Punto di vista

SIN: quali sono i luoghi più inquinati d’Italia


Tessa Gelisio, SIN

Quello che vedete alle mie spalle è un SIN, un Sito d’Interesse Nazionale. Eppure, a discapito del nome, non si tratta di un luogo dalla natura incontaminata e dall’incredibile biodiversità, bensì di un sito dove i livelli di inquinamento sono particolarmente elevati. Proprio così: da anni, il Ministero dell’Ambiente aggiorna la lista di tutte le località italiane dove le concentrazioni di contaminanti sono talmente elevati, da mettere a repentaglio non solo la fauna e la flora locale, ma anche la salute dell’uomo.

L’individuazione dei SIN è cominciata nel 1998, sulla base dell’approvazione del Decreto Legislativo 152 del 3 aprile dello stesso anno: la legge impone infatti che spetti allo Stato di identificare tutti quei siti che devono essere bonificati. Dalla teoria alla pratica il passo è però molto lungo e, a 25 anni di distanza, sono almeno 42 le località che destano le maggiori preoccupazioni. Ma quali sono, quali i pericoli?

La grave situazione dei SIN

Nel nostro Paese esistono almeno 42 zone, opportunamente individuate e delimitate dal Ministero dell’Ambiente, dove i livelli di inquinamento raggiungono livelli a dir poco record. Recarsi in questi luoghi significa spesso inalare aria non salubre, entrare in contatto con acque pericolose ed esporsi a sostanze dannose per la salute: metalli pesanti, solventi, diossina, combustibili fossili, formaldeide, VOC, acidi corrosivi e molto altro ancora. Nella maggior parte dei casi si tratta di zone industriali, sia attive che dismesse, che nel corso degli ultimi 50 anni hanno contaminato le aree, anche e soprattutto in passato per via di normative meno stringenti in materia di scarichi e contenimento delle emissioni.

Purtroppo, chi è costretto a vivere nei pressi di queste zone non conduce una vita semplice. Così come evidenziato dallo studio Sentieri dell’Istituto Superiore di Sanità, sulla base dei dati raccolti tra il 2013 e il 2017, nei SIN si registra un aumento di decessi rispetto ad altre zone d’Italia: ben 1.668 in più. E si muore più che altrove per tumori, patologie respiratorie e disturbi cardiaci, con una particolare incidenza di diagnosi in età pediatrica: un +8% rispetto al resto dello Stivale. Eppure, in una situazione di così elevato allarme, le operazioni di bonifica procedono con relativa lentezza, tanto che difficile è prevedere quando questi luoghi verranno effettivamente messe in sicurezza.

SIN: dove sono i luoghi più inquinati d’Italia

Come ho già spiegato, sono 42 i SIN – ovvero i luoghi più inquinati d’Italia – individuati dal Ministero per la loro futura bonifica. Ma dove si trovano e quali problematiche presentano? Sul sito dell’ISPRA è disponibile la mappa completa di tutti i Siti d’Interesse Nazionale, mentre su quello del MITE le schede di tutte le località.

I SIN del Nord Italia

Amianto

Partendo dal Nord Italia, sono numerosi i Siti d’Interesse Nazionale inquadrati dal Ministero per le operazioni di bonifica, vista anche la forte industrializzazione che proprio le regioni del Nord hanno registrato sin dalla metà del secolo scorso. Ma quali sono e quali problemi d’inquinamento sono stati rilevati?

  • Venezia – Porto Marghera (Veneto): esteso per circa 1.618 ettari, si tratta di un polo produttivo ricco di raffinerie, impianti chimici, petrolchimici e acciaierie. Nel suolo si sono rilevati livelli elevati di metalli pesanti e idrocarburi, nelle acque oltre a questi anche composti organo-clorurati;
  • Pieve Vergonte (Piemonte): pari a 15.150 ettari, in particolare nei pressi del fiume Toce, del lago Mergozzo e porzioni del Lago Maggiore. Le problematiche maggiori sono connesse allo stabilimento ex Syndial, ora Enirewind, attivo sin dal 1915 e divenuto negli anni ‘40 uno dei grandi poli per la produzione di DDT. Oltre a questo composto, sia nel suolo che nelle acque si sono rilevati livelli elevati di arsenico, mercurio e composti cloro-aromatici;
  • Laghi di Mantova e Polo Chimico (Lombardia): circa 1.027 ettari, contaminati dall’attività di diverse aziende chimiche nei pressi dei laghi Mezzo, Inferiore e del fiume Mincio. Tra gli inquinanti rilevati in acqua e nel suolo, metalli pesanti, BTEX, idrocarburi, diossine, composti alifatici clorurati sia cancerogeni che non cancerogeni, composti organici aromatici e molti altri ancora;
  • Trieste (Friuli Venezia Giulia): esteso per 1.195 ettari, comprende la baia di Muggia e la ferriera di Servola, nonché le aree di discarica dalle aziende siderurgiche e metallurgiche locali. Tra i contaminanti più diffusi, idrocarburi, metalli pesanti e composti chimici cancerogeni di varia natura;
  • Casale Monferrato (Piemonte): circa 73.895 ettari che, oltre alla città di Casale Monferrato, comprendono 48 comuni tra Alessandria, Vercelli e Asti. Le problematiche rilevate sono dovute all’ex stabilimento Eternit di Casale Monferrato, con contaminanti dovuti alla lavorazione dell’amianto, presenti sia nei suoli che nei sedimenti;
  • Cengio e Saliceto (Liguria): esteso per 22.249 ettari nella valle del fiume Bormida, questo SIN è dovuto alla presenza di stabilimenti chimici sin dalla fine dell’Ottocento, più volte riconvertiti nel corso degli anni, dalla produzione di esplosivi fino a coloranti e farmaceutici. Nelle aree analizzate si sono rilevati livelli elevati di metalli pesanti, composti semivolatili come il clorobenzene e quantità eccessive di ferro, manganese e arsenico;
  • Cogoleto – Stoppani (Liguria): circa 45 ettari, nelle aree adiacenti dell’omonimo ex stabilimento Stoppani, specializzato negli anni ‘40 nella produzione di bicromato di sodio. Le rilevazioni, in particolare in acqua, hanno evidenziato idrocarburi, cromo, nichel, solfati, tricloroetilene e tetracloroetilene;
  • Balangero (Piemonte): 310 ettari, dovuti all’ex miniera di amianto di Balangero e Corio, avviata negli anni ‘20 del secolo scorso. Le contaminazioni d’amianto sono presenti nel suolo, nelle acque e nei fanghi e derivano dalla vecchia attività mineraria;
  • Sesto San Giovanni (Lombardia): 255 ettari nelle aree industriali del Comune alle porte di Milano, gestiti in passato da stabilimenti siderurgici come Falck, Breda e Marelli. Si rilevano nel suolo e nelle acque elevati livelli di idrocarburi, diossine, PCB e scorie di acciaieria;
  • Brescia – Caffaro (Lombardia): esteso per 262 ettari, il SIN comprende le aree un tempo impiegate dagli stabilimenti Caffaro per la produzione di derivati del cloro per processo elettrolitico e PCB. Fra gli inquinanti di terra e suolo, si rilevano idrocarburi, metalli pesanti, composti alifatici clorurati cancerogeni, clorobenzeni, fitofarmaci, solventi, cromo esavalente e mercurio;
  • Caffaro di Torviscosa (Friuli Venezia Giulia): circa 201 ettari, nelle aree dello stabilimento Caffaro che, negli anni ‘50, produceva cloro-soda e altri composti clorurati. In acqua e nel suolo si rilevano metalli pesanti, diossina, composti organici di varia natura, mercurio e idrocarburi;
  • Serravalle Scrivia (Piemonte): esteso per 7 ettari, il SIN riguarda le ex aree occupate da stabilimenti chimici e petrolchimici, soprattutto negli anni ‘40 e ‘50 del secolo scorso, specializzati nella produzione di oli minerali solforati. La contaminazione riguarda lo smaltimento illegale di rifiuti tossico-nocivi, lo sversamento di melme acide, idrocarburi e metalli pesanti;
  • Broni (Lombardia): un’area di 15 ettari attinente allo stabilimento Fibronit che, a partire dagli anni ‘30, produceva materiali di cemento ed eternit, come tubi, lastre ondulate e canne per camini. La contaminazione riguarda l’amianto, sia nel suolo che nelle acque, così come nei sedimenti adiacenti allo stabilimento; 
  • Pioltello – Rodano (Lombardia): circa 85 ettari all’interno del Polo Chimico tra i comuni di Pioltello e Rodano, utilizzati negli anni da diverse aziende. Si rilevano composti clorurati, composti organici, cromo esavalente, metalli pesanti, idrocarburi, benzene, PCB e molti altri;
  • Trento Nord (Trentino): all’incirca 21 ettari, dovuti alla passata presenza di stabilimenti siderurgici e petrolchimici, per la produzione di piombo tetraetile, naftalina, solventi per legno, peci e catrame. Nel suolo e nell’acqua si rilevano piombo, mercurio, idrocarburi, solventi aromatici, naftalene, fenoli e IPA;
  • Fidenza (Emilia Romagna): circa 25 ettari, relativi all’area di produzione di vecchi stabilimenti chimici e petrolchimici, per la produzione di acido fosforico, fertilizzanti fosfatici, piombo tetraetile, oli minerali e catrame. Le aree analizzate vedono alti livelli di piombo, idrocarburi, naftalene, arsenico, benzene, rame, zinco e alifatici clorurati cancerogeni;
  • Emarese (Valle d’Aosta): area di 23 ettari, un tempo dedicata all’estrazione dell’amianto. Le problematiche principali riguardano proprio la contaminazione di amianto, in particolare nel suolo, nei pressi di centri abitati;
  • Officina Grande Riparazione ETR di Bologna (Emilia Romagna): circa 13 ettari un tempo dedicati alla manutenzione degli elettrotreni. Il sito è stato individuato come SIN per l’elevata presenza di amianto.

I luoghi più inquinati al Centro Italia

SIN del Porto di Livorno

Scendendo verso il Centro Italia, si incontrano altri SIN individuati dal Ministero, la maggior parte dei quali connessi ad attività industriali molto attive nel corso del ‘900:

  • Falconara Marittima (Marche): circa 1.200 ettari, perlopiù in mare, dovuti alle vecchie attività di raffinerie e depositi petroliferi, così come di produzione di concimi fosfatici. Nelle acque si rilevano alte concentrazioni di idrocarburi, ceneri di pirite, residui fosfatici, solventi clorurati e metalli pesanti;
  • Piombino (Toscana): esteso per 931 ettari, istituiti di recente come SIN per la presenza di diverse realtà siderurgiche e per la crisi che ha coinvolto gli stabilimenti Lucchini. Le rilevazioni parlano di “uno stato di compromissione molto marcato”, con contaminazione di suolo e acque di falda con IPA, idrocarburi, metalli pesanti, alifatici clorurati cancerogeni e non cancerogeni, PCB e altro ancora;
  • Orbetello area ex-Sitoco (Toscana): circa 336 ettari, tra i comuni di Orbetello e Monte Argentario. In quest’area sin dall’800 si sono insediate numerose attività produttive, dalle miniere di ferro magnesifero alla creazione di fertilizzanti chimici, acido solforico, catrame ed esplosivi. Sul posto si rileva una contaminazione diffusa del suolo con metalli pesanti e dell’acqua con manganese, ferro, solfati e metilmercurio;
  • Livorno (Toscana): area nei pressi del porto, dove hanno operato principalmente quattro tipologie di stabilimenti, ovvero raffinerie, depositi costieri, attività artigianali e una centrale termoelettrica. Le contaminazioni riguardano principalmente le acque costiere con metalli pesanti, IPA, alifatici clorurati cancerogeni e idrocarburi;
  • Massa e Carrara (Toscana): 116 ettari un tempo occupati da stabilimenti di chimica integrata, per la produzione di pesticidi, fitofarmaci, concimi, acido solforico, acido nitrico e leghe ferrose. Le contaminazioni riguardano metalli pesanti, cloro, pesticidi, composti azotati, IPA, fenoli, ammoniaca e pesticidi clorurati, sia nel terreno che in acqua;
  • Bacino del fiume Sacco (Lazio): il SIN si estende su circa 7.200 ettari e coinvolge diversi comuni del basso Lazio, dove si dagli anni ‘30 sono sorte numerose aziende chimiche specializzate in acido solforico, esplosivi e composti chimici destinati all’industria agro-alimentare. Si rilevano alti livelli di beta-esaclorocicloesano, una sostanza dannosa contenuta in pesticidi, insetticidi e antiparassitari, ma anche metalli pesanti, solventi e idrocarburi. 
  • Bussi sul Tirino (Abruzzo): un’area mediamente vasta dove, qualche anno fa, sono stati rinvenuti rifiuti industriali abusivamente interrati. Negli anni la zona ha visto fiorire diverse industrie chimiche. Oggi si registrano alte concentrazioni di metalli pesanti, idrocarburi, IPA, diossine, composti alifatici clorurati cancerogeni e non cancerogeni e altro ancora, sia nell’acqua che nel suolo;
  • Terni – Papigno (Umbria): 650 ettari caratterizzati da diverse aree di discarica, alcune delle quali non dotate di presidi ambientali. Nel SIN, oltre a un’area agricola e boschiva, sono negli anni stati presenti dei poli siderurgici e aree industriali varie. Si rilevano fenomeni di inquinamento delle falde acquifere con metalli pesanti, dovuti alla penetrazione del suolo di composti chimici dalle discariche.

Per la Toscana, vale la pena segnalare anche la complessa situazione di Rosignano Solvay, un’area già definita nel 1999 dall’UNEP come uno dei siti più inquinati del Mediterraneo e uno dei 15 hotspot da monitorare in Italia. Qui le attività di produzione di carbonato e bicarbonato di sodio, soda caustica, acqua ossigenata e altri composti chimici hanno portato a una vasta contaminazione, resa anche famosa dalle spiagge “bianche” – per effetto del carbonato di sodio – della stessa Rosignano.

I SIN rilevati al Sud e nelle Isole

Acciaieria

Infine, è necessario uno sguardo anche al Sud e alle Isole, dove vi sono diverse situazioni critiche da tenere sotto controllo:

  • Taranto (Puglia): area già definita a “elevato rischio ambientale”, si estende su 4.383 ettari di terreno e 7.005 di mare. Qui è sorto un vasto polo siderurgico e per la produzione di cementi che ha coinvolto più di 200 aziende, tra cui la nota ex Ilva di Taranto, oggi Acciaierie d’Italia. Le principali contaminazioni sono da metalli pesanti, diossine, idrocarburi, solventi e molti altri, sia nell’acqua che nel suolo, nonché residui della lavorazione degli acciai che spesso si depositano sui centri abitati, determinando pericoli per inalazione;
  • Brindisi (Puglia): circa 5.600 ettari a mare e 5.851 a terra, dovuti alle industrie petrolchimiche che si insediarono nella zona a partire dagli anni ‘50 e ‘60. Le contaminazioni riguardano mercurio, idrocarburi, cadmio, vanadio, arsenico, manganese, nichel, cobalto, clorobenzene, anilina e molti altri;
  • Priolo (Sicilia): circa 5.815 ettari a terra e 10.185 in mare, questo SIN coinvolge diversi comuni siciliani e deriva da un ex polo industriale specializzato in petrolchimica, produzione di cementi e raffinerie, ma anche da discariche illegali e dai vecchi stabilimenti Eternit di Salina. Si rilevano in acqua e nel suolo idrocarburi, diossine, metalli pesanti, derivati del piombo, amianto e molti altri ancora; 
  • Sulcis – Iglesiente – Guspinese (Sardegna): 32.415 ettari di mare e 19.750 di terra, in diversi comuni del Sud della Sardegna e del cagliaritano. Qui negli anni si sono sviluppati numerosi agglomerati industriali, principalmente dedicati all’attività di estrazione mineraria e alla raffinazione. Si rilevano metalli pesanti, piombo, zinco, alluminio, idrocarburi, IPA, composti organici clorurati, solventi, residui minerali e molto altro ancora;
  • Aree industriali di Porto Torres (Sardegna): oltre 4.600 ettari, dovuti principalmente alle attività di stabilimenti petrolchimici e di una centrale termoelettrica. Le contaminazioni riguardano sia l’acqua che il suolo, con elevati livelli di metalli pesanti, solventi clorurati, idrocarburi, IPA, diossine e alifatici clorurati cancerogeni;
  • Area vasta di Giugliano (Campania): non ancora completamente perimetrato, questo SIN è uno dei più recenti e riguarda la cosiddetta “Terra dei Fuochi”, dove le attività illecite di smaltimento e incendio di rifiuti – sia domestici che industriali, spesso provenienti dalle regioni del Nord – hanno portato a un’elevata concentrazione di inquinanti, in particolare diossine, sia nel suolo che nel terreno;
  • Napoli Bagnoli – Coroglio (Campania): 249 ettari a terra e 1.453 in mare, dovuti principalmente a impianti siderurgici e per la produzione di Eternit. Si rilevano metalli pesanti, amianto, idrocarburi, solventi, IPA, ferro, manganese, nichel e molti altri;
  • Napoli Orientale (Campania): 830 ettari a terra, più oltre 13 km quadrati in mare, dovuti alla presenza di numerosi stabilimenti petrolchimici, manifatturieri e artigianali, a cui si aggiunge una centrale termoelettrica. Sia in acqua che in mare sono elevati i livelli di idrocarburi, metalli pesanti, IPA, PCB, composti alifatici cancerogeni e non cancerogeni, solventi e diossine;
  • Crotone – Cassano – Cerchiara (Calabria): un’area da 848 ettari a terra e 1.448 in mare, derivata dalla compresenza di aree industriali, attività agricole e discariche. In particolare, le contaminazioni sono dovute a scorie di cubilot per la realizzazione del Conglomerato Idraulico Catalizzato, un fondo stradale popolare negli anni ‘90;
  • Manfredonia (Puglia): oltre 860 ettari connessi al locale polo chimico, legato a diverse aziende. Si registrano alti livelli di idrocarburi, metalli pesanti, BTEX, catrame, arsenico, amianto, solfati, benzene, cloro, cloroformio, berillio, stagno e molti altri ancora;
  • Milazzo (Sicilia): 550 ettari a terra e 1.000 a mare, che coinvolgono diversi comuni siciliani. A partire dagli anni ‘60, qui è sorto un polo industriale per la raffinazione del petrolio, la produzione di energia elettrica, la siderurgia, la lavorazione dell’amianto e la produzione di componenti elettronici. L’inquinamento riguarda sia la terra che il mare, con livelli elevati di diossina da combustione dei rifiuti, amianto, metalli pesanti e idrocarburi;
  • Gela (Sicilia): un SIN da 795 ettari, dovuto a un polo industriale di elevate dimensioni, in particolare del settore petrolchimico e della raffineria di oli minerali. Sia al suolo che nelle acque di falda si sono trovate alte concentrazioni di idrocarburi, metalli pesanti, IPA, ammoniaca, piombo tetraetile, PCB e molti altri;
  • Aree industriali della Val Basento (Basilicata): circa 3.330 ettari tra diversi comuni della Basilicata, lungo l’asta fluviale del fiume Basento. Negli anni, qui si sono insediate diverse aziende petrolchimiche e alcuni stabilimenti per la produzione di agglomerati cemento-amianto. Le contaminazioni riguardano metalli pesanti, IPA, diossine, amianto e solventi clorurati, spesso al confine con aree prettamente agricole;
  • Tito (Basilicata): un SIN di circa 315 ettari, a 4.5 chilometri dal centro abitato di Tito. Oltre a stabilimenti chimici dismessi, si rilevano nell’area fabbricati e impianti abbandonati, discariche abusive e cumuli sparsi di rifiuti. Elevata la presenza di contaminazioni da amianto, fosfogesso, polveri siderurgiche, residui di concimi chimici, diossine, cloroformio, cloruro di vinile e altri composti clorurati;
  • Biancavilla (Sicilia): un’area di 330 ettari, singolare rispetto agli altri SIN già elencati. Qui sono sono presenti attività industriali chimiche, ma da tempi immemori vi è l’estrazione di vari minerali. Fra questi delle fibre asbestiformi e amianto di origine vulcanica, presenti naturalmente in loco, e responsabili di una contaminazione di origine ambientale;
  • Bari – Fibronit (Puglia): 15 ettari connessi all’ex stabilimento Fibronit, a cui si aggiunge un’area perimetrata di 11.317 ettari, dove per anni si sono prodotti manufatti a base di amianto. Le contaminazione di acqua e suolo sono proprio dovute a questo minerale.

Davanti a una situazione così preoccupante, non possiamo rimanere di certo inermi. È necessario che le operazioni di bonifica proseguano seriamente e senza rallentamenti o intoppi, per permettere a queste zone di tornare a vivere e svilupparsi in piena sicurezza, sia per l’ambiente che per la salute!

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