Punto di vista

Olio di palma e danni ambientali


La situazione critica dell’Indonesia e perché ho deciso di intervenire

2.viaggio sumatra

Si parla sempre di olio di palma e dei suoi possibili effetti dannosi sulla salute, ma ci si dimentica spesso dei danni che sta causando all’ambiente. La sua coltivazione infatti sta devastando le ultime foreste vergini del sud est asiatico che vengono spazzate via per fare posto alle piantagioni, portando all’estinzione le centinaia di specie animali che vengono private del proprio habitat. Uno su tutti l’orango, diventato oggi il simbolo degli animali vittime dell’olio di palma.

Avevo già visto immense piantagioni di palma da olio in Malesia ben 15 anni fa, e già allora il successo di questa pianta stava causando danni enormi. Oggettivamente è una pianta incredibile: resa straordinaria con bassissimi costi di gestione, più una crescente richiesta da tutto il mondo. Questo perché i suoi utilizzi sono infiniti: agroalimentare, industriale, cosmetica, biocarburanti… insomma, si può usare per tutto e costa pochissimo!

E infatti si è diffusa a macchia d’olio, prendendo il posto di foreste vergini, in Malesia prima e in Indonesia poi. Quest’ultima oggi è la principale produttrice mondiale di olio di palma, seguita da altre zone del sud est asiatico; intanto però le piantagioni si stanno espandendo anche in Africa centrale e sud America, dove potrebbe purtroppo replicarsi la situazione critica di Sumatra.

Solamente tra il 1990 and 2010, l’isola ha perso il 70% delle sue foreste, prevalentemente per coltivazioni di palma da olio: ci sono altre cause e motivazioni di deforestazione, ma loro fanno “la parte del leone”.

deforestazione

Sumatran Orangutan Society, associazione internazionale che sviluppa progetti per salvare gli oranghi di Sumatra e tutelare il loro habitat, ha stimato che oggi le foreste primarie ricoprono meno del 28,5% di superficie dell’isola, contro il 21,8% di superficie occupata dalle piantagioni di palma da olio.

Dobbiamo immaginarci però, molte di queste poche foreste rimaste, come delle piccole oasi nel deserto, circondate da piantagioni di palma: sono come dei baluardi per gli animali che ci vivono, anche se non li proteggono a sufficienza. Le foreste isolate infatti non possono essere di grande aiuto per animali migratori come gli elefanti o le tigri, che hanno bisogno di vaste superfici. E così spesso escono dalle piccole foreste ed entrano nei villaggio o nelle piantagioni, entrando in contatto con l’uomo. Inutile dire che ad avere la peggio sono gli animali.

animali

Come se non bastasse, le foreste rimaste sono costantemente prese d’assalto per realizzare nuove piantagioni, ricavare la legna, creare campi di caccia illegale… insomma, sono alla mercé degli oltre 50 milioni di abitanti di Sumatra. Un numero altissimo di persone che come insetti defogliatori stanno spazzando via tutto il verde dell’isola, più o meno come ho visto accadere in quasi tutte le zone tropicali del mondo: quello che varia è solo la velocità di distruzione, che è direttamente proporzionale al numero degli abitanti.

In più, le aree protette, rare e preziose, spesso sono tutelate solo sulla carta come nel caso del Leuser National Park: patrimonio mondiale dell’UNESCO, uno dei più importanti punti di biodiversità del mondo, che garantisce la sopravvivenza a quattro specie di animali a forte rischio estinzione (oranghi, tigri, elefanti e rinoceronti di Sumatra).
Un territorio grande come le Marche protetto da solo 10 ranger che oltretutto non dispongono neanche di mezzi efficaci. Questo, ovviamente, lo rende estremamente vulnerabile agli attacchi dei deforestatori illegali.

Nelle piantagioni di palma da olio la cosa più impressionante è il silenzio. Le foreste sono rumorose perché con tanta biodiversità il rumore è tanto! Ma nelle piantagioni non è così: pochissimi animali si nutrono di palma e dato che c’è solo quella… praticamente non ci sono animali. Zero biodiversità, zero suoni. Milioni di ettari sono così. Mai visto un panorama più (tristemente) omogeneo: ore di macchina e fuori dal finestrino si vedono solo palme.

tessa gelisio piantagioni palma

Chi prova a difendere l’olio di palma afferma che le piantagioni hanno portato sviluppo… ma quale sviluppo? Sono un ottimo business per le grandi compagnie che qui comprano centinaia e centinaia di ettari, o per le banche, i fondi d’investimento, i governi. I tanti corrotti che ne facilitano l’espansione. Ma per le popolazioni locali? Nelle grandi compagnie non c’è bisogno di molta manodopera, e quando c’è, è sottopagata e poco qualificata. Nella migliore delle ipotesi, anche quando il lavoratore è in regola e ha uno stipendio adeguato (cosa rara), sta comunque distruggendo l’ambiente dove e grazie al quale vive: senza foreste non c’è la selvaggina con cui nutrirsi, non c’è legna, arriva la siccità…
Le comunità locali che vivono col commercio dei frutti della palma da olio sono inoltre vittime delle fluttuazioni dei prezzi del mercato: non hanno sicurezza economica, perché se crollerà il prezzo del conferimento dei frutti, non potranno più permettersi neanche da mangiare. Un tempo invece le popolazioni guadagnavano magari meno, avevano meno soldi extra da spendere nell’ultimo modello di telefonino, ma il cibo non mancava mai, così come la legna e le tante altre cose che forniscono la foresta e una natura intatta.

manodopera

Per non parlare dell’inquinamento. Le monocolture intensive ed estensive sono una delle attività più inquinanti: contaminano acqua, terra, aria dei villaggi e gli stessi lavoratori.

Durante il mio viaggio con SOS, ho visitato una comunità che ha scelto una strada di sviluppo diversa. Una volta viveva di monocolture di alberi da gomma (diffuse finché il crollo della richiesta mondiale le ha rese poco remunerative); oggi, invece di virare su piantagioni di palma come tutti, coltivano frutta e verdura bio, cereali, hanno animali da pascolo: sono completamente autosufficienti dal punto di vista alimentare e hanno anche prodotti da vendere, così da potersi comprare beni non alimentari. Il loro è uno sviluppo in perfetta sintonia con l’ambiente e gli animali: ad esempio, per allontanare gli elefanti usano il vecchio sistema di sparare con rumorosi, ma innocui, cannoni di notte, così gli animali non danneggiano i campi. Non creando inquinamento, il loro terreno sarà sempre fertile e inoltre risparmiano anche l’oneroso costo dei pesticidi.

Un’evoluzione 2.0. di un tradizionale sistema di vita che appartiene alle comunità da che mondo è mondo. Certo, in più c’è lo zampino delle associazioni che hanno mostrato una via di sviluppo diversa, c’è la diffusione della conoscenza di tecniche agricole innovative e amiche dell’ambiente… insomma, lo sviluppo sostenibile va aiutato dalla cultura. Deforestare e piantare una monocoltura è sicuramente più facile, ma anche più stupido.

Se pensiamo che già oggi, in 7 miliardi di abitanti, le nostre risorse non ci bastano perché consumiamo quelle di 1.5 pianeti e che nel 2050 saremo 9 miliardi e che di pianeti ne avremo sempre uno solo… forse è meglio speculare meno in finanza e sviluppare modelli concerti, diffusi e duraturi di sviluppo.

foresta

Per cercare di dare il nostro contributo a questo modello di mondo, con forPlanet e SOS abbiamo avviato un progetto per proteggere le foreste di Sumatra e gli oranghi che rischiano l’estinzione: si stima, infatti, che ne siano rimasti appena 14.600. Grazie al sostegno di DiLeo, che donerà al progetto parte del ricavato dalla vendita dei biscotti Fattincasa, reintrodurremo in natura 15 oranghi attualmente ricoverati presso il centro di riabilitazione SOCP, riforesteremo almeno un ettaro del parco Leuser distrutto e contribuiremo a promuovere tutte le attività necessarie per conservare le foreste primarie rimaste.

tessa e orango

Per scoprire tutto sul nostro progetto e per aiutarci a raggiungere questi importanti obiettivi, leggete qui: All’orango, io ci tengo!

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