La fertilità umana è sempre più a rischio, tanto che in un futuro non troppo lontano avere un bambino sarà un percorso a dir poco lastricato di ostacoli. È questo l’allarme lanciato dall’epidemiologa ambientale e riproduttiva Shanna Swan, nel libro “Countdown: come il nostro stile di vita minaccia la fertilità, la riproduzione e il futuro dell’umanità”. Un monito che nasce dall’analisi di migliaia di ricerche condotte negli ultimi 50 anni, pronte a confermare come in corso vi sia una vera e propria “crisi della riproduzione”. E il colpevole, come sempre, è l’uomo: l’abuso di alcune sostanze contaminanti sta mettendo a dura prova sia il nostro sistema endocrino che quello riproduttivo.
Conta degli spermatozoi a picco, danni nello sviluppo ovarico, alterazioni nella produzione di testosterone ed estrogeni e aumento nel numero degli aborti spontanei: sono queste alcune delle cause che, a livello mondiale, si rilevano con più frequenza. E oltre agli stili di vita errati, i responsabili di questa scarsa responsabilità sono alcuni contaminanti con cui abbiamo a che fare ogni giorno, come BPA e ftalati. Ma cosa sta succedendo?
Una fertilità in costante declino
“Un tempo si facevano più figli”. È un’affermazione che sentiamo dire spesso e che, con altrettanta frequenza, viene giustificata dal cambiamento degli stili di vita che hanno caratterizzato il ‘900 e i primi decenni di questi anni 2000. Emancipazione femminile, nuovi modelli culturali e un’economia sempre più complessa hanno portato le famiglie a fare meno figli. Eppure, questo non spiega totalmente come stiano davvero le cose, anzi ci distoglie da un problema che spesso viene volutamente ignorato: negli ultimi 50 anni la fertilità umana ha subito un costante declino.
Lo rivela la ricerca scientifica: Swan sottolinea come, dal 1973 a oggi, nell’uomo la concentrazione spermatica media – ovvero il numero di spermatozoi per millilitro – è diminuita del 59%, tanto che l’OMS si è vista costretta a rivedere al ribasso le sue linee guida sulla fertilità dello sperma, da 40 milioni/ml negli anni ‘70 ai 15 milioni/ml attuali. E non va meglio nelle donne: oggi una ventenne è meno fertile di sua nonna, quando quest’ultima aveva 35 anni. Considerando entrambi i sessi, negli ultimi 50% la fertilità è diminuita dell’1% a cadenza annuale.
Un vero e proprio “shock riproduttivo”, così come definisce l’autrice, che non può essere attribuito solo agli stili di vita moderni. Esistono infatti dei precisi responsabili alla base di questo declino: i tanti inquinanti ed interferenti endocrini con cui entriamo in contatto quotidianamente, poiché ormai ubiquitari, in particolare BPA e ftalati.
Uomini meno fertili: il ruolo degli ftalati
Gli uomini oggi sono decisamente meno fertili rispetto a 50 anni fa. Come già visto, negli ultimi 5 decenni la concentrazione spermatica media occidentale è diminuita del 59%, con sempre più individui che si assestano sui 15 milioni, ben lontani dai 40 milioni considerati soglia minima negli anni ‘70 – ma anche da uno studio danese odierno – per avere buone chances riproduttive. Un calo che ha visto peraltro un’accelerazione negli ultimi 20 anni, tanto che dal 2002 e il 2017 la percentuale di uomini con concentrazioni superiori ai 15 milioni è diminuita ulteriormente del 10%. Un trend non solo notato dalla scienza, ma anche dalle cliniche per la fertilità: se nel 2003 il 69% degli aspiranti donatori di seme raggiungeva i requisiti minimi in termini di qualità dello sperma, nel 2013 era solo il 44%.
Ma non è solo la concentrazione a diminuire, a picco vi sono anche la vitalità degli spermatozoi, la loro motilità e la morfologia, ovvero la loro dimensione e la forma. Il risultato? Sempre meno uomini dispongono di seme in grado di fertilizzare l’ovulo. Allo stesso tempo, si registra un aumento dei disturbi a carico del testicolo – come il varicocele e il criptorchidismo, ovvero la mancata discesa di uno o entrambi i testicoli nel sacco scrotale – così come una riduzione importante dei livelli di testosterone nel sangue. Un problema, quest’ultimo, non di poco conto: questo ormone è fondamentale per la produzione di spermatozoi sani, tuttavia la terapia sostitutiva – ovvero l’assunzione esterna di testosterone, tramite creme o iniezioni – inibisce progressivamente la produzione degli stessi spermatozoi.
Di certo gli stili di vita – sedentarietà, fumo e alcol in primis – giocano un ruolo fondamentale nella conta spermatica, ma si tratta di condizioni reversibili: eliminando i comportamenti sbagliati, la produzione di spermatozoi tende a normalizzarsi in breve tempo. Vi sono però altre cause che, invece, non possono essere facilmente eliminate.
Ftalati: cosa sono e perché influiscono sulla fertilità maschile
Dagli studi di Swan, emerge chiaramente come siano gli ftalati i composti maggiormente responsabili dell’aumento dell’infertilità maschile. Queste sostanze chimiche, inventate nei primi decenni del ‘900, vengono impiegate per rendere la plastica più malleabile e modellabile, in particolare il PVC. La loro presenza è praticamente ubiquitaria, li si trova infatti in:
- oggetti di plastica, compresi contenitori per alimenti e bottiglie;
- prodotti cosmetici, in particolare saponi, shampoo, bagnoschiuma e creme;
- vernici e adesivi;
- rivestimenti in PVC per le pavimentazioni o altri materiali.
Ma come agiscono a livello della fertilità? È noto che gli ftalati agiscano in modo simile agli ormoni femminili. Possono pertanto causare:
- riduzione dei livelli di testosterone;
- calo nel numero degli spermatozoi prodotti;
- difetti di produzione degli stessi spermatozoi, sui parametri della vitalità, della motilità e della forma.
Non è però tutto: l’esposizione continua agli ftalati sembra avere effetti diretti sul desiderio, così come può rendere più grave una situazione di deficit erettile: un trend che si rivela nei numeri, sempre come sottolinea l’epidemiologa, tanto che oggi ben il 26% di tutti gli adulti soffre di disfunzione erettile. Come se non bastasse, l’esposizione delle madri agli ftalati nelle prime settimane di gravidanza, quando avviene la differenziazione del sesso del feto, può portare a una limitatissima produzione di testosterone, con effetti che l’individuo subirà per tutta la sua esistenza.
Così il BPA danneggia la fertilità femminile
Tra il 1960 e il 2016, si è registrato un calo del 50% delle nascite totali per donna. Naturalmente, un primo fattore è dovuto agli stili di vita moderni: oggi le donne scelgono di avere un numero inferiore di figli. Tuttavia, per chi cerca una gravidanza è sempre più difficile raggiungere il concepimento, tanto che dal 2004 al 2011 si è registrato negli Stati Uniti un aumento del 37% delle donne che si rivolgono alle cliniche per la fertilità nella speranza di poter concepire, sia sottoponendosi a pesanti trattamenti ormonali che avvalendosi dell’IVF, ovvero della fertilizzazione in vitro.
Così come accade per gli uomini, sono molte le questioni che si rilevano con sempre più frequenza nella sfera femminile:
- Aumento del rischio d’aborto: dal 1990 al 2011, il rischio totale di aborto spontaneo è aumentato dell’1% di anno in anno;
- Crescita dei casi di endometriosi: tra il 1996 e il 2008, le diagnosi sono triplicate a livello mondiale;
- Aumento dei disturbi a carico delle ovaie: in particolare la DOR, la diminuzione della riserva ovarica, ma anche disturbi che influenzano la fertilità come l’ovaio policistico (PCOS);
- calo del desiderio sessuale: spesso correlato a disequilibri nella produzione di estrogeni, così come a livelli troppo elevati di testosterone nel sangue;
- Pubertà anticipata: la maturazione sessuale femminile avviene sempre prima, con una partenza del ciclo mestruale e l’apparizione dei caratteri sessuali secondari ormai non più in adolescenza, ma negli ultimi anni dell’infanzia. Se negli anni ‘30 il menarca appariva attorno ai 13 anni, oggi appare tra gli 11 e i 12, con sempre più bambine che lo sperimentano tra i 7 e i 9 anni. Poiché il numero di ovuli femminili è prestabilito alla nascita, l’anticipo del ciclo mestruale porta le donne ad averne meno a disposizione in età adulta, con tutto quello che ne consegue in termini di concepimento.
Se è vero che molte donne oggi cercano una gravidanza in età avanzata – sempre più a ridosso dei 40 anni, quando le possibilità di concepimento si riducono e aumentano quelle di aborto spontaneo – è anche vero che il genere femminile è sempre più esposto a interferenti endocrini. E mentre gli uomini combattono contro gli ftalati, le donne sono più suscettibili all’azione del BPA.
Cosa è il BPA e perché danneggia la fertilità femminile
Con l’acronimo BPA si identifica il Bisfenolo A, un composto chimico di largo utilizzo nell’industria plastica, sin dalla metà del secolo scorso. Questa sostanza chimica aumenta la trasparenza, la lucidità e la resistenza termica della plastica e, per questa ragione, viene impiegata per i più svariati scopi:
- nei contenitori per alimenti, fino a pochi anni fa anche nei biberon per i neonati;
- per la produzione dei rivestimenti protettivi interni di lattine e altri contenitori per bevande;
- nella produzione di resine epossidiche;
- nei contenitori in policarbonato, come flaconi per cosmetici e detersivi.
A livello di fertilità femminile, l’esposizione pressoché costante ai BPA è tra i principali responsabili di:
- problemi nello sviluppo ovarico: in particolare, le ovaie femminili vedono alterazioni nelle dimensioni e nelle funzionalità, con un numero ridotto di ovuli fertili;
- disturbi uterini: l’esposizione al BPA sembra essere uno dei responsabili dell’aumento dei casi di endometriosi, così come del mancato attecchimento degli ovuli sulle pareti dell’utero stesso;
- riduzione nella produzione di ormoni sessuali: il BPA interferisce con l’asso ipotalamo-ipofisi-ovaio, alterando sia lo sviluppo di ovuli fertili che la produzione di ormoni sessuali, anche influenzando il desiderio;
- alterazione dello sviluppo e del ciclo mestruale: l’esposizione al bisfenolo A è anche una delle cause della pubertà femminile anticipata, così come di irregolarità nella maturazione degli ovuli e del ciclo mestruale.
Per la fertilità femminile, un fattore da non sottovalutare è quello dell’esposizione a sostanze multiple, oltre il BPA. Ad esempio, anche i PCB (policlorobifenili), i pesticidi e le diossine sono particolarmente dannose per le normali funzionalità ovariche e uterine: basti pensare al caso di Seveso, dopo il tragico incidente i casi di infertilità ed endometriosi sono raddoppiati rispetto alla popolazione generale.
Oltre alla fertilità
Come se non bastasse, l’esposizione a interferenti endocrini porta a problematiche ben oltre alla fertilità, sia per l’uomo che per gli animali. È la stessa epidemiologa a sottolinearlo, presentando alcune interessanti ipotesi.
Fluidità di genere: solo un fenomeno culturale?
Quelli che viviamo possono essere definiti come gli anni della fluidità di genere, ovvero un periodo in cui sempre più persone decidono di allontanarsi dalla classica dicotomia tra uomo e donna, non adottando specifici ruoli. Non a caso, sempre più giovani si dichiarano transgender o non binari. L’esplosione – se così si può definire – del fenomeno è per la gran parte culturale e sociale: dopo i progressi fatti sull’orientamento sessuale, oggi vi è sicuramente più accettazione anche sull’identità di genere e quindi sempre più persone si sentono a loro agio a dichiarare pubblicamente la loro identità.
Sebbene non vi siano al momento conferme scientifiche, Swan si chiede se gli interferenti endocrini possano giocare un ruolo in questo fenomeno. Sia gli ftalati che il BPA intervengono sullo sviluppo del feto, riducendo sia l’esposizione al testosterone che agli estrogeni. Questo potrebbe determinare, secondo l’esperta, un confine più labile tra l’identificazione di genere strettamente maschile o femminile.
Fertilità a rischio: che fare?
Quello della fertilità non è un problema che riguarda solo le singole coppie che desiderano avere un bambino, ma anche una questione sociale ed economica: con una popolazione che invecchia sempre di più a livello mondiale, entro il 2045 rischiamo di non avere un sufficiente ricambio generazionale affinché i giovani possano godere di posizioni di lavoro remunerative e gli anziani di trattamenti pensionistici adeguati.
Per aumentare la fertilità possiamo di certo agire sui fattori sotto nostro controllo – una dieta sana ed equilibrata, l’allenamento fisico, il rifiuto del fumo e un consumo consapevole di alcol – ma sugli interferenti endocrini la questione è più complessa. È innanzitutto necessario insistere affinché vengano approvate normative restrittive sull’uso di queste sostanze chimiche, per evitare che le industrie agiscano in modo indiscriminato. Nel nostro piccolo, possiamo ridurre l’esposizione scegliendo prodotti alimentari biologici e quindi non esposti a pesticidi, riducendo il più possibile il ricorso alla plastica per alimenti, scegliendo cosmetici e detersivi eco-bio.
In definitiva, dobbiamo prestare sempre più attenzione ai nostri acquisti e ai nostri consumi, imparando a riconoscere quali siano i prodotti probabilmente più contaminati da ftalati, BPA, pesticidi e altre sostanze dannose. Ne va del nostro futuro e di quello dei nostri figli: come se non bastasse, l’epidemiologa ha spiegato, spesso gli effetti di queste sostanze sono transgenerazionali, cioè si trasmettono per più di una generazione dopo la contaminazione.
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