Da sempre sono una grande sostenitrice delle fonti rinnovabili: oltre agli innegabili vantaggi a livello ambientale, rappresentano per il nostro Paese il mezzo per raggiungere l’indipendenza energetica per sempre, dato che sono infinite. Eppure da qualche tempo un dubbio mi assale: stiamo davvero facendo abbastanza su questo fronte?
La domanda mi è sorta soprattutto osservando le tendenze degli ultimi mesi dove, a fronte dell’aumento record dei costi dell’energia da fonti fossili, il nostro Paese ha praticamente risposto penalizzando proprio le rinnovabili. E pensare che, negli ultimi 17 anni, la produzione di energia elettrica da fotovoltaico ed eolico è passata dal 15 al 37% a livello nazionale: perché fermarsi proprio ora? Per capirne di più, ho chiesto il parere di Stefano Ciafani, Presidente Nazionale di Legambiente. Proprio poche settimane fa Legambiente ha pubblicato il suo report “Scacco Matto alle Rinnovabili”, per evidenziare tutti i blocchi che stanno limitando lo sviluppo di questo settore in Italia.
L’intervista a Stefano Ciafani è anche disponibile sui miei canali Facebook e Instagram, puoi rivedere la diretta qui sotto:
L’era del caro bollette
Parto da una situazione decisamente attuale, quella dei costi dell’energia. Le tariffe per la produzione e l’importazione di gas naturale hanno raggiunto livelli record, tanto che le famiglie si trovano oggi a dover pagare bollette praticamente raddoppiate rispetto a un anno fa, a parità di metri cubi consumati. E non va meglio sul fronte dell’energia elettrica, data ancora la grande dipendenza da fonti fossili.
È ovvio che in un problema così complesso vi rientrino più fattori – dalla ridotta autosufficienza nazionale alla geopolitica – eppure nelle ultime settimane si assiste a uno strano fenomeno mediatico, dove a essere incolpate sono proprio le rinnovabili. E anziché ragionare sull’aumento della potenza installata a livello naturale, si punta sull’aumentare la quota di gas, gas già oggi alle stelle. Perché?
“Perché ci sono fortissimi interessi affinché le rinnovabili non si sviluppino” – spiega Ciafani. “Ci sono ovviamente gli interessi degli importatori delle fonti fossili, a partire dal gas, ci sono gli interessi di chi il gas lo utilizza per produrre elettricità in Italia. Queste due categorie di grandi gruppi industriali hanno alimentato una campagna mediatica, di cui alcuni si stanno facendo portavoce, e questo sta completamente disorientando l’opinione pubblica. Oggi stiamo pagando una bolletta energetica crescente, sempre più importante, perché dipendiamo troppo dal gas. Ed è proprio la fonte energetica che è aumentata in maniera incredibile da quando è ripartita l’economia mondiale”.
Una fonte energetica, quella del gas, di cui lo Stivale è estremamente dipendente.
“L’Italia è molto esposta sull’uso del gas, consumiamo 70 miliardi di metri cubi di gas l’anno, 30 per la produzione di elettricità, 20 per gli usi domestici e 15 per gli usi industriali” – aggiunge Ciafani. “Per ridurre la bolletta dobbiamo ridurre l’uso del gas, ma per ridurre l’uso del gas dobbiamo sviluppare le rinnovabili, perché aggrediscono le prime due voci di consumo: la produzione di elettricità e gli usi domestici. Questo renderebbe felice il Pianeta in relazione alle emissioni climalteranti, i polmoni di chi vive in zone dove si produce energia bruciando gas, carbone e petrolio, ma renderebbe poco felici chi ha business sull’importazione o l’estrazione di gas”.
Gas e produzione nazionale
Di fronte a questo scenario, viene spontaneo chiedersi se non si possa ridurre la bolletta energetica producendo più gas autoctono. Ma, anche investendo ingenti risorse e raddoppiando la produzione attuale, come sperato da molti, non si supererebbe l’8% a livello nazionale.
“Quella del raddoppio della produzione di gas nazionale è una cosa ridicola” – rimarca Ciafani. “Noi estraiamo 4 miliardi di metri cubi di gas all’anno rispetto a un consumo di 70. Se estraessimo, con uno schiocco di dita, tutte le nostre riserve certe e probabili di gas nei fondali marini italiani e nella terraferma del Paese, in base ai dati del Ministero dello Sviluppo Economico agli attuali tassi di consumo esauriremmo le riserve in 15 mesi. Perché si parla di quasi 90 miliardi di metri cubi di gas”. “[…] Qual è quindi il senso, oltre al fatto che ci si impiega almeno due anni prima di poter pensare di raddoppiare la produzione nazionale. Invece di investire in una cosa che continua a inquinare e che ha un impatto relativissimo sulla bolletta energetica nazionale, perché non ci svincoliamo dalle importazioni con qualcosa che ci renda davvero autonomi, con un piano strutturale di sblocco delle rinnovabili?”.
Lo stato delle rinnovabili
Quando si parla di rinnovabili come risorsa per risolvere il problema energetico italiano c’è però ancora chi solleva il sopracciglio. Alcuni credono che siano poco vantaggiose dal punto di vista economico, altri ritengono non siano tecnologicamente avanzate, altri ancora che non siano in grado di garantire il fabbisogno del Paese. Nella maggior parte dei casi si tratta di credenze ormai smentite – recenti studi parlano di un costo medio globale al kWh di 3.7 centesimi di dollaro per il fotovoltaico, 4 per l’eolico, 5.9 per il gas, 11.2 per il carbone e 16.3 per il nucleare – ma quale è lo stato attuale delle rinnovabili?
“Legambiente 40 anni fa faceva la battaglia contro le centrali nucleari” – spiega Ciafani. “Dicendo che si doveva investire sul gas come fonte fossile come transizione e puntando su quelle che, ai tempi, venivano chiamate fonti alternative. Non erano tecnologicamente mature, quindi si doveva passare per il gas se non si voleva usare il carbone. Dopo 40 anni, la maturità delle rinnovabili è però clamorosa: oggi la Cina sta realizzando la prima pala eolica da 16 Megawatt. […] C’è un’elevata innovazione tecnologica: oggi puoi fare su terreni agricoli degli impianti fotovoltaici che non sono più le vecchie spianate di silicio, puoi fare degli impianti di agrivoltaico. Poi ci sono gli impianti fotovoltaici sospesi, quelli sui tracker a inseguimento solare, i pannelli fotovoltaici da balcone e in futuro ci saranno anche le finestre con il vetro fotovoltaico. Negli ultimi decenni le rinnovabili sono diventate mature e i costi di installazione ed esercizio di questi impianti garantisce dei prezzi di vendita dell’energia che sono stra-competitivi rispetto alle fonti inquinanti”.
Tant’è che si è optato per il prelievo sugli extra delle rinnovabili proprio perché più convenienti.
“Questa è un’operazione alla Robin Hood al contrario” – sottolinea Ciafani. “Anziché andare a prelevare gli extra-profitti delle aziende che hanno investito in gas, in carbone o in petrolio, vanno a colpire il settore delle rinnovabili. È un Paese che dice di voler praticare la transizione ecologica, ma va dall’altra parte”.
Perché allora si bloccano le rinnovabili?
Nonostante i vantaggi ambientali delle fonti rinnovabili, e i costi ridotti sul mercato, l’Italia non sembra stia facendo abbastanza. Entro il 2030 sarebbe auspicabile raggiungere una quota del 72% di energia elettrica da rinnovabili, per un totale di 70 Gigawatt. Eppure basterebbe che il 50% dei progetti rinnovabili già ora esistenti venisse sbloccato per raggiungere un simile risultato, cosa lo frena?
“L’Italia è un Paese che, dal punto di vista orografico e climatico, è perfetto per praticare la transizione ecologica in maniera veloce” – spiega Ciafani. “Ha il sole in tutto il Paese, soprattutto al Centro Sud, ha il vento sui crinali delle montagne e nei mari che circondano lo Stivale e le isole. Le aziende stanno presentando tanti progetti che garantirebbero all’Italia di rispettare quegli obiettivi climatici che l’Europa ha imposto anche al nostro Paese. Eppure c’è un combinato disposto di problemi che sta bloccando questo settore. Oggi installiamo 0.8 Gigawatt di rinnovabili all’anno. Per rispettare gli obiettivi del 2030, dobbiamo decuplicare la potenza installata annua, cioè passare da 0.8 Gigawatt a 8 Gigawatt l’anno. Per fare questo, bisogna velocizzare e semplificare gli iter di autorizzazione degli impianti. Bisogna che ci sia un approccio proattivo delle sovrintendenze che, 9 volte su 10, dicono sempre ‘no’ a qualsiasi proposta d’impianto”.
In effetti quello delle sovrintendenze è un problema noto, perché per le rinnovabili il tasso di bocciatura è così alto?
“C’è un approccio conservazionistico del paesaggio – prosegue Ciafani – e per difendere il paesaggio, per approccio culturale, le sovrintendenze dicono no. Non facendo distinzione tra un viadotto, una cava di estrazione degli inerti, un porto turistico costiero e gli impianti rinnovabili. Sarebbe quindi opportuno che il Ministero della Cultura, con il Ministro Franceschini, definisse delle norme nazionali per evitare l’arbitrarietà delle sovrintendenze sui territori. Basterebbe che ci fosse una regola nazionale sulle procedure semplificate sull’approvazione degli impianti rinnovabili nei centri storici. Se tu vivi in un centro storico, e l’Italia è piena di centri storici, e vuoi farti un impianto fotovoltaico integrato sul tetto – che non vede nessuno, se non gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale – la richiesta arriva in sovrintendenza e automaticamente dicono no. […] Si dice sempre ‘basta fotovoltaico a terra’, giustamente, ma se non lo fai sui tetti e si esclude il centro storico non si arriverà mai a quegli 8 Gigawatt l’anno. […] Non bastano i capannoni, non bastano i parcheggi, non bastano le stalle: bisogna installare impianti fotovoltaici su tutti i tetti. Ci sono invece autorizzazioni cervellotiche, inadeguatezza delle strutture che valutano i progetti, ci sono sovrintendenze che si mettono di traverso. E poi ci sono tre Regioni in questo Paese che hanno varato delle moratorie: Lazio, Abruzzo e Calabria. Tutto il combinato disposto di questi problemi porta l’Italia ad avere solo il 10% di quel che deve installare perché lo chiede l’Europa. Così facendo rischiamo che l’Europa apra una procedura d’infrazione e manchiamo una grande occasione di sviluppo industriale, produttivo e lavorativo, che renderebbe il Centro Sud il nuovo triangolo industriale del Paese”.
Il mix energetico vede oggi un 50% di gas e un 37% di rinnovabili. Sarà possibile arrivare al 100% di rinnovabili?
“Certo” – rimarca Ciafani. “Negli ultimi 17 anni l’Italia è passata dal 15% di elettricità da fonti rinnovabili al 37, abbiamo quindi più che raddoppiato la produzione di elettricità da fonti pulite. Dal 2022 al 2040, siamo in grado di passare da quel 37% al 100% perché abbiamo un enorme potenziale non sfruttato di vento e di sole, si può andare anche a fare qualcosa sul geotermico e sull’idroelettrico fatti bene. E questo con le tecnologie di oggi, man mano che passeranno gli anni si potranno installare impianti eolici più potenti e aggiornare i pannelli fotovoltaici meno efficienti con quelli con rendimenti più importanti. […] Bisogna ovviamente fare un lavoro anche sui sistemi di accumulo, c’è da bilanciare la rete e dobbiamo non solo aprire impianti che producono batterie per la mobilità elettrica, ma anche grandi fabbriche di batterie per immagazzinare l’energia prodotta quando c’è tanto sole e tanto vento, per poi restituirla alla rete quando serve”.
E, per concludere, come fare per il resto dell’energia, quella che non può essere garantita da rinnovabili?
“È questa la nostra grande sfida: decarbonizzare la mobilità – non solo quella cittadina, ma anche quella aerea, quella navale – e, dove non si può ricorrere all’elettricità, procedere con l’idrogeno e con i biocarburanti, questi ultimi però fatti bene per evitare la deforestazione. Oggi ad esempio l’acciaio è prodotto perlopiù con il carbone, ma nel Nord Europa ci sono già due sperimentazioni che impiegano idrogeno verde”.
Insomma, sembra quindi che l’obiettivo delle rinnovabili al 100% sia fattibile. Il problema, quindi, è di volontà: l’Italia è pronta a questo salto?
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