Abbiamo già affrontato questo argomento molte volte e qualche settimana fa, durante una mia diretta Instagram che trovate qui, e qui sul blog, con una gradita ospite come Annamaria Pisapia, direttrice di CIWF Italia Onlus (Compassion in World Farming), un’associazione che da oltre 50 anni lavora per porre fine a tutte le pratiche crudeli utilizzate negli allevamenti intensivi, promuovendo allo stesso tempo metodi di allevamento rispettosi della salute e della dignità degli animali.
Continuiamo questa chiacchierata con lei scendendo nello specifico delle diverse tipologie animali e dei trattamenti riservati loro all’interno della filiera intensiva.
Vediamo per legge negli allevamenti intensivi cosa è concesso fare, dividendo i casi in base agli animali
Mucca da carne e vacche da latte
Queste due tipologie di animali in particolare non sono coperte da alcuna legislazione specifica a livello europeo. Vivono una vita con l’obiettivo dell’ingrasso per macellazione e della produzione di latte fino a “fine carriera”, che interviene purtroppo per l’eccessivo sfruttamento quando gli animali sono ancora molto giovani.
In particolare – nel caso delle vacche da latte – in Italia è permessa e molto diffusa la pratica della “messa alla posta”, ovvero il far vivere l’intera vita della mucca legata alla catena. Legate alla catena o “libere” in stalla, ma sempre private di pascolare, alle vacche viene tolto anche il diritto alla maternità. Il vitello viene loro tolto immediatamente appena nato, affinchè il loro latte possa essere munto e venduto.
La filiera del latte è formata principalmente dalle vacche Frisone, dalle cui cucciolate vengono separati gli esemplari per sesso: le femmine vengono cresciute per prendere il posto della madre, mentre i maschi vengono allevati per la carne di vitello, con la macellazione a 6 mesi di vita.
Galline ovaiole
Quelle che vivono in allevamenti intensivi crescono praticamente esclusivamente nelle cosiddette gabbie arricchite, dopo avere subito il taglio del becco per evitare che si cannibalizzino fra loro per la competizione di spazio e cibo.
I pulcini maschi delle ovaiole vengono tritati da vivi, una pratica che si sta provando a superare con il “sessaggio in ovo”, ovvero si scopre il sesso del feto dell’uovo e nel caso siano maschi non si fanno schiudere. Speriamo presto….
Pollo da carne
Il “pollo da carne”, è stato selezionato geneticamente affinché sviluppi presto il petto – parte più ricca di carne – e lo faccia in circa 40 giorni. Sono polli innaturali che non sopravvivrebbero oltre perché – essendo sovrasviluppata la parte del petto – le zampe non li reggerebbero, andando incontro a fratture e il sistema cardio circolatorio a sua volta cederebbe.
Per questa tipologia di animali la normativa è equivoca anche per l’allevamento biologico: gli animali devono essere liberi di razzolare in uno spazio esterno, ma c’è la possibilità di usare l’accrescimento rapido, quindi anche in questo caso il ricorso al mangime arricchito di antibiotici e anabolizzanti.
Allevamenti intensivi di conigli da consumo
Viene tenuto perlopiù in gabbie spoglie in cui gli animali non possono saltare né alzarsi in piedi perché queste strutture di contenimento sono molto basse. A causa della rete metallica dei pavimenti delle gabbie gli animali spesso si feriscono.
Queste strutture metalliche possono essere disposte in un’unica fila o in linee sovrapposte. Al livello più basso, la struttura è sollevata dal suolo di circa un metro, mentre un fondo grigliato permette alle deiezioni di cadere sul pavimento, da cui vengono rimosse. Nelle file più in alto, invece, in genere sotto le gabbie sono disposti dei nastri trasportatori e delle canaline per adempiere a questa funzione. L’uso delle gabbie purtroppo rappresenta ancora la normalità. In ognuna di esse sono inseriti da uno a tre esemplari, e quelle che ne ospitano fino a due solitamente misurano circa 20 per 35 o 30 per 25 centimetri, per un’altezza di 30 centimetri.
Allevamenti intensivi suini
Nonostante tutte le condizioni citate fino ad ora possono sembrare atroci e può risultare paradossale ciò che la legge permette, negli allevamenti intensivi suini si può assistere a scenari anche peggiori.
Il vero paradosso si verifica rispetto alla pratica del taglio della coda ai suinetti. Da oltre 25 anni la normativa europea per la protezione di questi animali ha vietato questa pratica come operazione rutinaria, ovvero sistematica. Questa pratica può essere attuata solo nel momento in cui il gestore dell’allevamento abbia provato soluzione diverse per evitare il fenomeno della caudofagia (ovvero il fatto che i suini, privi di ogni stimolo negli ambienti spogli in cui sono confinati, si mordano reciprocamente la coda). Quindi andrebbero inseriti arricchimenti ambientali, tronchi di legno e altri materiali manipolabili usati per creare un diversivo. Ma questo non accade, e la soluzione scelta da molti è quella di mozzare la coda ai suinetti senza anestesia, secondo il principio “no coda, no morso!”, una pratica che in Italia è ancora estremamente diffusa.
Per quanto riguarda poi le scrofe, sono costrette a partorire e allattare in gabbie così strette che non possono nemmeno accudire i loro piccoli.
L’allevamento intensivo è conveniente nel prezzo, ma i suoi costi ambientali e di sofferenza sono altissimi.
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