Covid19 e caos rifiuti monouso: dalla paura del rischio contagio alla confusione sul corretto conferimento chi ci rimette è sempre l’ambiente
Nella fase 2 della pandemia da coronavirus, con la progressiva riapertura delle attività di ristorazione e la possibilità della vendita d’asporto, riparte nuovamente l’incremento della produzione di rifiuti usa e getta. La maggiore attenzione all’igiene dettata dal periodo impone a bar e ristoranti l’utilizzo di contenitori monouso. Dal caffè alla brioche fino ai piatti pronti da portar via, tutto viene imballato con un conseguente aumento dei prodotti usa e getta.
La confusione sul corretto conferimento, dettata dal rischio del contagio, ha generato campagne di promozione della plastica, in particolare di quella usa e getta, come unico materiale in grado di garantire igiene e sicurezza, senza considerare l’enorme impatto che guanti e mascherine, abbandonati lungo le strade delle nostre città, hanno avuto sull’ambiente, spinti dalla paura che il virus entrasse nelle nostre case, ma anche da una buona dose di inciviltà.
Per fare un po’ di chiarezza sulla questione è intervenuto anche il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa smentendo innanzitutto le fakenews che circolavano sulla plastica usa e getta come soluzione più sicura in questa fase di emergenza sanitaria e invitando il settore della ristorazione, in particolare, a limitare il più possibile l’utilizzo del monouso e di prediligere prodotti biodegradabili. Circa guanti e mascherine, ha dichiarato “di voler coinvolgere l’Ordine dei farmacisti e la grande distribuzione per posizionare dei raccoglitori per quelli usati. Già alcune aziende stanno facendo la sanificazione di questi prodotti (negli Stati Uniti ad esempio è già definita) per usarli come materia prima seconda, quindi con un ritorno economico nell’ottica dell’economia circolare”.
Queste sono sicuramente ottime notizie per l’ambiente, ma sappiamo benissimo che è solo una piccola parte della soluzione. L’utilizzo sconsiderato della plastica continua a far parte della nostra vita quotidiana. La scienza lo dice da tempo, se si continua così nel 2050 ci sarà in mare più plastica che pesci. L’inquinamento da plastica infatti, è uno dei problemi ambientali più gravi dei nostri tempi. È il terzo materiale più utilizzato al mondo, dagli anni ’50 ne sono state prodotte oltre 8 miliardi di tonnellate e più di 6 miliardi vengono abbandonate in natura. La plastica ha dei tempi di degradazione lunghissimi: da 100 a 1000 anni. Inoltre, spesso si decompone in particelle microscopiche, dando origine alle famose microplastiche, dal diametro inferiore ai 5 mm, che finiscono in mare entrando a far parte della catena alimentare di pesci e animali, fino ad arrivare sulle nostre tavole.
Questo avvertimento, già inquietante prima dell’emergenza coronavirus, adesso lo è ancor di più: basti pensare che nei mesi di marzo e aprile 2020 l’Ispra ha registrato una diminuzione della raccolta differenziata di circa il 10% e ha calcolato che, da qui a fine anno, l’Italia dovrà gestire un quantitativo di rifiuti derivanti dall’uso di mascherine e guanti stimato tra 150mila e 450mila tonnellate. Numeri che devono far riflettere.
L’enorme uso che ancora facciamo della plastica ci riconduce sempre alla stessa domanda: dove finisce tutta la plastica che utilizziamo? Soprattutto se consideriamo che, al mondo, solo il 9% di quella prodotta viene riciclata, il resto finisce in discarica o peggio dispersa nell’ambiente. In sostanza, finisce sempre lì, sempre in mare.
Ma a che punto siamo con la direttiva sulla messa al bando della plastica? Sulla questione l’Unione europea ha ribadito che non si torna indietro, anche se i produttori del settore stanno provando a rimandare l’entrata in vigore della Direttiva sulla plastica monouso (SUP) che gli Stati membri devono recepire entro il 2021. Sempre il ministro Costa, durante un’interrogazione parlamentare ha dichiarato – “di voler essere tra i primi Paesi dell’Unione europea a recepire la direttiva, il cui obiettivo è ridurre l’incidenza sull’ambiente, in particolare su quello marino, e sulla salute umana, di determinati prodotti di plastica monouso.”
La direttiva introduce da luglio 2021 il bando dei principali articoli in plastica usa e getta per i quali esistano alternative, come posate, piatti, cannucce, contenitori e tazze in polistirolo espanso, cotton-fioc (questi ultimi già vietati in Italia dal 2019) fissando un obiettivo di raccolta del 90% per le bottiglie di plastica entro il 2029 e determina che entro il 2025 il 25% delle bottiglie di plastica debba essere composto da materiali riciclati, quota che salirà al 30% entro il 2030. Allo stato attuale le Linee Guida UE per l’adattamento alla crisi sanitaria prevedono il mantenimento dei servizi essenziali di raccolta differenziata, riciclo e compostaggio e di monitorare che non ci siano arretramenti nelle politiche nazionali sugli obiettivi del Pacchetto Economia Circolare.
Anche in un momento così complicato dobbiamo ripensare ai nostri stili di vita, bisogna proteggersi il più possibile ma tenere sempre ben presente che le nostre azioni, per quanto piccole, possono fare la differenza. Fare correttamente la raccolta differenziata è importante, ma non va considerata come la prima scelta, vorrei ricordare nuovamente la regola delle 3R: ridurre, riutilizzare, riciclare. Bisogna prima di tutto produrre meno rifiuti, poi pensare a come poter utilizzare un oggetto in un altro modo prima di buttarlo, e solo alla fine, se proprio non c’è alternativa, destinarlo alla raccolta differenziata!
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