Quello dei resi gratuiti è da qualche anno uno dei cavalli di battaglia di molti eCommerce, in particolare quelli dedicati all’abbigliamento. L’idea alla base è molto semplice: poiché i clienti non hanno la possibilità di provare i capi prima di indossarli, possono approfittare della restituzione gratuita in caso il vestito fosse di una taglia sbagliata o semplicemente non gradito. Ma quale è l’impatto ambientale di questa possibilità? E, soprattutto, come vengono gestiti i resi, i prodotti rifiutati vengono rimessi in commercio?
Ho quindi cercato di capirne di più e, devo dire, il quadro che ne emerge non è proprio dei migliori in termini ambientali. È quindi necessario che tutti prendano consapevolezza di alcune lacune in questo sistema, affinché si possano effettuare acquisti davvero più sostenibili e migliorare il settore nel suo complesso.
Perché i negozi online offrono il reso gratuito?
Per molte categorie di prodotto, acquistare online non assicura la medesima esperienza dei negozi fisici. È il proprio il caso dell’abbigliamento, degli accessori e di altri prodotti legati alla moda: il cliente non può provare preventivamente il capo né verificare la qualità dei materiali, quindi si tratta di un acquisto praticamente basato sulla fiducia.
L’impossibilità di provare gli indumenti rappresenta ovviamente un deterrente all’acquisto e, così, i vari negozi online hanno trovato altre soluzioni per mantenere comunque alta la partecipazione della clientela. Una di queste è proprio il reso gratuito: non puoi verificare il capo prima di comprarlo, ma ti è concessa la possibilità di restituirlo senza costi aggiuntivi in caso non fosse di tuo gradimento.
Secondo uno studio pubblicato su The Journal of Marketing, i negozi online che offrono restituzioni a pagamento vedono una riduzione della spesa media per cliente del 75-100% entro due anni. Per contro, chi offre questo servizio vede un aumento di questa spesa tra il 158 e il 457%. È quindi semplice capire perché gli store digitali stiano sempre più puntando sul reso gratuito: incrementa le vendite e permette loro di competere con i negozi fisici.
Quali sono i costi della restituzione delle merci?
Eppure, per quanto sia gratuito per il cliente, il reso non è di certo a costo zero per il venditore. Considerando per il momento solo l’aspetto economico – quello ambientale lo analizzerò nei prossimi paragrafi – il negozio online per ogni restituzione deve farsi carico di:
- il costo del ritiro e del trasporto del prodotto restituito, tramite corriere, dall’abitazione del cliente alla sede del negozio o del magazzino;
- il costo della gestione logistica del magazzino, poiché una volta ricevuto il prodotto va prima controllato, poi si deve decidere se rimetterlo in vendita e, di conseguenza, provvedere a un nuovo confezionamento;
- il costo dell’imballaggio, in vista di un nuovo acquisto del medesimo prodotto;
- il costo per riposizionare l’oggetto nella corretta posizione del magazzino, affinché possa essere poi facilmente ritrovato in presenza di un nuovo acquisto.
Quando si parla di realtà commerciali, tuttavia, non si può pensare che le aziende si facciano carico di costi così elevati senza recuperare questa spesa altrove. E così sorge più che lecito il dubbio che, per sostenere l’elevata spesa dei resi gratuiti, si risparmi a discapito di aree più importanti, come appunto l’attenzione ambientale. Sì, perché pare che per molti store online sia meno costoso distruggere un reso che rimetterlo in vendita.
I prodotti vengono davvero recuperati dagli eCommerce?
Come già accennato, per coprire gli elevati costi del reso gratuito, sorge il lecito dubbio che molte realtà online risparmino altrove. E in effetti questa ipotesi ha trovato conferma in alcuni dati resi pubblici nel 2017 da Optoro, una società che si occupa proprio dei resi per aziende terze: solo il 10% di tutta la merce restituita finisce effettivamente sugli scaffali, il resto è destinato a discariche e inceneritori.
Optoro rivela infatti che, anche per le aziende che sono riuscite a stringere accordi favorevoli con i corrieri e vedono una gestione dei magazzini molto snella, ripristinare una restituzione per rimetterla in vendita costa più che smaltirla come rifiuto. Il gruppo ha infatti stimato in 25 centesimi a unità il costo della gestione di un reso – per confezioni fino ai 12 chilogrammi, le più diffuse – mentre destinare il prodotto alla discarica o all’inceneritore ne costa solo 10. A questo si devono anche contare i costi delle giacenze nei magazzini di logistica, pari a 500 euro al metro cubo entro i sei mesi e 1.000 euro oltre ai sei mesi, un alto costo che spinge le realtà online a preferire la distruzione dell’invenduto. Solo negli Stati Uniti, si tratta di circa 2.6 miliardi di chili di resi che finiscono nelle discariche ogni anno.
Nel 2021, un’inchiesta dell’emittente britannica ITV ha rivelato che colossi come Amazon arrivano a distruggere anche 100.000 prodotti resi ogni mese per centro logistico, anche se non difettosi e quindi adatti per una nuova vendita.
I costi ambientali dei resi gratuiti
Ma quali sono i costi ambientali della politica del reso gratuito, considerando appunto come il trend del settore sia quello di destinare le restituzioni alle discariche o agli inceneritori, anziché rivendere i prodotti?
- Costi di trasporto doppi: naturalmente, la restituzione di un articolo duplica i costi di trasporto dell’acquisto, in termini di emissioni. Oltre a quelli legati alla consegna vi sono infatti quelli relativi al ritiro;
- Costi d’imballaggio: la spedizione e il ritiro delle merci comporta una crescita delle necessità di imballaggio, aumentando la domanda di polistirolo, plastica e altri materiali inquinanti, a cui si aggiungono i più sostenibili cartone e carta. Solo negli Stati Uniti, questo ciclo dei resi coinvolge 165 miliardi di pacchi, l’equivalente dell’abbattimento di 1 miliardo di alberi;
- Costi in termini di emissioni: se ci concentriamo solo sull’industria del fast fashion, quella che online genera i maggiori resi gratuiti, il peso sulle emissioni globali di anidride carbonica e altri gas serra è del 10%, più dell’intero trasporto aereo;
- Costi di smaltimento: se inceneriti, i prodotti resi pesano ovviamente sulle emissioni di gas serra e altri inquinanti, come metalli pesanti o diossina. Se abbandonati nelle discariche, poiché spesso difficilmente riciclabili, si hanno miliardi di chili di nuovi rifiuti che finiscono ogni anno nell’ambiente.
Possibili soluzioni per un eCommerce più sostenibile
Non è sempre semplice rinunciare all’eCommerce e preferire i negozi fisici, sia per ragioni di costi che disponibilità. Tuttavia, si può lavorare molto per rendere le vendite online e i resi più sostenibili. Dal punto di vista delle aziende, si potrebbe pensare a:
- Rimborso senza sostituzione: per quei prodotti che le aziende ritengono impossibili da rimettere in vendita, e quindi destinati all’inceneritore, si potrebbe pensare al rimborso senza sostituzione. In questo modo il cliente che ha comprato un abito della taglia sbagliata può donarlo ad amici e parenti, offrendo così una seconda vita al prodotto, oppure portarlo autonomamente in centri di smaltimento e riciclo. Anche in caso l’oggetto venisse destinato ai rifiuti, si abbatterebbero almeno i costi di trasporto;
- Migliorare le etichette: indicare sul pacco il peso delle emissioni di carbonio della consegna, così da rendere il cliente più consapevole dei costi ambientali del reso. Ma anche evitare di fornire etichette di ritorno già pronte, spesso inutilizzate, per evitare lo spreco di migliaia di quintali di carta ogni anno;
- Fornire camerini virtuali: oggi la tecnologia permette al cliente di vedere un capo indossato anche in digitale, sia nel browser che ricorrendo alla realtà virtuale, aiutandolo quindi a effettuare acquisti mirati;
- Packaging più sostenibile: è necessario un maggior impegno su packaging sostenibile e riciclabile, come carta e cartone, evitando imballaggi in plastica e derivati.
E dal punto di vista del cliente? Dobbiamo imparare a essere più consapevoli delle conseguenze ambientali dei nostri acquisti. Quindi comprare beni solo quando è necessario, prediligere realtà anche online impegnate in pratiche di maggiore sostenibilità e scegliere uno stile di vita che non sia dettato da semplici mode del momento.
No Comments