A tavola

Una dieta amica dell’Amazzonia: i cibi complici della distruzione del polmone del Pianeta


Tessa Gelisio, dieta per l'Amazzonia

Avete mai pensato di seguire una dieta amica dell’Amazzonia? Forse non tutti lo sanno, ma vi sono dei cibi di largo consumo che, purtroppo, stanno spingendo la deforestazione di uno dei polmoni verdi del Pianeta. Sì, perché per rispondere alla domanda mondiale di alcuni alimenti, si radono al suolo migliaia di chilometri quadrati di foresta pluviale, per far spazio a campi coltivati – sia per mangimi animali che per alimenti umani – e a numerosi allevamenti. Ma che fare?

Come sempre, le nostre scelte di consumo possono fare la differenza sul destino del Pianeta e, per questa ragione, bisogna prestare alta attenzione a quello che si porta nel piatto. Ciò non significa necessariamente rinunciare a certi alimenti – anche se a volte consigliabile, anche per ragioni di salute – bensì sceglierli da agricoltura e allevamento più sostenibili.

Amazzonia e alimentazione, danni ingenti

A livello globale, negli ultimi 30 anni sono stati distrutti 420 milioni di ettari di foreste, in particolare proprio in Amazzonia. E gran parte di questa deforestazione, così come specifica il WWF nel rapportoQuante foresta avete mangiato oggi”, è determinata proprio dai consumi alimentari. Si stima, ad esempio, che ogni anno circa 10 milioni di ettari di terreno forestale amazzonico vengano persi per rispondere alle richieste di cibo dell’Unione Europea.

Un dato preoccupante, se si considera che – come riferisce all’ANSA sempre il WWF – il 40% della foresta amazzonica abbia raggiunto il punto di non ritorno, ovvero non può essere più riconvertita in aree boschive perché il terreno è stato completamente depauperato. E se a questo si aggiungono i danni dovuti ai consumi non alimentari – in particolare, la richiesta di legno e derivati – quasi il 90% della deforestazione in Amazzonia dipende dai consumi occidentali.

I cibi a maggiore impatto sull’Amazzonia

Cibi che danneggiano l'Amazzonia

Sono principalmente cinque – e non a caso vengono chiamati “Big Five” – i cibi maggiormente complici della deforestazione dell’Amazzonia. Ottenere dati precisi su quale sia il loro effettivo impatto non è semplice, anche perché spesso i Paesi coinvolti non permettono di condurre estese indagini sul campo, tuttavia, vi sono delle stime decisamente affidabili. In particolare, il WWF e altre organizzazioni ritengono che, per quanto riguarda la deforestazione spinta da cause alimentari, i maggiori responsabili siano:

  • carne bovina: pesa all’80% sulla deforestazione per causi alimentari;
  • soia: pesa al 15% sulla distruzione delle foreste per la produzione di cibo;
  • caffè, cacao e latticini: hanno un impatto complessivo del 5% sulla distruzione dell’Amazzonia.

Il dramma della carne bovina in Amazzonia

Amazzonia, allevamento intensivo

La produzione di carne bovina è la principale responsabile della deforestazione in Amazzonia, non solo quella derivante dalla produzione di cibo, ma sul totale delle foreste abbattute. La porzione di foresta maggiormente colpita è quella brasiliana, dove si trovano più del 40% di tutti gli allevamenti di bovini dell’area e dove, purtroppo, sono stati distrutti più di 75 milioni di ettari di alberi. In linea generale:

  • la foresta viene distrutta sia per far spazio agli allevamenti che alla produzione di mangime per gli animali allevati in tutto il mondo;
  • il Brasile esporta tra il 25 e il 40% della sua produzione di carne annuale in Europa;
  • il 17% della carne bovina importata deriva da allevamenti legati alla deforestazione illegale;
  • l’Italia è il maggiore importatore europeo di carne bovina fresca e congelata dal Brasile.

Produrre soia deforestando il Brasile

Amazzonia, coltivazione della soia

Dal 1950 a oggi, la richiesta di soia a livello mondiale è aumentata di ben 15 volte, con un impatto devastante sulla foresta amazzonica. Le aree boschive vengono infatti abbattute per far spazio ai campi coltivati, in particolare in Brasile. E i dati sono decisamente allarmanti:

  • l’80% della soia coltivata (OGM) è destinata alla produzione di farine, il 20% agli oli;
  • il 97% della soia coltivata è utilizzata per la produzione di mangimi per i bovini da carne, solo il 3% viene consumata direttamente dall’uomo;
  • l’Italia è il terzo importatore mondiale di farine di soia dal Brasile.

Caffè, cacao, latticini e altri cibi: un impatto in Amazzonia da non sottovalutare

Caffè in Amazzonia

Seppur il loro impatto sulla foresta amazzonica sia minore rispetto a carne bovina e soia, anche caffè, cacao e latticini contribuiscono alla deforestazione di questo polmone del Pianeta:

  • la produzione di caffè si sta sempre più spostando in Amazzonia e in altre foreste tropicali. Per via dei cambiamenti climatici, le aree planetarie dove vi sono le condizioni necessarie alla coltivazione si riducono e, entro il 2050, si perderà il 60% dei terreni attualmente idonei, come spiega la WCR (World Coffee Research). Di tutto il caffè prodotto in Amazzonia, il 33% è destinato all’Europa e l’Italia è il secondo consumatore mondiale;
  • anche il cacao sta seguendo la stessa sorte del caffè, con le aree mondiali di produzione in netta diminuzione e il trasferimento di molte aziende di produzione proprio in Amazzonia;
  • per i latticini, invece, la produzione segue lo stesso processo della carne, con la distruzione di grandi aree forestali per far spazio ad allevamenti e campi per la produzione di latticini.

Non bisogna, inoltre, dimenticare il peso dell’olio di palma: al momento, la produzione si sta concentrando soprattutto nel Sudest Asiatico, ma il Brasile vede sempre più monocolture da palma da olio, che potrebbero presto raggiungere i 50.000 chilometri quadrati.

Come seguire una dieta amica dell’Amazzonia

Ma quali scelte di consumo possiamo adottare per seguire una dieta che sia amica dell’Amazzonia? Innanzitutto, è sempre utile sposare la dieta mediterranea, un regime alimentare vario e nutrizionalmente bilanciato, caratterizzato da consumi di carne non eccessivi. Inoltre, è necessario preferire il chilometro zero, o almeno Italia, derivati animali solo da allevamenti biologici o da pascolo.

Più specificatamente, dovremmo imparare a:

  • ridurre il consumo di carne – o, ancora, eliminarlo – acquistando solo prodotti italiani, provenienti da allevamenti biologici certificati. In questo modo, si abbatte anche la richiesta di soia OGM per i mangimi, poiché i bovini allevati in modo biologico si alimentano principalmente di erba e di foraggi locali o di mangimi comunque certificati bio, dove è vietato l’uso degli OGM.
  • per le stesse ragioni ridurre il consumo di latticini e derivati;
  • consumare caffè e cacao solo da produzioni equosolidali e biologiche, ovvero provenienti da coltivazioni dove vengono rispettate le necessità sia ambientali che i diritti dei lavoratori locali;
  • sostituire le carni bovine con altre più sostenibili – se biologiche, in particolare le bianche o, ancora, le varietà di pesce a basso impatto ambientale.
  • evitare tutti prodotti con olio di palma.

In definitiva, senza troppo stravolgere le nostre abitudini, possiamo ridurre il nostro impatto sull’Amazzonia: non sottovalutiamo, perciò, il peso delle nostre abitudini di consumo sulla deforestazione!

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