A tavola

Microplastiche: quali sono i cibi più contaminati?


Tessa Gelisio, microplastiche e carta di credito

Le microplastiche sono ovunque, anche nella maggior parte dei cibi che mangiamo quotidianamente. È questa la triste realtà dell’inquinamento ambientale dovuto alla plastica: questi piccolissimi frammenti, a volte invisibili a occhio nudo, hanno ormai invaso la catena alimentare, colpendo in particolare gli alimenti di origine animale. Ma quali sono i cibi più contaminati?

Lo rivela un recentissimo studio condotto dall’organizzazione no-profit Ocean Conservancy, in collaborazione con l’Università di Toronto: la grande maggioranza dei cibi a base di proteine animali presenta purtroppo microplastiche.

Microplastiche nel cibo: lo studio

Cibo e microplastiche

Non si può dire che quello delle microplastiche non sia un problema globale. Sono infatti ubiquitarie, vengono trasportate dai venti e dalle correnti marine ovunque e sono state addirittura rinvenute nelle nuvole. Data la loro massiccia diffusione – si stima che nei paesi occidentali ogni individuo ingerisca l’equivalente di una carta di credito alla settimana – i ricercatori di Ocean Conservancy e dell’Università di Toronto hanno voluto misurare quanto siano contaminati i cibi che consumiamo ogni giorno.

Per farlo, gli scienziati si sono concentrati soprattutto sugli alimenti ricchi di proteine animali, poiché provengono dalla catena alimentare più lunga e contaminata. Il pesce e gli animali d’allevamento ingeriscono infatti continuamente microplastiche, che poi si depositano all’interno dei loro tessuti. Le fonti non sono però soltanto animali:

  • anche frutta e vegetali possono contenere microplastiche, soprattutto se coltivati in modo intensivo e su terreni contaminati;
  • non bisogna sottovalutare la contaminazione secondaria, dovuta perlopiù alla distribuzione e al packaging con cui gli alimenti entrano in contatto.

Ai fini dello studio, sono state prese in considerazione solo le microplastiche di dimensioni pari o maggiori a 45 micrometri, per limiti tecnici nella rilevazione di frammenti plastici più piccoli.

I cibi più contaminati da microplastiche

I ricercatori hanno analizzato 111 campioni di cibi ricchi di proteine animali, suddivisi in 16 macrocategorie. In tutti i 16 gruppi sono state rinvenute microplastiche e, in merito ai singoli campioni, frammenti superiori ai 45 micrometri sono stati trovati nell’88% degli alimenti. In linea generale, gli scienziati hanno scovato soprattutto fibre tessili sintetiche, frammenti di plastica rigida e gomme, di colore blu, nero e grigio. La dimensione media delle microplastiche rinvenute è tra gli 0.04 e i 2.7 millimetri di lunghezza.

Dai dati raccolti, è stato possibile stilare la lista dei cibi più contaminati da microplastiche, calcolandone la quantità per singolo pasto e suddividendoli in tre gruppi: pesce, carne e alimenti proteici a base di vegetali. È però utile sottolineare che la scelta degli alimenti si basa sui consumi tipici statunitensi: le quantità di microplastiche potrebbero variare da una zona all’altra del globo, sebbene i livelli di contaminazione rimangano perlopiù gli stessi.

Le microplastiche nel pesce

Microplastiche nei gamberetti impanati

Il pesce rappresenta l’alimento più contaminato da microplastiche. Non di certo una sorpresa, se si considera come proprio mari e oceani siano gli ambienti dove le microplastiche sono presenti in misura maggiore. Questi frammenti entrano nella catena alimentare perché ingeriti involontariamente da molluschi, crostacei e pesci, arrivando poi sulle nostre tavole.

Fra i piatti a base di pesce più contaminati, ecco i frammenti di plastica a singolo pasto:

  • gamberetti impanati: tra i 370 e i 580;
  • bastoncini di pesce: tra i 58 e i 57;
  • gamberetti bianchi lavorati: tra i 54 e i 87;
  • gamberetti rosa freschi: tra i 49 e i 36;
  • gamberetti rosa lavorati: tra i 42 e i 39;
  • merlano fresco: tra gli 11 e i 16;
  • merlano lavorato: tra i 9 e i 17;
  • gamberetti bianchi freschi: tra i 10 e gli 11.

In tutti i test, i crostacei emergono come i prodotti ittici maggiormente contaminati da microplastiche, forse per le abitudini tipiche di questi animali: sono onnivori e si nutrono per la gran parte, oltre che di piccoli insetti e vegetali, di detriti che trovano sui fondali marini.

Le microplastiche nella carne

Nugget di pollo

Anche i prodotti a base di carne sono contaminati da microplastiche, seppur in misura decisamente minore rispetto al pesce. La fonte più frequente della contaminazione è l’acqua di cui gli animali di allevamento si avvalgano, così come erbe, ortaggi e cereali cresciuti su terreni ricchi di frammenti plastici.

Fra i cibi a base di carne, ecco quelli dai più frammenti di plastica a singolo pasto:

  • nugget di pollo: tra i 62 e i 78;
  • controfiletto di manzo: tra i 25 e i 38;
  • lombata di maiale: tra i 2 e i 4;
  • petto di pollo: tra i 2 e i 3.

Le microplastiche negli alimenti proteici a base di vegetali

Microplastiche nel tofu

Infine, i ricercatori hanno voluto indagare i sempre più diffusi alimenti proteici a base vegetale: quelli che, di fatto, sostituiscono carne e pesce all’interno delle diete vegetariane e vegane.

Fra i prodotti con i maggiori frammenti per singolo pasto, si elencano:

  • nugget vegetali: tra i 73 e i 90;
  • bastoncini vegetali, sostitutivi di quelli di pesce: tra i 46 e i 59;
  • carne vegetale: tra i 10 e gli 11;
  • preparati a base di tofu: tra i 3 e i 7.

Altre evidenze sulle microplastiche nei cibi

Mele

Come ho già accennato, lo studio in questione ha preso in considerazione abitudini alimentari tipicamente statunitensi e, per questa ragione, non sono stati considerati dei cibi tipicamente più diffusi nelle diete europea e mediterranea. Tuttavia, nel corso del 2023 è stato pubblicato un rapporto FAO, che ha evidenziato la contaminazione in diversi alimenti molto comuni anche fra noi italiani.

In questo caso, vengono considerati i livelli di microplastiche per grammo di cibo:

  • cozze: 12.8 mp/g;
  • molluschi: 10.5 mp/g;
  • gamberetti: 4.8 mp/g;
  • ostriche: 7.2 mp/g;
  • sale: 19.8 mp/g;
  • miele: 0.66 mp/g;
  • zucchero: 0.39 mp/g;
  • acqua del rubinetto: 0.06 mp/g.

Per frutta e verdura, invece, uno dei riferimenti è un interessante studio condotto nel 2020 dall’Università di Catania. Si tratta, infatti, della prima analisi al mondo che è riuscita a identificare microplastiche inferiori ai 10 micrometri, con i seguenti risultati per grammo:

  • mele: 195.500;
  • pere: 189.500;
  • broccoli: 126.150;
  • carote: 101.950;
  • lattuga: 50.550.

Le cifre sono incredibilmente superiori rispetto agli studi poiché, come già accennato, in questo caso sono state considerate anche microplastiche di dimensioni davvero piccole, quelle che spesso sfuggono per limitazioni tecnologiche alle analisi più comuni.

In definitiva, la nostra catena alimentare è invasa dalle microplastiche e le ingeriamo quotidianamente, senza nemmeno rendercene conto. Gli effetti sulla salute non sono ancora chiari, ma si ipotizza che questi frammenti di plastica possano essere degli interferenti endocrini. Che fare? Sulle microplastiche già diffuse nell’ambiente, poco: poiché si tratta di frammenti davvero piccoli, non esistono tecnologie sufficientemente affinate per la loro raccolta. Di certo possiamo agire a monte, riducendo la nostra dipendenza dalla plastica con consumi più consapevoli e con il corretto smaltimento dei nostri rifiuti.

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