Punto di vista

Elettrosmog: cosa succede in Italia e consigli quotidiani


Tessa Gelisio, elettrosmog

Con la velocità con cui le tecnologie di comunicazione si sviluppano, il tema dell’elettrosmog è sempre più di stretta attualità. La scorsa settimana vi ho parlato delle problematiche legate all’inquinamento elettromagnetico e ai suoi possibili rischi per la salute, molti dei quali ancora oggi oggetto di studio. Ma per comprendere quanto sia elevato questo rischio, è innanzitutto necessario domandarsi cosa accada nei luoghi in cui si vive. Ad esempio, cosa succede in Italia, cosa prevedono le normative? E, ancora, vi sono dei comportamenti che ci permettono di limitare le esposizioni?

Ho deciso di parlarne con Katiuscia Eroe – Responsabile Nazionale Energia di Legambiente – per capirne di più. Dai limiti di legge alle richieste delle aziende di telecomunicazione – dette anche telco – passando per il nostro stile di vita: ecco cosa sapere.

Elettrosmog: tra normativa italiana e richieste delle telco

Elettrosmog, antenne

Così come ho già anticipato nel precedente articolo, l’Italia ha scelto un approccio cautelativo sul tema dell’inquinamento elettromagnetico. In particolare sulle emissioni in radiofrequenza, ovvero dai 10 megahertz ai 300 gigahertz, disciplinate dal DM 381/91 e dal DCPM 8/7/2003, quest’ultimo ideato per recepire la legge quadro 36 del 2001.

La normativa impone un tetto massimo ai campi di esposizione di 6 V/m valido per i luoghi chiusi con permanenze di almeno quattro ore consecutive. Si tratta di un limite decisamente più basso rispetto a diversi altri Paesi europei, poiché varie nazioni hanno deciso di rifarsi alla Raccomandazione del Consiglio CE 1999/512/CE: questa determina una soglia massima, da non superare, di 61 V/m, ma permette ai singoli Stati Membri di imporre limiti inferiori a tutela della popolazione. Proprio per questa ragione, la normativa italiana è definita cautelativa: non essendo ancora pienamente noti gli effetti non termici e a lungo termine dell’esposizione alle emissioni elettromagnetiche, si è preferito minimizzare il rischio.

Eppure, nonostante il tetto massimo italiano di fatto non sembra aver inibito lo sviluppo di tecnologie di comunicazione all’avanguardia, ciclicamente vi sono richieste da gruppi di pressione, telco e politici per l’innalzamento dei limiti a 61 V/m. Una richiesta che si è fatta più insistente con l’arrivo del 5G, con l’ultimo tentativo lo scorso febbraio da parte di Asstel, l’associazione di categoria delle telco nel sistema Confindustria. Una proposta che ha spinto associazioni e gruppi di tutela, come Legambiente, verso un secco “no”. Ma a che punto si è arrivati, ci sono aggiornamenti sulla richiesta?

Questa è una cosa che si ripete ormai ciclicamente” – spiega Katiuscia Eroe. “Quella che ha fatto Asstel è stata una proposta di emendamento di una normativa che, tra l’altro, non parlava di limiti d’esposizione. Quindi, in qualche modo, lo hanno proposto. Credo che si sarebbe dovuto poi discuterlo ed eventualmente inserirlo nella norma. Ora, dalle informazioni che noi abbiamo, questo non è ancora avvenuto. L’idea di muoversi in maniera preventiva, rispetto all’emendamento proposto, è stata di chiarire subito che quella proposta era ampiamente contrastata dalle associazioni e dai cittadini”.

Ma quale sarebbe il vantaggio per le telco di innalzare i limiti a 61 V/m?

Possono installare meno antenne, quindi ottenendo un risparmio economico” – prosegue Katiuscia Eroe. “Come funziona: noi abbiamo dei limiti di esposizione che, ovviamente, consentono alle antenne di funzionare con una certa potenza e quindi con una certa capacità di copertura del territorio. Se io alzo quei limiti d’esposizione, l’antenna può funzionare con potenze maggiori e, quindi, coprire una porzione maggiore di territorio”.

Perché questo noi non lo vogliamo?” – continua Eroe. “Perché da una parte ci sono ragioni tecniche, ovvero aumentare il numero delle antenne è una delle strategie che si possono utilizzare per minimizzare le esposizioni. Avere tante antenne vuol dire che tutte operano con potenze più basse, perché hanno bisogno di coprire piccole porzioni di territorio, e quindi minimizzano le esposizioni per i cittadini. Dall’altra, il tema dei 61 V/m è un tema perlopiù sanitario. Non vogliamo i 61 V/m, primo perché la tendenza della ricerca ci dice che esposizioni alte incorrono in una maggiore esposizione a rischi sanitari come quelli che, ad esempio, ha raccontato l’Istituto Ramazzini e legati alle cellule nervose e agli schwannomi. Poi c’è tanta letteratura che racconta di disturbi a breve termine, di effetti acuti a lungo termine che riguardano ad esempio lo sviluppo di tumori, gliomi… Ora, è vero che la porzione è limitata, perché riguarda una percentuale bassa della popolazione, ma ciò non implica che bisogna necessariamente sacrificare qualcuno per utilizzare la tecnologia. Ad esempio, oggi le tecnologie ci permettono di realizzare tranquillamente il 5G anche con questi limiti d’esposizione, davvero non si capisce perché dovremmo correre questo rischio. Noi non siamo contro al 5G, è una tecnologia che ci permetterà di fare tante cose, ma si possono raggiungere entrambi gli obiettivi: sviluppare l’innovazione, salvaguardando la salute”.

Quindi, in definitiva, è meglio avere più antenne e un rischio minore, che poche antenne a potenza troppo elevata.

È assolutamente così. Il problema, anche dichiarato all’interno dell’emendamento di Asstel, era l’investimento da farsi. Si parla di 24.000 antenne aggiuntive, oltre a quelle già esistenti. Sono stati stimati tra i 3 e i 4 milioni di euro, l’obiettivo è quello di ridurre la spesa per i gestori. È comprensibile, dal loro lato, cercare di ridurre una spesa: ci sta ed è sacrosanto. Ma questo non può essere fatto a discapito della salute. C’è anche un altro tema: siamo in una fase in cui stiamo chiedendo anche maggior supporto alla ricerca indipendente, proprio perché c’è necessità di arrivare a fare chiarezza sui limiti ritenuti cautelativi rispetto a quelli non cautelativi. Le ricerche su questo indicano che i nostri 6 V/m sono cautelativi, finché non c’è una ricerca conforme e indipendente che ci dimostra che i 61 V/m sono sicuri – limite che l’Unione Europea non ha definito da raggiungere, ma da non superare, permettendo di adottare limiti più restrittivi per la salvaguardia della popolazione – non vedo dove sia il problema”.

Inquinamento elettromagnetico, come comportarsi?

Ripetitori

Definita la situazione italiana e i suoi aspetti normativi, si torna però alla quotidianità. Sarà capitato a tutti di domandarsi, nel vedere sempre più antenne sparse per la città, come comportarsi per minimizzare l’esposizione. Ad esempio, cosa succede in caso di fonti d’esposizione multiple?

Il limite è complessivo” – spiega Eroe. “Puoi avere una fonte o cento fonti, ma il limite da non superare non è delle singole fonti. […] Quello dei 6 V/m è il valore da non superare nelle aree di permanenza superiori alle quattro ore. Quindi, indipendentemente da quello che hai attorno a casa, ad esempio, dentro l’abitazione non devono essere superati i 6 V/m. Questo indipendentemente dal numero di antenne. C’è un altro tema: quello legato alle esposizioni domestiche. Sistemi d’allarme, WiFi, Bluetooth: quello è un altro campo”.

E che fare, proprio considerando come questi dispositivi e sistemi siano di uso sempre più massiccio e quotidiano?

Prendiamo ad esempio i cellulari” – prosegue la responsabile di Legambiente. “Che ci siano delle forme di elettromagnetismo su cui ci sono certezze sulla non salubrità è noto, quello che è importante fare non è rinunciare a una tecnologia oppure a una comodità, ma saperle utilizzare. Il telefono va ad esempio utilizzato con lo scomodissimo auricolare con il filo. Va detto che l’esposizione generata da un auricolare Bluetooth rispetto a quella di un telefono è molto diversa, però se si decide di utilizzarlo è meglio non tenerlo sempre sull’orecchio, anche quando non si sta facendo una conversazione. Ancora, non tenere il telefono in tasca perché ciò richiede al dispositivo di utilizzare una maggiore potenza e quindi generare una maggiore esposizione. Bisogna essere molto consapevoli di quello che ci gira intorno, dentro casa e fuori casa, e cercare di minimizzare quelle che sono le esposizioni. A partire dai giovani, che sono i soggetti più sensibili, perché sono in una fase di sviluppo cellulare e biologico: non tenere i cellulari sotto i cuscini, insegnare loro a spegnerli di notte… Bisogna fare educazione per cercare di minimizzare le esposizioni – anche quelle domestiche – e fare attenzione agli stili di vita”.

Abbiamo parlato soprattutto di emissioni a radiofrequenza e di esposizioni domestiche, come appunto i cellulari e gli altri dispositivi a uso quotidiano. Ma ci sono anche altre fonti di cui non si parla mai, ad esempio quello delle linee elettriche. Cosa sapere?

In questo caso parliamo di elettromagnetismo a bassa frequenza. Anche questo è un altro grosso tema, dove ci sono dati di incremento di leucemie infantili e residenziali, nelle esposizioni superiori a 0.5 microtesla legate alla presenza di elettrodotti. Abbiamo una normativa che impone limiti di 3 o 10 microtesla in base a quando è stato realizzato l’elettrodotto – c’è un anno spartiacque, come se gli elettrodotti nuovi generassero un’esposizione diversa. Due sono le attenzioni. La prima è come vengono progettati i piani di sviluppo urbano, perché gli elettrodotti sono generalmente nelle loro posizioni da molto prima degli edifici. Quindi è difficile, se non impossibile, che un nuovo elettrodotto venga realizzato vicino centri urbani o abitazioni, proprio perché si sa che ci sono dei rischi sanitari. Qui la battaglia è ovviamente quella di ridurre i limiti di esposizione, dai 3 e 10 agli 0.5 microtesla, che sono quelli consigliati dalla comunità scientifica internazionale. L’altra partita è su quello che avviene dentro casa. Il campo elettromagnetico è generato dai cavi che passano nelle nostre mura, ma è molto basso ed è soprattutto un’esposizione inversamente proporzionale alla distanza, si riduce anche a una distanza molto breve. Però è importante cercare di stare lontani da fonti fisse. Ad esempio, non dovremmo posizionare i cavi delle spine dietro il letto, per non dormire tutta notte in un microcampo d’esposizione. Serve quindi attenzione su come realizzare e progettare le case, ad esempio usare materiali che permettono di schermare i cavi. Ci sono delle accortezze quotidiane: ad esempio non lavorare 7 ore al giorno con il computer del collega direttamente dietro la testa, ma rispettare delle distanze consone. Comunque il rischio maggiore esiste sugli elettrodotti e le cabine di trasformazione. Ad esempio, in Italia molte delle cabine di trasformazione sono ancora dentro ai condomini: per i piani immediatamente adiacenti alle cabine di trasformazione si possono verificare campi elettromagnetici superiori a quelli indicati dalla comunità scientifica”.

In definitiva, anche sulle tecnologie di comunicazione serve attenzione e consapevolezza: bastano piccoli accorgimenti quotidiani per ridurre sensibilmente le nostre esposizioni, permettendoci così di non rinunciare alle innovazioni di settore, minimizzando però i rischi per la salute.

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