Punto di vista

Foreste 2020: chi ha perso e chi ha guadagnato?


Com’è cambiata la copertura forestale nel mondo negli ultimi anni? Ecco la fotografia della FAO tra deforestazione e boschi in crescita 

Fino a 10.000 anni fa le foreste ricoprivano circa il 45% dell’area terrestre: oggi solo il 30,8%, quasi 6 miliardi di ettari persi nel corso della storia a causa di fenomeni naturali e dell’uomo. Ad ogni periodo di avanzamento economico è sempre corrisposta una conseguente deforestazione: dalla nascita dell’agricoltura, quando l’incremento della popolazione e la crescente domanda di cibo, ha accelerato il ritmo di disboscamento per dare spazio a colture e allevamenti, cancellando circa la metà delle foreste dell’Europa occidentale già prima del Medioevo, fino alla rivoluzione industriale del XVIII e il XIX che ha causato le prime conseguenze irreversibili nelle foreste. Cento anni fa, la deforestazione era un processo significativo in Europa e Nord America, ma non ai tropici. Oggi questo modello è stato invertito.

Ma qual è la situazione attuale delle foreste?

Secondo il Global Forest Resources Assessment 2020 (FRA) della FAO, “le foreste attualmente coprono il 30,8 percento dell’area terrestre globale. In proporzione alla superficie terrestre totale è diminuita dal 32,5% al ​​30,8% nei tre decenni tra il 1990 e il 2020. Ciò rappresenta una perdita netta di 178 milioni di ettari di foresta, un’area delle dimensioni della Libia”. Come possiamo vedere dalla tabella 1, tra il 1990–2000 e il 2010-2020 il tasso medio di deforestazione è diminuito di circa il 40%, passando da 7,84 milioni di ettari a 4,74 milioni di ettari all’anno, il che vuol dire che il rimboschimento forestale di alcune zone sta gradualmente compensando le perdite di superficie in altre. Anche se la perdita di una foresta primaria non potrà mai essere ricompensata da una piantumata e che nel calcolo non viene considerata la qualità della copertura vegetale.  

TABELLA 1: TASSO ANNUALE DI VARIAZIONE DELL’AREA FORESTALE

Sempre secondo il rapporto della FAO “Il mondo ha ancora 1,11 miliardi di ettari di foreste primarie (mai tagliate dall’uomo) ma la maggior parte sono concentrate in tre paesi: Brasile, Canada e Federazione Russa ospitano più della metà della foresta primaria del mondo (61%). L’area della foresta primaria è diminuita di 81 milioni di ettari dal 1990, ma il tasso di perdita è più che dimezzato nel 2010-2020 rispetto al decennio precedente”.

Chi ha perso e chi ha guadagnato foreste   

Dando un rapido sguardo al grafico (tabella 2) appare chiaro che l’Africa e il Sud America sono i continenti che hanno registrato i più alti tassi di deforestazione negli ultimi 30 anni, perdendo rispettivamente 3,94 milioni di ettari e 2,60 milioni di ettari soltanto nel decennio 2010-2020. 

L’Asia, seguita da Oceania e Europa, sono le regioni che, nel periodo 2010-2020, hanno “guadagnato” foreste grazie al rimboschimento naturale o artificiale dell’area forestale. 

TABELLA 2: CAMBIAMENTO NETTO DELL’AREA FORESTALE PER REGIONE, 1990-2020 (MILIONI DI ETTARI ALL’ANNO)

In sostanza la deforestazione globale continua, sebbene a un ritmo più lento, con 10 milioni di ettari all’anno convertiti in altri usi dal 2015, in calo rispetto ai 12 milioni di ettari all’anno dei cinque anni precedenti. Una lettura dei risultati, pubblicati dalla FAO, porterebbe a pensare che la superficie forestale stia gradualmente migliorando ma se consideriamo che negli ultimi 30 anni abbiamo perso 178 milioni di ettari di foreste in tutto il mondo e che tra questi, 81 milioni erano foreste primarie, capiamo che la situazione non è poi così positiva. Pur facendo la differenza tra le foreste che abbiamo perso e quelle che abbiamo guadagnato, il netto rimane ancora in perdita, considerando che la perdita lorda è di 400 milioni di ettari. Una notizia positiva c’è però: le foreste sono cresciute, si sono ingrandite e sono diventate più forti e la deforestazione negli ultimi dieci anni pare sia rallentata, come nel caso di Asia ed Europa. Su questo punto bisognerebbe fare una precisazione. In Europa il rimboschimento è un fenomeno soprattutto naturale e potrebbe essere spiegato prendendo come esempio l’Italia stessa: con l’abbandono delle terre coltivate la natura si è ripresa i suoi spazi, portando ad avere fino a 800.000 ettari di nuove foreste all’anno. Mentre in Asia la situazione è diversa: le foreste sono per lo più artificiali, composte da alberi a rapido accrescimento. Soltanto in Cina sono stati piantumati circa 30 milioni di ettari in 30 anni, principalmente per assorbire la Co2 o per scopi produttivi. Un dato sicuramente positivo a livello quantitativo per il contenimento dei gas serra, ma non di certo a livello qualitativo, in termini di biodiversità e di servizi ecosistemici. Dal punto di vista ambientale è impensabile poter compensare la perdita di foreste primarie o di quelle a rigenerazione naturale, con le piantumazioni. 

Nonostante il trend positivo in Amazzonia si continua a registrare un incremento della deforestazione. Negli ultimi anni Infatti, le foreste amazzoniche sono state letteralmente prese d’assalto su tutti i fronti. In Brasile, come in Colombia, le mafie e gli accaparratori di terra stanno approfittando dell’emergenza sanitaria per bruciare la giungla senza freni e restrizioni. E’ una situazione drammatica, senza precedenti. Da gennaio ad aprile, secondo i dati pubblicati lo scorso 8 maggio dall’Istituto nazionale per le ricerche spaziali (Inpe), sono stati rasi al suolo 1.202 chilometri quadrati di foresta, il 55% in più rispetto allo stesso periodo del 2019. Se invece si considera solo l’area disboscata ad aprile, circa 405 chilometri quadrati, c’è stato un incremento del 64% rispetto allo stesso periodo del 2019. Negli ultimi dodici mesi la distruzione della foresta ha raggiunto il livello più alto dal 2007, anno di inizio del monitoraggio mensile. Ritmi senza precedenti e col beneplacito del presidente Bolsonaro. Dagli anni Settanta ad oggi l’Amazzonia ha perso tra il 15 e il 16% della sua superficie, permanentemente trasformata in campi e pascoli. E la scienza è sempre più concorde sul fatto che siamo a “punto di non ritorno”, perché per esempio la foresta amazzonica genera la propria pioggia grazie alla evaporazione di acqua dagli alberi. Se gli alberi vengono meno, la pioggia viene meno, e la siccità provocherà la loro morte, dando luogo a un circolo vizioso senza ritorno. Insomma, oltre ad un certo livello di perdita di foresta c’è il collasso dell’intero ecosistema con conseguenze climatiche a livello globale.

Tornado alla domanda iniziale: chi perde e chi ci guadagna? Se continueremo a non rispettare le foreste iniziando del verde che ci circonda, perderemo tutti, soprattutto noi esseri umani.

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