Negli ultimi tempi non si può dire che il tema dell’energia nucleare non sia tornato di strettissima attualità. Con la necessità di trovare fonti energetiche più pulite per ridurre le emissioni di CO2, anche nell’ottica di tentare di rispettare gli Accordi di Parigi, l’Unione Europea ha paventato più volte la possibilità di inserire il nucleare nella cosiddetta Tassonomia Verde del Vecchio Continente. Si tratta di una sorta di classificazione, utilizzata a scopo perlopiù finanziario, per definire tutte quelle attività che possono essere definite “sostenibili” e, quindi, meritevoli di fondi e investimenti pubblici.
Per quanto sul fronte delle emissioni di gas serra il nucleare possa essere considerato una fonte più pulita rispetto ai classici combustibili fossili, la sua possibile inclusione nel novero delle rinnovabili ha scatenato più di una reazione contraria. Non solo perché non sono stati risolti i problemi di sicurezza e di smaltimento delle scorie, ma anche e soprattutto perché il suo “rilancio mediatico” è stato improntato su tecnologie nucleari che di fatto oggi non esistono. Per cercare di capirne di più, ho voluto chiedere un parere a Ermete Realacci, Presidente della Fondazione Symbola, e ad Angelo Bonelli, co-portavoce nazionale di Europa Verde. Ma cerchiamo di inquadrare il problema.
Cosa si intende per energia nucleare?
Per comprendere la portata delle discussioni che hanno coinvolto l’Unione Europea, è innanzitutto necessario fare un passo indietro. Quando nel linguaggio comune si parla di energia nucleare, ci si sta più propriamente riferendo alla fissione nucleare, quella che attualmente è alla base di tutte le centrali ancora in funzione sul Pianeta.
Senza pretesa di essere esaustivi, possiamo definire la fissione nucleare come quel procedimento fisico che si attua per distruggere il nucleo di un atomo – ad esempio di uranio – affinché liberi energia verso l’esterno. Sintetizzando ulteriormente, il nucleo viene colpito da un neutrone e, rilasciando energia, libera altri neuroni che andranno a colpire altri atomi. Si genera così una reazione a catena, dove si produce calore.
Per sfruttare questo procedimento allo scopo di ottenere energia elettrica, dagli anni ‘40 del secolo scorso sono state sviluppate le ormai ben note centrali nucleari: si tratta di grandi e costose strutture dove un nucleo radioattivo viene bombardato da neutroni per instaurare una reazione a catena controllata. Il vantaggio di questo sistema è la produzione di grandi quantità di energia, con l’immissione in atmosfera solo di vapore acqueo, dovuto all’evaporazione dell’acqua usata per raffreddare il reattore. Lo svantaggio principale è invece l’accumulo di scorie radioattive, dovute al residuo combustibile impiegato per il nucleo e la sicurezza degli impianti.
A oggi la fissione nucleare rappresenta l’unica tecnologia disponibile per la produzione di energia dall’atomo. Esiste però, almeno teoricamente, anche la fusione nucleare, dove due o più nuclei di atomi vengono uniti fra loro per generare un nuovo elemento chimico. È praticamente il procedimento inverso della fissione, considerato più sicuro e sostenibile poiché non genera scorie, tuttavia non è stato ancora tradotto in un procedimento effettivamente sfruttabile dall’uomo.
Le generazioni di nucleare
Il percorso della fissione nucleare, e dello sviluppo delle centrali nucleari, parte dagli anni ‘40 del secolo scorso e oggi prevede tre generazioni diverse di impianti, a cui se ne potrebbe aggiungere una quarta nei prossimi anni. Ma quali sono queste generazioni e, soprattutto, come si differenziano?
- Prima generazione: il primo reattore nucleare realizzato dall’uomo risale al 1942, quando l’Università di Chicago – con la collaborazione dell’italiano Enrico Fermi – accese il Chicago-Pile 1. Lo scopo di questo progetto era dimostrare la possibilità di produrre energia: dei cilindri di uranio naturale vennero inseriti in blocchi di grafite e venne prodotto mezzo watt di energia. Nato a scopi militari, il progetto venne esteso al termine della Seconda Guerra Mondiale per costruire le primissime centrali nucleari;
- Seconda generazione: a partire dagli anni ‘60, con l’aumento esponenziale dei consumi energetici a livello mondiale e la successiva crisi petrolifera negli anni ‘70, la fissione nucleare ricevette una spinta in tutto il mondo. Nacquero così i reattori nucleari di seconda generazione che, sfruttando elementi quali il plutonio, sono in grado di generare quantità elevatissime di energia. Esistono diverse tipologie di centrali a seconda del tipo di controllo del nucleo – come acqua pressurizzata oppure gas – e le più note sono le CANDU in Canada, le AGR nel Regno Unito e le RBMK nell’ex URSS;
- Terza generazione: a seguito di alcuni problemi di sicurezza emersi con delle centrali di seconda generazione – quali le RBMK, tra cui i reattori del disastro di Chernobyl del 1986 – dagli anni ‘90 si è deciso di implementare alcune migliorie. Per quanto simili alla precedente generazione, queste centrali includono degli avanzati sistemi di sorveglianza del nucleo e di automatizzazione: grazie a sistemi di sicurezza passiva, vengono attivati dei sistemi di blocco del reattore alla minima anomalia rilevata, anche senza necessità di un diretto intervento umano;
- Quarta generazione: si tratta sostanzialmente delle centrali nucleari a fissione del futuro, più sicure e a bassissimo impatto ambientale, data la possibilità di “riciclare” le scorie. La ricerca si sta infatti orientando verso sistemi di raffreddamento avanzati che non impieghino acqua, bensì elementi chimici come l’elio, in grado quindi di garantire un calore controllato più elevato e la produzione di maggiore energia. Queste centrali oggi però non esistono: se ne riparlerà, forse, non prima del 2030-2040, secondo le previsioni più ottimistiche.
Ma il nucleare è una fonte rinnovabile?
Non si può dire che, almeno negli ultimi anni, il nucleare abbia occupato un posto di rilievo all’interno delle discussioni pubbliche sul futuro dell’energia. Incidenti come quelli di Chernobyl e di Fukushima hanno infatti scosso l’opinione pubblica mondiale e, a fronte di energie alternative sempre più economiche come le rinnovabili, non sembrava che per la fissione vi fosse ancora grande spazio. Eppure di recente l’argomento è tornato di stretta attualità, in una vera e propria “nuova primavera mediatica”. Per quale ragione?
Tutto nasce dallo sviluppo della cosiddetta Tassonomia Verde, una classificazione voluta dall’Unione Europea per definire le fonti e gli standard di sostenibilità energetica. Nella pratica, tutte le tecnologie incluse in questo “vocabolario della sostenibilità” potranno accedere a fondi pubblici per la loro implementazione, anche in vista degli obiettivi previsti dagli Accordi di Parigi. A livello europeo, però, si è paventata più volte l’ipotesi di inglobare la fissione nucleare all’interno del grande gruppo delle fonti rinnovabili, sollevando più di una protesta. Perché, sebbene a livello di emissioni il nucleare sia più pulito rispetto a carbone e petrolio, si tratta comunque di una tecnologia che si avvale di metalli finiti sulla Terra, come appunto l’uranio, che non si rinnovano certo come fa il vento… Il tutto, senza nemmeno considerare i ben noti problemi legati a scorie e sicurezza.
Ma da dove arriva questa spinta, perché considerare il nucleare una fonte rinnovabile? “Perché l’industria nucleare sta mettendo in campo parecchie risorse – spiega Angelo Bonelli – per rilanciare se stessa. L’industria nucleare nel mondo dal punto di vista economico è in forte crisi […] e siamo alla vigilia di una scelta fondamentale, ovvero inserire il nucleare all’interno di un meccanismo che consente il finanziamento pubblico delle energie. Vorrebbero quindi far passare il nucleare come energia rinnovabile, cosa che non è”.
“Secondo me è un grande bluff – aggiunge Ermete Realacci. “Il nucleare in Occidente non è stato fermato dai referendum, il referendum l’ha fermato in Italia, ma dai costi. In Francia vanno avanti perché c’è una sovvenzione dello Stato: l’unica centrale in costruzione in Francia è quella di Flamanville, così come l’unica in costruzione in Finlandia è quella di Olkiluoto, e sono centrali che ormai hanno un costo che è il triplo-quadruplo di quello previsto, tempi di costruzione allungati di dieci anni, sono investimenti fallimentari. E poi c’è un problema serio, che non può essere banalizzato, del controllo di una tecnologia che è strategicamente importante perché significa anche nucleare militare”.
Il riferimento può essere il nucleare di quarta generazione?
Date le ipotesi a livello europeo, in molti si sono chiesti se la possibilità di far rientrare il nucleare nelle rinnovabili non nasca dalle promesse delle centrali di quarta generazione, una tecnologia che viene definita da più parti “pulita”, anche dal Ministero della Transizione Ecologica.
“Il nucleare di quarta generazione non esiste – sottolinea Bonelli – ancora stiamo parlando di reattori di terza generazione. Due reattori di terza generazione plus negli Stati Uniti dovevano partire fra qualche settimana ma sono stati fermati, mentre altre due centrali non sono state ancora ultimate per problemi economici drammatici. E quando il Ministro della Transizione Ecologica [Cingolani, ndr] parla degli Small Modular Reactors, che sono centrali nucleari modulari da 100-150-200 MW, si tratta di centrali che producono radioattività e rischio atomico proporzionali a quelle più grandi. Siamo quindi di fronte a una strategia comunicativa che si basa su molta disinformazione, perché questo non è il nucleare pulito, è il nucleare identico a quello che c’era prima”.
“Dove sia la quarta generazione – rimarca Realacci – ognuno lo dice, ma nessuno lo sa. Quante volte è stata annunciata la quarta generazione? Anche Flamanville e Olkiluoto erano state annunciate come la nuova generazione. Saranno 40 anni che si dice che fra 25 anni… E anche sulla fusione nucleare c’è un piccolo problema: per contenere le temperature che si sviluppano con la fusione non possiamo usare nessun metallo presente sulla Terra. Devi quindi implementare degli enormi campi magnetici, che richiedono molta energia, quindi già solo in linea di principio produrre più energia di quella che ti serve per il controllo della funzione è molto problematico”.
Perché allora si spinge così tanto sul nucleare?
Considerando come nei fatti non vi sia una data certa né per le centrali di quarta generazione né per la fissione nucleare, perché a livello europeo si è voluto riportare al centro la questione dell’atomo? Peraltro, giusto lo scorso 22 dicembre, i membri del Technical Expert Group della Commissione Europea – di cui Bruxelles tiene conto per le sue decisioni sulla Tassonomia Verde – hanno dato parere negativo a un’eventuale inclusione del nucleare nelle fonti rinnovabili.
“Noi dobbiamo dare risposte oggi al mondo – spiega Bonelli – perché quello che faremo oggi avrà una conseguenza, positiva o negativa, sulle generazioni future. Non deve avvenire una distrazione di fondi a favore del nucleare da fissione per fare un favore all’industria nuclearista mondiale, che è fortemente indebitata e che vuole realizzare grandi profitti con soldi pubblici senza però risolvere il problema energetico. Il problema energetico lo dobbiamo risolvere investendo molto nelle rinnovabili”.
“Il problema vero è far capire – prosegue Realacci – il fatto che molta dell’economia connessa a combattere la crisi climatica, a tematiche ambientali, è socialmente desiderabile. Non solo ti difende da un pericolo, ma ti produce anche un sistema dove c’è più lavoro e legami con le comunità. La Tassonomia Verde ritarda la percezione di questo fatto. Chi le fa queste centrali nucleari? […] In parte è un’arma di distrazione dell’opinione: perché viene agitata questa cosa? Dicono ‘scommettiamo sulla fissione’, sapendo già che la fissione non è una risposta e che il nucleare pulito al momento non c’è, vedremo quando ci sarà”.
Proprio nelle prossime ore la Commissione Europea è chiamata a esprimersi sull’eventuale inclusione dell’energia nucleare all’interno della Tassonomia Verde dell’Unione Europea e, di fatto, l’atomo potrebbe ricevere le medesime sovvenzioni destinate alle fonti rinnovabili. Secondo i principali quotidiani francesi, Bruxelles si starebbe orientando proprio in questa direzione, ma c’è un ultimo appuntamento da superare. Quello di metà gennaio, quando la Commissione dovrà presentare il suo progetto a un gruppo di esperti. Non ci resta che attendere, per scoprire se a livello europeo si opterà per le vere fonti rinnovabili o, ancora, si deciderà di considerare come rinnovabili energie che nei fatti non lo sono.
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