambientali.

In altre parole, i cambiamenti climatici in corso stanno spingendo sempre più persone ad abbandonare i loro luoghi d’origine, per la sempre crescente difficoltà a trovare sufficienti mezzi di sostentamento. In particolare, sulle migrazioni causate dal clima influiscono:

  • il riscaldamento globale e la siccità che, oltre a rendere vaste aree del Pianeta pressoché invisibili, danneggiano l’agricoltura e l’allevamento;
  • le catastrofi improvvise, come uragani e incendi, che determinano una perdita pressoché immediata di risorse, in particolare quelle abitative;
  • la crescente disparità economica determinata dai cambiamenti climatici, che divide il Pianeta fra nazioni che possono finanziariamente farne fronte e altre, invece, che non possono far altro che soccombere.

Del fenomeno si possono innanzitutto identificare due grandi tendenze:

  • le migrazioni esterne, ovvero da Paesi maggiormente colpiti dai cambiamenti climatici ad altri più protetti;
  • le migrazioni interne, cioè dentro i confini dello stesso Paese, da regioni più colpite ad altre invece più resilienti.

Senza interventi mirati, le migrazioni climatiche rischiano di agire come moltiplicatori di vulnerabilità: non solo le popolazioni colpite sono colpite dalle alterazioni del clima, ma queste determinano anche una maggiore povertà e una superiore esposizione al rischio di conflitti armati. Proprio per questo, al ritmo attuale dei cambiamenti climatici, le stime sono tutt’altro che rosee: potrebbero essere milioni le persone che, entro il 2050, cercheranno di abbandonare le loro nazioni, con flussi migratori che andranno a colpire l’Europa, da Africa e Medio Oriente.

L’impatto delle migrazioni climatiche

Migranti

Per quanto i primi effetti delle migrazioni climatiche siano ravvisabili già oggi – nel solo 2023, sono stati ben 46.9 milioni gli sfollati interni a livello globale, a causa di disastri ambientali interni – l’impatto futuro rischia di essere insostenibile. I grandi spostamenti dovuti al clima ingestibile non causano enormi problemi solo alle popolazioni che cercano un nuovo luogo d’approdo, ma anche nelle Nazioni che le ospitano, con un peggioramento del welfare e una crescita continua delle tensioni locali. Ma come si sta evolvendo il fenomeno?

Il peso attuale sui flussi migratori europei

A discapito delle credenze comuni, probabilmente dovute anche al ruolo dei media nell’enfatizzare l’immigrazione irregolare dai Paesi africani, attualmente in Europa si registra soprattutto una migrazione climatica interna. Ad esempio, nel 2022 si è registrato un picco di 107.000 spostamenti interni, perlopiù dovuti ai grandi incendi che hanno colpito la Grecia e per le gravi alluvioni in Germania.

In base a uno studio condotto nel 2024, a oggi il fenomeno delle migrazioni interne colpisce soprattutto l’Europa meridionale e orientale, a causa dell’incremento della siccità: si registra infatti un incremento tra il 10 e il 20% degli spostamenti in altre zone del Continente, con un aumento del 15% dei fenomeni di erosione del suolo nelle aree progressivamente abbandonate.
Più contenute sono invece le migrazioni esterne: dall’inizio del 2025 a oggi, sono stati circa 113.348 gli ingressi irregolari in Europa, di cui solo il 10% accompagnato da richieste di asilo legate indirettamente al clima, in particolare dai Paesi del Sahel africano: Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad, Sudan e Senegal. Si tratta però di dati estremamente sottostimati, come anche evidenziato da diversi report, anche perché spesso le migrazioni climatiche non vengono effettivamente registrate come tali, per ragioni burocratiche.

Le stime delle migrazioni per il futuro

Profughi e alluvioni

Questo scenario ancora relativamente calmo, almeno sulla carta, è destinato però a esplodere in un futuro relativamente prossimo. Secondo un rapporto della Banca Mondiale, entro il 2050 potrebbero essere ben 216 i milioni di persone costrette ad abbandonare i loro Paesi per ragioni climatiche, con più di 5 milioni che potrebbero raggiungere l’Europa.

In particolare, saranno diversi fenomeni ad alimentare spostamenti sia interni che esterni:

  • la scarsità idrica rischia di triplicare i flussi interni dalle aree rurali a quelle urbane, con un progressivo collasso delle grandi città;
  • l’innalzamento dei livelli del mare potrebbe determinare il trasferimento di quasi 2 milioni di persone dalle regioni dell’Europa mediterranea a quelle dell’Europa continentale;
  • dall’Africa e dal Medio Oriente potrebbero raggiungere l’Europa dai 3 ai 9 milioni di persone.

Nell’immediato futuro, cioè in un lasso di tempo tra i 10 e i 15 anni, l’Europa potrebbe essere invece soggetta a un aumento del 15-25% dei flussi interni e del 10% di quelli esterni rispetto ai livelli attuali, dovuti soprattutto a un’erosione della produttività agricola del 30% per tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

Perché le migrazioni climatiche vengono sottostimate?

Tendopoli e allagamento

Con delle stime così preoccupanti, è più che lecito chiedersi perché le migrazioni climatiche siano tutt’oggi sottostimate, tanto che solo raramente entrano nel dibattito pubblico sui cambiamenti climatici.

La prima ragione è perlopiù burocratica: la maggior parte dei Paesi europei non registra correttamente le migrazioni dovute al clima, spesso dichiarate per altri scopi. Poiché le aree del mondo dove le alterazioni del clima hanno il peso più alto sono spesso colpite da conflitti politici e sociali, le richieste d’asilo vengono così registrate. Secondo un recente studio, solo il 22% dei flussi migratori climatici dall’Africa vengono identificati come tali, portando così a una sottorappresentazione.

A livello politico e informativo, invece, è più probabile che le motivazioni siano di semplice opportunità. La tendenza attuale è infatti quella di concentrarsi sull’immigrazione irregolare alimentata dalla criminalità organizzata, ignorando invece cause umanitarie, socio-economiche e ambientali, data la minor presa sull’opinione pubblica. Una sottovalutazione pericolosa, tuttavia, perché senza investimenti mirati in misure di prevenzione, resilienza e adattamento socio-demografico, il rischio è quello che i Paesi europei non siano in grado di gestire flussi migratori così elevati, a detrimento di tutta la collettività.

In definitiva, il problema delle migrazioni climatiche è oggi enormemente sottostimato e, senza un cambiamento di rotta, rischia di alimentare estreme tensioni sociali ed economiche.

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