L’idrogeno, sta vivendo una rinascita globale ed è stato identificato come la fonte di energia rinnovabile che potrebbe contribuire a portare il mondo a zero emissioni nette nei prossimi decenni. Ma è davvero così?
Riavvolgiamo un attimo il nastro e facciamo il punto della situazione.
Cos’è l’idrogeno?
Abbiamo anticipato che questo elemento di cui tanto sentiamo parlare può rappresentare la svolta ecologica che tanto speriamo. Ma cos’è l’idrogeno in parole semplici?
Quante volte a scuola ci hanno propinato la formula dell’acqua che è H2O? Ebbene quell’H2 sta proprio per due molecole di idrogeno. Dunque è un atomo presente in natura, componente di molte cose intorno a noi, in primis dell’acqua.
L’idrogeno è pulito, sicuro e praticamente ovunque intorno a noi; in realtà, è così diffuso da rappresentare circa il 70% della materia presente nell’universo.
C’è un solo problema. Per quanto abbondantissimo nell’universo, sulla Terra non è disponibile in natura da solo. È possibile trovarlo solo legato ad altri elementi, come appunto nell’acqua (molecola di idrogeno e ossigeno) o negli idrocarburi (insieme al carbonio). Per separarlo dagli altri elementi con cui si trova è necessario “estrarlo” con dell’energia che favorisca il processo di separazione e questo porta a un costo economico e spesso anche ambientale.
Grigio, blu o verde: questi i suoi “colori”
Le tipologie di idrogeno combustibile vengono definite con un modello “a colori”, a seconda della modalità di produzione, e ognuna di queste scelte ha i suoi vantaggi e svantaggi a breve e lungo termine.
L’“idrogeno grigio” è quello prodotto dai combustibili fossili, in particolare dal metano tramite una reazione chimica che produce CO2, che viene rilasciata nell’ambiente. In questo momento l’idrogeno grigio copre la maggior parte di quello prodotto, si parla del 99%, 44 milioni di tonnellate ottenute per il 90% da reforming principalmente del metano, per il 7% da gassificazione del carbone e per il 2% da elettrolisi.
L’idrogeno grigio è quello tecnicamente più maturo, ma l’utilizzo delle fonti fossili non è la soluzione all’emergenza climatica e investire su di esse rallenterebbe la corsa alla decarbonizzazione: è decisamente poco realistico puntare su alcune infrastrutture energetiche per poi cedere il passo ad altre dopo appena 10-15 anni, molto prima del loro fine vita. L’idrogeno fossile diverrebbe un concorrente di quello verde, ritardandone lo sviluppo.
Quello blu dovrebbe nascere da un processo alimentato da fonti fossili ma, a differenza del grigio, la CO2 sarebbe catturata e immagazzinata con un processo che però consumerà parte dell’energia impiegata.
L’idrogeno viola è prodotto tramite elettrolisi dell’acqua usando elettricità prodotta dal nucleare.
L’idrogeno “verde”, invece, è quello estratto dall’acqua, sfruttando l’elettricità prodotta da impianti ad energia solare, eolica o altre fonti rinnovabili. L’elettricità prodotta – in eccesso – che non viene utilizzata ma stoccata, alimenta celle elettrolitiche che producono idrogeno e ossigeno. In questo modo, non si emette CO2.
Il migliore e l’unico veramente pulito è quindi l’“idrogeno verde”. Esso è l’unico che assicura due importanti vantaggi:
1) utilizzo primario di fonti rinnovabili;
2) emissioni zero (solo vapore acqueo).
Tuttavia esso rappresenta attualmente meno dell’1% dell’idrogeno prodotto e usato a livello mondiale.
Perché il verde?
L’idrogeno verde è l’unico che permette di contribuire fattivamente alla decarbonizzazione dei settori energetico e industriale, i più inquinanti in assoluto, ve ne parlavo già qui.
La chiave è avere un’abbondanza di elettricità a basso costo a basse emissioni di carbonio, proveniente dal vento, dal sole e -appunto- dall’idrogeno.
Tuttavia chi pensa che l’idrogeno verde possa essere la soluzione a tutti i problemi climatici ed energetici si sbaglia perché i suoi processi di produzione richiedono un grande dispendio di energia ed è quindi opportuno concentrarne l’utilizzo solo per quei punti di consumo difficilmente riconvertibili con le rinnovabili, come i poli siderurgici o la mobilità pesante come quella navale e aerea.
L’idrogeno verde è dunque una buona opzione per le cose che non si possono elettrificare, e questa è una cosa importante, ad esempio, per i mezzi di trasporto. Pensiamo alle macchine, ormai ogni compagnia automobilistica produce i suoi veicoli elettrici o ibridi, tuttavia nonostante i passi in avanti con le sperimentazioni, le durate delle prestazioni sono sempre limitate a poche centinaia di chilometri di strada. Se in futuro questo gap potrà essere sicuramente superato, ci sono altri mezzi super inquinanti come aeri navi che difficilmente potranno essere elettrificati, e in questo caso l’idrogeno verde rappresenta l’opzione primaria di decarbonizzazione.
Idrogeno come rinnovabile: qual è la posizione dell’Italia?
A fronte di quanto appena detto penserete subito che l’idrogeno verde sia la scelta primaria di ogni paese industrializzato che ha bisogno di operare una transizione ecologica concreta e farlo in tempi rapidi. Dunque, anche l’Italia. E invece così non è: la posizione del nostro paese è ancora dubbia: la scelta è tra idrogeno verde e blu, inizialmente si era molto orientati sul secondo, nelle ultime settimane un provvedimento della Comunità Europea pare aver sparigliato le carte a favore di quella realmente sostenibile.
Insomma, il “Piano di Rinascita e Resilienza” che sta vedendo la luce in questi giorni può dimostrarsi un potente volano di sviluppo e di modernizzazione del nostro “Sistema Paese”. Tra i progetti presentati dall’Italia all’attenzione di Bruxelles figura un iniziale stanziamento di oltre 200 milioni di euro, sui 47 miliardi previsti per il prossimo decennio, per favorire la ricerca e lo sviluppo della produzione nel campo delle energie rinnovabili e speriamo solo a favore dell’Idrogeno Verde.
L’idrogeno verde rappresenta dunque un’occasione davvero unica per il processo di decarbonizzazione, saremo in grado di reggere il passo con una innovazione che diventa sempre più impellente o sarà l’ennesima opportunità sfumata?
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