Punto di vista

Tumore al pancreas, intervista al Dott. Tuveri


Parlare del tumore al pancreas è difficile, non soltanto per quel che riguarda la terminologia medica e le eventuali implicazioni cliniche. Purtroppo recentemente ho perso qualcuno a me caro a causa di questo male, il che mi ha spinta a volerne sapere di più riguardo questo “killer silenzioso”. Sì, proprio così, questo particolare tipo di tumore tende a manifestarsi con sintomi evidenti quasi sempre quando ormai ha raggiunto uno stadio avanzato di gravità.

Una patologia tumorale la cui diffusione sta aumentando rapidamente negli ultimi anni, tanto che entro il 2030 molto probabilmente sarà la seconda causa di mortalità per tumore al mondo. Ne ho parlato con il Dott. Massimiliano Tuveri, Dirigente Medico presso lUnità di Chirurgia del Pancreas del Policlinico Borgo Roma di Verona. Si tratta di uno dei centri maggiori per volumi e per attività scientifica al mondo.

In Italia risulta essere il centro che fa più chirurgia pancreatica, e anche dal punto di vista scientifico la produzione è di primissimo livello. Dispone inoltre di un centro dedicato soprattutto alla chirurgia dei tumori neuroendocrini e alla ricerca dei tumori di questo tipo.

Dott. Tuveri, siamo di fronte a un aumento dei tumori al pancreas così netto o è semplicemente in aumento al pari di altre forme tumorali?

È un aumento piuttosto evidente. Diciamo che entro il 2030, come proiezione, il tumore del pancreas diventerà la seconda causa di morte per tumore dopo quello del polmone. Stiamo parlando di numeri impressionanti.

Come mai si sta verificando un aumento così significativo? Ci sono ipotesi relative a tale crescita nel numero dei casi di tumore al pancreas?

Le ipotesi sono diverse. Innanzitutto, si vive di più ed è chiaro che corriamo tutti il rischio di ammalarci per tumore, in senso lato vale per tutti i tipi. La fascia di età più colpita è quella dai 60 anni in su. Altre cause sono rappresentate dall’incremento ponderale (sovrappeso e obesità), il diabete mellito di tipo II, una storia di pancreatite cronica, in particolare le forme cosidette ereditarie. A questo concorrono sicuramente uno stile di vita non congruo: il fumo, l’abuso di alcolici, ambiente inquinato. Il pancreas per certi versi è molto sensibile agli stessi fattori di rischio del polmone.

L’alimentazione gioca un ruolo di primissimo piano ma molto poco conosciuto e quindi sottovalutato. Non si tratta infatti semplicemente del fatto che mangiamo cibi molto sofisticati e molto ricchi soprattutto di grassi, oltre al cosidetto “junk food”. E’ l’apporto calorico eccessivo che fa la vera differenza. Molti pazienti giungono alla nostra osservazione sovrappeso o con franca obesità.

Viene spesso sottovalutato, in quanto poco noto, il fatto che il processo digestivo sia uno dei processi più complessi che avvengano nel nostro l’organismo. Questo processo coinvolge e sollecita il sistema immunitario. Il sistema immunitario, per esemplificare, è come un esercito. Se noi impieghiamo in modo continuativo, cronico, parte di questo esercito nell’attività digestiva, sguarniamo altre attività di controllo. Sappiamo infatti da ampia letteratura che il paziente obeso è più predisposto a sviluppare tumori. Inoltre, i cibi molto calorici e sofisticati impongono un impegno digestivo e un surplus di attività da parte del pancreas.

Una regolare attività fisica e mangiare sano ed equilibrato con un giusto apporto calorico sono la condizione necessaria, non sufficiente, per mantenere l’organismo in forma. Devono cioè convergere tanti fattori anche se il ruolo principale è svolto dal proprio patrimonio di DNA.

Possiamo dire quindi che i vari tipi di fattori di rischio si innescano a causa del superlavoro a cui viene costretto il pancreas?

Faccio un esempio pratico. Prendiamo ad esempio il fumo. Il pancreas è un organo caratterizzato da bassi flussi sanguigni, e la cellula pancreatica, è  molto sensibile alla carenza di ossigeno. Se noi con il fumo cronicamente diminuiamo anche di poco la concentrazione di ossigeno in un organo come il pancreas determiniamo una sofferenza cronica per le cellule per cui un errore a livello genico può più facilmente verificarsi e mantenersi.

Il tumore al pancreas è caratterizzato da una alta mortalità per il fatto che non dà sintomi finché non ci si trova in uno stato avanzato della malattia. È sempre così?

Fondamentalmente abbiamo una grossa differenza tra quelli che interessano la testa pancreatica e quelli che interessano il corpo e la coda. La diagnosi è sempre più tardiva nei tumori del corpo e della coda, perché nei tumori che interessano la testa abbiamo spesso la compressione del coledoco, un condotto che porta la bile dal fegato all’intestino allo scopo di completare il processo digestivo. Questo fa sì che il paziente non possa più secernere la bile a livello intestinale creando la condizione detta di ittero (il paziente assume un colorito tendente al giallo, in quanto la bilirubina viene riversata nel sangue).

Questo per quanto possa allarmare il paziente è spesso un segno importantissimo che ci permette di fare una diagnosi precoce. Questo non si verifica nei tumori del corpo o della coda  per cui nel computo totale circa l’80% di questi tumori siano inoperabili al momento della diagnosi. Sono purtroppo i numeri crudi di questa malattia. Noi oggi operiamo poco più del 20% dei pazienti che arrivano alla nostra osservazione, gli altri non andranno mai al tavolo operatorio.

Cosa si può fare in assenza di sintomi per monitorare la situazione e quando è il caso di farlo?

È stato visto purtroppo che i famosi “check-up”, che andavano molto di moda negli anni ’80 e ’90, non hanno assolutamente ridotto la mortalità per questo tipo di tumori. Io penso che comunque sia un’ecografia annuale dopo i 40 anni possa essere utile. Anche qui bisogna sottolineare che il pancreas è una ghiandola situata molto in profondità nella cavità addominale, quindi studiarla diventa veramente complesso. Quindi occorre che chi fa l’ecografia sia molto esperto perché molto spesso la presenza dell’intestino che si sovrappone non permette di studiarla. L’inesperienza dell’operatore o pazienti con situazioni anatomiche non favorevoli (interposizione del colon o pazienti obesi) portano a risultati inconcludenti. Un’ecografia periodica potrebbe non diagnosticare in tempo un tumore del pancreas.

Io credo che sia sempre meglio, per tutti i tumori compreso il pancreas, lavorare sui fattori di rischio: fumo, alcol, alimentazione. Diciamo che per tutto il resto chiaramente la differenza la fa il DNA: se uno nasce con scarsa predisposizione può permettersi molte cose, mentre chi nasce con delle mutazioni genetiche che permettono lo sviluppo di un tumore percorre tutta un’altra strada.

Un possibile aiuto può venire dai marcatori tumorali, che tuttavia risultano non specifici per una singola forma di tumore. Rappresentano però un utile strumento da interpretare insieme agli altri esami diagnostici.

(marcatori tumorali – noti anche con il nome di biomarker o indicatori tumorali – sono delle molecole rilevabili nel  sangue che possono indicare la presenza di un tumore. Nella fase diagnostica però non sono sufficienti a stabilire la diagnosi di tumore. Devono essere sempre considerati insieme all’esito di altri esami clinici e strumentali. n.d.)

Decisamente più complesso rispetto al tumore al polmone o al colon, diagnosticabili svolgendo radiografie o colonscopie. Col pancreas è molto più difficile:

Con il pancreas è più difficile perché i dolori addominali sono quanto di più vago possa esistere e il dilemma è sempre quanto a fondo andare per arrivare ad un inquadramento della sintomatologia considerando la difficoltà di studiare il pancreas con gli esami di base, a differenza del  polmone che può facilmente essere indagato con una semplice radiografia. Se dovessimo fare un esame per ogni dolore addominale che abbiamo passeremmo più tempo in ospedale che fuori. Il problema del pancreas è la sua posizione abbastanza particolare, che lo rende di difficile esplorazione. Quindi occorre, nel momento in cui si faccia o si decida di fare un approfondimento diagnostico, rivolgersi a del personale sanitario che abbia dimestichezza con questo organo e con le tecniche di studio.

Per quanto riguarda altri fattori di rischio, esiste una predisposizione genetica oltre che una familiarità?

Il rischio di sviluppare il tumore del pancreas nella popolazione generale è di circa l’1,3%, mentre il rischio nei soggetti con due parenti di primo grado (genitori, fratelli e sorelle, figli) affetti da tumore pancreatico è dell’8 – 12%; il rischio aumenta ulteriormente nei soggetti con tre o più parenti di primo grado.

L’età di insorgenza in questi pazienti è generalmente bassa. Abbiamo avuto dei casi in cui il tumore si è sviluppato prima in un figlio e poi nel genitore. Nei pazienti che incontriamo e che hanno questa familiarità noi consigliamo una risonanza magnetica una volta all’anno, strumento che con alcuni centri internazionali abbiamo definito come il più utile per fare lo screening familiare. Chiaramente occorre affidarsi a un medico che possa inquadrare possibili mutazioni geniche che sono alla base della predisposizione a sviluppare un tumore. Non si eredita il tumore come spesso si sente dire, ma si eredità la predisposizione a svilupparlo.

Naturalmente questa predisposizione non ha un orizzonte temporale definito, perché subentrano tantissimi fattori. L’età può variare anche in base all’azione dei fattori di rischio, che possono favorire l’insorgenza anche in età molto precoce.

Mortalità post diagnosi, in rete si parla di numeri drammatici per quanto riguarda la sopravvivenza entro i 5 anni. Quali aggiornamenti ci sono?

Bisogna innanzitutto capire se sono pazienti operati o pazienti non operabili. Sappiamo che l’80% dei pazienti con prima diagnosi non arriverà al tavolo operatorio. Questi pazienti dobbiamo avviarli alla chemioterapia. L’esito dipende anche dalla gravità della malattia, dal fatto che sia metastatica, che abbia coinvolto altri organi come il fegato oppure il polmone.

I pazienti che invece vanno al tavolo operatorio chiaramente hanno un destino diverso. Spesso fanno chemioterapia prima, poi vengono operati e quindi seguiti. Sino al 2010 noi tra questi pazienti avevamo una sopravvivenza a 5 anni del 6%, oggi questa sopravvivenza raggiunge il 30%.

Generalmente nei pazienti non operati la sopravvivenza a 5 anni non si è modificata sostanzialmente. Ci sono casi aneddotici di pazienti con tumori inoperabili, ne conosco almeno un paio, che hanno superato i 5 anni. Ripeto però, purtroppo sono casi rarissimi.

C’è anche da contare che circa il 50% dei pazienti operati presenta una recidiva durante i primi 18 mesi. È un dato abbastanza sconfortante, anche se chiaramente non vuol dire che il paziente morirà a breve  ma che dovrà riprendere la sua battaglia contro il tumore, fatta di nuovi cicli di chemioterapia e in casi selezionati ritornare al tavolo operatorio.

A nostra disposizione, come sempre, vi è soprattutto l’arma della prevenzione! Discorso ancor più valido qualora vi siano stati già casi tra i parenti più stretti.

Lo stile di vita è fondamentale, che sia quanto più salutare possibile. Evitare il fumo e l’alcol sono due ottimi passi per cominciare, senza dimenticare di preferire cibi naturali, biologici e non processati. Più che mai è il momento di non lasciare tutto al caso, ma di mettercela tutta per ridurre al minimo i fattori di rischio.

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