Il punto sulla situazione attuale e le conseguenze se non invertiamo la rotta
Cambiamenti climatici e riscaldamento globale: non se ne parla mai abbastanza, perché in molti sembrano avere ancora le idee un po’ confuse.
Eppure di avvisaglie da parte del clima ne abbiamo avute parecchie. Ad esempio, non è passato così tanto tempo dai mesi estivi da aver dimenticato il caldo che abbiamo patito: con temperature che sono arrivate fino ai 63° gradi percepiti, siamo stati tra i Paesi più caldi del mondo insieme alla West Coast degli USA (parliamo di città come Las Vegas, in mezzo al deserto!).
Il 2017 poi è stato ribattezzato come “l’anno degli uragani”: negli ultimi mesi si sono susseguiti senza sosta Harvey, Irma, Jose e Maria, uno più devastante dell’altro. Durante questa stagione degli uragani, che va da settembre alla fine di novembre, si sono già abbattute 13 tempeste tropicali, e siamo veramente a un passo dal battere il record di 15 del 1851; la cosa più insolita secondo gli esperti è l’aumento di frequenza e intensità, perché gli uragani erano tutti di categoria 4 (su una scala da 1 a 5).
E parliamo dell’Oceano Atlantico, in cui comunque le tempeste tropicali ci sono sempre state; ancora più insolito quindi che un uragano raggiunga l’Europa, come è successo recentemente con Ophelia: è stato il primo dalla metà del 1800 a oggi.
Foto: ambienteinforma-snpa.it
Come è potuto succedere? Semplice, trovando temperature oceaniche molto più calde del solito che gli hanno spianato la strada, permettendogli di rinforzarsi finché non si è abbattuto sull’Irlanda con venti superiori ai 130 km/h, causando non pochi danni e 3 vittime.
Proprio in questi ore, invece, l’Europa centrale è alle prese con Herwart, una tempesta che si è abbattuta su Polonia, Repubblica Ceca e Germania, allagando città come Amburgo, dove il fiume Elba è straripato, e causando (per ora) 5 morti e diversi feriti.
Appena un mese prima, tra il 9 e il 10 di settembre, l’Italia era invece alle prese con l’ennesimo alluvione, che stavolta ha colpito la mia regione e in particolare Livorno: per le forti precipitazioni, il torrente Rio Maggiore è esondato allagando la città, con un bilancio di 9 morti e 26 milioni di danni per le imprese. E facendo una ricerca a ritroso, scopriamo che questo non è che l’ultimo di una lunga serie: ci sono stati quello in val Trebbia, vicino Piacenza, nel settembre 2015, quello in Liguria a novembre 2014, quello in Sardegna nel novembre 2013, e via così, lasciando dietro ogni volta una scia di vittime. Secondo il dossier sui cambiamenti climatici pubblicato da Legambiente, i disastri metereologici dal 2010 a oggi hanno colpito 126 comuni italiani e causato 3600 morti, tra allagamenti, caldo intenso e altri fenomeni estremi.
Foto: LaPresse/Lo Debole
A proposito: ricordate la tromba d’aria che c’è stata a Taranto lo scorso agosto? Vento tanto forte da sradicare alberi e scoperchiare tetti, nubifragi, grandinate. Il mar Mediterraneo è chiamato lo “specchio dei cambiamenti climatici”: i ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche conducono studi da oltre 20 anni (e hanno appena pubblicato due ricerche di livello internazionale), dimostrando come nel Mediterraneo gli effetti del riscaldamento globale si manifestino più velocemente rispetto agli oceani, qui «siccità e temperature hanno recentemente raggiunto livelli record rispetto agli ultimi 500 anni». E, sempre secondo il CNR, in Italia l’intensità dei fenomeni metereologici ha subìto un aumento del 900% rispetto al secolo scorso.
Eppure, nonostante gli esperti di tutto il mondo confermino che dietro ai cambiamenti climatici ci sia il riscaldamento globale, ogni tanto c’è ancora qualcuno che cerca di convincerci che non è così. E non parlo solo del Presidente USA, che, dopo il tweet in cui sosteneva che fosse tutta un’invenzione dei cinesi per limitare la produzione americana, ha anche fatto eliminare tutti i riferimenti ai cambiamenti climatici dai siti governativi (da quello dell’EPA, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente, è sparita la sezione con gli studi che li collegavano al global warming).
Foto: The New Yorker
Parlo di scienziati che hanno una certa reputazione, come Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica nel 1984, che tre anni fa fece un intervento alle Commissioni Ambiente della Camera e del Senato per smontare i dati sul riscaldamento globale: tra le altre cose, sosteneva che le temperature sono sempre oscillate, altrimenti ai tempi dei Romani Annibale non avrebbe potuto attraversare le Alpi con gli elefanti. Peccato che i dati sul clima dicano tutt’altro: le temperature erano più basse, tanto che dei 37 elefanti se ne salvò solo uno!
Nulla da obiettare sulla carriera di fisico, ma non è un climatologo. Per il semplice motivo che l’Italia è l’unico Paese europeo a non avere un corso di studi in climatologia o meteorologia (le previsioni meteo sono affidate all’Aeronautica Militare). Fortunatamente i negazionisti sono ormai una piccola parte della comunità scientifica e comunque nessun climatologo nega che siano le attività umane le responsabili del riscaldamento globale: è vero che il clima è sempre cambiato, ma per cause naturali; ora per la prima volta nella storia sta cambiando a causa nostra.
Rispetto all’era pre-industriale, la temperatura è aumentata di 0,7°: sembra poco, ma siamo a tanto così dal punto di non ritorno, perché 2° C oltre la media porterebbero a conseguenze disastrose, scomparsa dei ghiacci ai poli, innalzamento dei mari e inondazione di molte zone costiere… le previsioni dicono che, a questo ritmo di emissioni di CO2, supereremo i 4° entro la fine del secolo, e parliamo della versione ottimistica: secondo quella pessimista, i gradi sono 8. Certi sono invece i dati raccolti finora: un altro (triste) record è stato battuto nel 2016, quando l’anidride carbonica ha raggiunto picchi che non toccava da 3-5 milioni di anni. I livelli di CO2 sono arrivati a 403,3 ppm (parti per milione), contro i 350 ppm fissati come soglia di sicurezza da non superare.
Anche se iniziassimo oggi a ridurre l’inquinamento, ci vorrebbero comunque anni per tornare a livelli accettabili; ma se non lo facciamo, sarà solo questione di decenni prima che città come Miami o Venezia, le zone costiere di Egitto e Olanda o isole delle Maldive e altri atolli tropicali vengano sommersi; vedremo alternarsi tempeste e uragani a lunghi periodi siccità, e un quinto dell’Italia è già a rischio desertificazione: ciò significa danni all’agricoltura e meno cibo; l’innalzamento delle temperature poi è un rischio per la salute, non solo per colpi di calore, ma anche per la diffusione di insetti portatori di malattie come la malaria.
Foto: www.focus.it
Non voglio dipingere un quadro apocalittico stile film-catastrofe, vorrei però che ci fosse più consapevolezza da parte di tutti nel capire che quella del clima è una partita importante, che dobbiamo giocare insieme. Gli esperti e le istituzioni devono fare la loro parte, come noi la nostra, partendo da tante piccole azioni quotidiane: in questo post ad esempio trovate 10 rimedi per iniziare a ridurre la CO2, e tanti altri consigli negli altri articoli.
In fondo, Ecocentrica nasce proprio per questo!
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