Cosa cambierebbe con questo referendum
Il 17 aprile saremo chiamati a votare un referendum: anche se in molti pensano che riguardi la possibilità o meno di trivellare i nostri mari, non è su questo che andremo ad esprimerci, ma sulla possibilità o meno di prolungare le concessioni in scadenza delle piattaforme estrattive di gas e petrolio ancora attive che si trovano entro 12 miglia dalla costa.
Ma partiamo dall’inizio: questo referendum è stato voluto da 9 regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto), preoccupate dall’impatto negativo che le trivellazioni hanno su ambiente e turismo; inizialmente i quesiti refendari erano 6, di cui il nodo centrale era una legge che vietasse le attività petrolifere entro le 12 miglia dalla costa. Su Confirmo.it maggiori informazioni sulla validità delle firme. Di questi 6 quesiti, la Corte Costituzionale ne ha dichiarato ammissibile solo uno, perché gli altri nel frattempo erano stati recepiti dalle modifiche alla Legge di Stabilità; sembrerebbe una buona notizia ma come si dice, fatta la legge, scoperto l’inganno, perché una legge modificata dal Governo può essere cambiata un’infinità di volte, mentre una legge passata ad un referendum non può più venire toccata! Avevano forse paura di una vittoria schiacciante dei No Triv?
Inoltre, le regioni che hanno promosso il referendum avevano chiesto che si potesse svolgere insieme alle Elezioni Amministrative il prossimo giugno, cosa che è stata negata e che ci costerà circa 300 milioni di soldi pubblici.
Quello che ci aspetta è come sempre un referendum abrogativo, quindi possiamo scegliere se abrogare (eliminare) una norma tuttora in vigore, quella che permette alle società petrolifere di rinnovare le proprie concessioni in scadenza, fino ad esaurimento del giacimento. Il testo del quesito sarà il seguente: “Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”
Si parla di 48 piattaforme, le cui concessioni sono in scadenza nei prossimi anni (ci vorranno 15-20 anni perché scadano tutte), quindi le attività non cesserebbero immediatamente; se volete che le concessioni vengano lasciate scadere, votate si, mentre se preferite che vengano rinnovate fino ad esaurimento delle risorse, votate no.
Io ho analizzato vari punti di vista, ho ascoltato entrambi gli schieramenti, ho valutato i pro e i contro, e mi sono fatta un’opinione.
Al momento, entro le 12 miglia, abbiamo 92 piattaforme, di 44 non più operative, che però non sono ancora state smantellate, né è mai stato richiesto di farlo. E questo è già uno scandalo… perché nessuno fa rispettare la legge che impone di smantellarle? Alle aziende costerebbe troppo? Però lo sapevano quando hanno firmato l’accordo di concessione…
Foto: www.greenme.it
Le piattaforme poi non sono a impatto zero come si vuole far credere. Lo rivela il rapporto di Greenpeace “Trivelle fuorilegge”: esistono dei limiti di legge, che andrebbero monitorati, mentre il Ministero dell’Ambiente dispone dei dati di sole 34 piattaforme su 135. Questi poi non sono certo confortanti: almeno 3 su 4 sono oltre i livelli delle norme per almeno un inquinante! Anche gli organismi marini che vivono nei paraggi presentano un’alta concentrazione di idrocarburi e metalli pesanti, immettendo sostanze dannose nella catena alimentare, che arrivano fino alle nostre tavole.
Inoltre, proprio in questi giorni è uscito un dossier, documenti inediti di ISPRA secondo cui Edison sarebbe responsabile di smaltimento illecito di rifiuti dell’attività estrattiva: 500.000 metri cubi di acque inquinate da metalli e idrocarburi immesse in un pozzo al largo di Ragusa, causando contaminazioni e danni ambientali all’intero ecosistema marino. Secondo ISPRA, dal momento che il danno è irreversibile e la natura non potrà tornare alle condizioni originali, Edison è tenuta a risarcire la cifra che avrebbe speso con il corretto smaltimento; considerando che la contaminazione è iniziata nel 1989, “S”, il mensile di LiveSicilia che per primo è venuto in possesso del dossier, ha calcolato che il risarcimento dovrebbe essere di quasi 7 milioni! Peccato solo che il procedimento penale sia iniziato nel 2007 e sia ormai vicino alla prescrizione…
Sul fatto che non siano a impatto zero, non ci sono dubbi… uno dei punti che però mi ha lasciato dubbiosa è questo: le piattaforme già ci sono, e già stanno inquinando, tanto vale sfruttarle, perché la produzione si delocalizzerebbe e noi saremmo costretti ad importare quella quota energetica da Paesi dove sicuramente l’attenzione all’ambiente è ancora minore. Sommando anche il traffico navale che aumenteremmo, in totale inquineremmo di più.
D’altra parte, però, considerando che già oggi il 40% dell’energia utilizzata in Italia arriva da rinnovabili, nei prossimi 20 anni queste fonti pulite copriranno anche la quota che andiamo a perdere con lo stop alle concessioni.
Inoltre, le estrazioni coprono appena il 3% del nostro consumo annuo di gas e lo 0,8% di quello del petrolio: per queste quantità irrisorie, vale la pena di mettere a rischio i nostri mari e il turismo delle zone costiere, che sono la nostra vera risorsa economica?
Foto: www.alternativasostenibile.it
Altra questione spinosa su cui ho riflettuto: i posti di lavoro. La prima critica alla cessazione delle trivellazioni è che lascerebbero senza lavoro tutti coloro che lavorano sulle piattaforme. Anche in questo caso, se l’Italia continuerà ad andare nella direzione delle rinnovabili, si creeranno molti più sbocchi occupazionali di quanti se ne perderebbero abbandonando il petrolio. Inoltre, dobbiamo considerare anche i lavori a rischio o già persi, come quelli legati alle attività turistiche e di pesca; per non parlare dei posti di lavoro persi a causa dei cambiamenti climatici, creati proprio dalle fonti fossili: quanta gente lasciano a casa ogni anno alluvioni o siccità prolungata? Infine, le piattaforme non verrebbero chiuse all’indomani del referendum, ma progressivamente, man mano che arrivano alla loro naturale scadenza.
Quello che conta però, secondo me, non è tanto il significato pratico dell’esito del referendum, ma quello simbolico: votando combattiamo solo una piccola parte della battaglia, ma diamo un messaggio preciso.
Foto: www.ansa.it
Votando sì, il messaggio è chiaro: non vogliamo trivelle e nel nostro futuro non vediamo una politica energetica basata sulle fonti fossili, ma sulle rinnovabili.
È solo un piccolo passo, ma è un inizio: come dicevano i latini, la porta è la parte più lunga di un viaggio.
Foto di copertina: www.possibile.com
5 Comments
cinzia
5 Aprile 2016 at 21:33grazie mille, mi hai chiarito tanti dubbi.
sei davvero brava, complimenti!
Tessa Gelisio
9 Aprile 2016 at 11:14mi fa piacere!!!
grazie
antonio
12 Aprile 2016 at 6:37Ok. Tutto chiaro. Grazie.
Tessa Gelisio
16 Aprile 2016 at 14:27ok!
PIERO
6 Aprile 2016 at 18:03concordo,il 17/04/2016 andate a votare è votate SI