Quali sono le nazioni che rischiano di subire gli effetti più disastrosi dei cambiamenti climatici? È una domanda che i climatologi si pongono ormai da diverso tempo, nel tentativo di convincere i governi locali ad adottare misure di contrasto e di resilienza alle temibili conseguenze che la crisi climatica sta già manifestando. Eppure, poiché spesso le nazioni più vulnerabili sono anche le più povere, l’appello rimane difficile da accogliere. Questi Paesi non hanno risorse sufficienti per adottare piani di contrasto di lungo periodo e la comunità internazionale, purtroppo, sembra disinteressarsene.
Per capire cosa stia accadendo, e quali interventi sarebbe necessario adottare, mi sono avvalsa della classifica ND-GAIN sviluppata dall’Università di Notre Dame, il cui ultimo aggiornamento risale a pochissimi mesi fa. E la fotografia che ne emerge è tutto fuorché rassicurante, con milioni di persone che rischiano di non aver più accesso a fonti sufficienti di cibo e acqua, così come a soluzioni abitative idonee, proprio a causa dei cambiamenti climatici.
Come si identificano le nazioni vulnerabili ai cambiamenti climatici
Come ho accennato in apertura, l’Università di Notre Dame ha sviluppato un indice per misurare quanto le singole nazioni mondiali subiscono – e subiranno sempre più in futuro – gli effetti dei cambiamenti climatici.
L’indice ND-GAIN (Notre Dame Global Adaptation Initiative) si compone di due gruppi di valutazioni per ogni singolo Paese:
- la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, calcolata sulla base degli effetti già registrati e probabili in futuro su temi quali l’alimentazione, l’acqua, la salute, la conservazione degli ecosistemi, la conservazione degli habitat umani e le infrastrutture disponibili
- la preparazione, misurata in termini reattività alle mutazioni del clima e alla capacità di adattamento.
Ne è nata così una classifica mondiale, che riporta sia gli Stati sui cui i cambiamenti climatici avranno meno effetto che i Paesi che già oggi si trovano in una situazione di crisi. Come facile intuire, nella classifica si potranno trovare nazioni dal minore rischio ambientale a posizioni più basse rispetto ad altre dove l’impatto è maggiore, perché appunto vengono misurati non solo gli effetti delle mutazioni del clima, ma anche la prontezza di risposta e la capacità di adattamento.
Le 10 nazioni più vulnerabili ai cambiamenti climatici
Ma quali sono le 10 nazioni che rischiano di subire maggiormente gli effetti dei cambiamenti climatici? Senza troppe sorprese, dalla classifica ND-GAIN emerge chiaramente come siano i Paesi meno sviluppati quelli più esposti alla crisi climatica, sia per questioni prettamente geografiche, che per mancanza di risorse economiche da investire in azioni di contrasto.
Stando al ranking, l’Africa sarà probabilmente il continente che verrà maggiormente colpito dai cambiamenti climatici, seguito dall’Oceania. Questo non vuol dire che gli altri continenti possano tirare un sospiro di sollievo: le mutazioni del clima colpiscono tutti, nessun Paese escluso.
Somalia
È purtroppo la Somalia ad aggiudicarsi la maglia nera sul rischio relativo ai cambiamenti climatici, piazzandosi alla 178esima posizione dell’indice sviluppato dall’Università di Notre Dame.
In un Paese dove la produzione agricola e l’allevamento sono già complessi, e con processi di desertificazione sempre più evidenti, l’instabilità politica sta portando a una situazione di sostanziale assenza di interventi di contrasto alla crisi climatica. Si tratta, inoltre, di una nazione con largo accesso all’Oceano Indiano, che potrebbe subire importanti danni dall’innalzamento dei livelli del mare.
Ciad
Preoccupazioni simili emergono per il Ciad, che si alterna di anno in anno con la Somalia nell’ultima posizione della classifica. Sebbene la nazione non abbia accesso al mare, e possa contare anche su alcuni corsi d’acqua, l’aumento delle temperature sta provocando sia desertificazione che riduzione delle fonti di acqua dolce, con effetti immediati sia sull’agricoltura che sull’allevamento.
La sempre maggiore militarizzazione, e il problema della fame che coinvolge una fetta più ampia della popolazione, non hanno permesso al Paese di avviare specifiche misure di contrasto ai cambiamenti climatici.
Nigeria
Sebbene sia un Paese più ricco dei precedenti, la Nigeria sta già oggi subendo gravi conseguenze dovute ai cambiamenti climatici. Data la sua posizione geografica, con l’affaccio sull’Oceano Atlantico, la nazione sta sempre più assistendo a fenomeni contrastanti: da un lato periodi di fortissima siccità, dall’altro periodi di pesanti alluvioni. Solo nel 2022, più di 2.5 milioni di persone sono state coinvolte da improvvisi allagamenti, con gravi danni ai campi coltivati.
Anche in questo caso, una certa instabilità politica e una grande densità abitativa nelle città più abitate, non hanno permesso alla Nigeria di intraprendere percorsi efficaci di contrasto alla crisi climatica.
Guinea-Bissau
Nonostante una vegetazione ricca e sufficientemente fitta, in Guinea-Bissau le conseguenze dei cambiamenti climatici iniziano già a rendersi più che manifeste. I centri abitati lungo le coste non appaiono sufficientemente attrezzati per affrontare l’innalzamento dei livelli del mare e, contestualmente, esiste ancora una grande disparità tra città più moderne e altre dallo sviluppo perlopiù rurale.
Anche in questo caso, non sono ancora stati intrapresi percorsi di resilienza sufficientemente maturi per adattarsi a un clima in mutamento.
Micronesia
Dall’Africa all’Oceano Pacifico più solitario, dove sorgono gli Stati Federati della Micronesia. Tutt’oggi paradiso di biodiversità, con una fitta vegetazione di tipo tropicale e l’accesso a mari incontaminati, la Micronesia rischia di scomparire dalle mappe a causa dell’innalzamento dei livelli dell’Oceano.
Nonostante si tratti di un’apprezzata meta turistica, il governo locale non dispone di sufficienti risorse per contrastare i cambiamenti climatici, anche per la difficoltà di interfacciarsi con le altre nazioni, dato il suo isolamento geografico.
Tonga
Destino simile alla Micronesia quello di Tonga, uno dei più isolati arcipelaghi dell’Oceano Pacifico. Anche in questo caso, il rischio maggiore è dovuto all’innalzamento del livello dei mari, con il rischio che queste isole vengano completamente sommerse dall’acqua.
Il governo locale sta già attivando misure di adattamento, ma si tratta di una vera e propria corsa contro il tempo, che richiede il supporto dell’intera comunità internazionale.
Eritrea
Quella dell’Eritrea è una situazione complessa poiché, oltre al rischio ambientale, vi sono fattori politici e umanitari che non permettono di affrontare con la dovuta intensità il problema dei cambiamenti climatici. La desertificazione si fa sempre più sentire e, nonostante lo sbocco sul Mar Rosso, agricoltura e allevamento locali sono abbastanza poveri.
L’instabilità politica, la crescente polarizzazione della popolazione tra centri urbani più sviluppati e aree rurali sempre più povere e una diffusa riduzione dei diritti umani tratteggiano un quadro difficile da gestire.
Sudan
Simile all’Eritrea è la condizione del Sudan, una nazione dove i forti contrasti politici e societari stanno mettendo un’ipoteca sulla possibilità di adattarsi al cambiamento climatico.
La desertificazione aumenta, così come aumentano le differenze sociali, con sempre più persone che non trovano sufficienti risorse per sfamarsi o, ancora, avviare attività proficue di agricoltura e allevamento.
Liberia
Nonostante una buona biodiversità, anche la Liberia sta subendo pesanti conseguenze dei cambiamenti climatici. Le temperature si innalzano senza sosta e le sue splendide foreste sono sempre più vittime di incendi e siccità.
Il Paese, allo stesso tempo, fatica a investire in tutela delle risorse naturali, in particolare proprio per la protezione delle foreste, minacciate anche da un sempre più rapido sviluppo industriale.
Isole Salomone
Si ritorna in Oceania con le Isole Salomone, sempre più minacciate dall’innalzamento dei livelli del mare e dalle temperature sempre più elevate dell’Oceano Pacifico, con danni già evidenti sia alla fauna marina che alle barriere coralline.
Anche in questo caso, nonostante a livello locale si stiano intraprendendo dei percorsi di contrasto alla crisi climatica, le ridotte risorse richiedono un impegno a livello internazionale.
In definitiva, appare evidente come non sia solo la posizione geografica ad aumentare i rischi dovuti al cambiamento climatico, ma anche la situazione politico-economica, che può limitare tutte le azioni necessarie di adattamento. Per questo serve uno sforzo globale, poiché la crisi climatica riguarda tutti, anche quelle nazioni che ne saranno meno colpite.
No Comments