Punto di vista

Il Roundup è arrivato… all’ultimo round?


Secondo l’IARC il più famoso erbicida al mondo, un brevetto della Monsanto, è cancerogeno. Ma per la multinazionale l’allarme è soltanto “scienza spazzatura”.

NRCSAZ02083_-_Arizona_(449)(NRCS_Photo_Gallery)

“E’ una scopa” dicevano i vecchi del DDT. E chi non se lo ricorda? Ma poi si è scoperto che la “scopa” non spazzava via soltanto gli insetti dannosi ma anche gli esseri umani.

Ho chiesto a un un coltivatore, qualche tempo fa, a proposito del “Roundup”, il mitologico super diserbante della Monsanto: “Ma… funziona?”. Risposta immediata: “E’ una scopa”. Et voilà che da allora ne ho sentite di cotte e di crude, per lo più ipotesi e teorie più o meno scientifiche. Fino a quando, qualche settimana fa, la IARC (International Agency for Research on Cancer) ha indicato il glifosato, la molecola che rende il Roundup l’erbicida che è, potenzialmente cancerogeno. La notizia è grossa perché stiamo parlando forse del fitosanitario più diffuso al mondo.

 

Il Rounup, un passo indietro…

Negli anni ’70 in piena rivoluzione “verde” (del verde che non intendo io) quella dell’agricoltura estensiva basata su tonnellate di fitofarmaci, pesticidi e fertilizzanti, nei laboratori Monsanto venne scoperta una molecola potentissima: il glifosato, una molecola organica in grado di uccidere una pianta come il cianuro ucciderebbe un uomo.

Ne bastava poco, relativamente poco, per inibire la produzione di alcune proteine indispensabili alla crescita di un vegetale. Un vero killer super efficace, anche troppo, visto che uccideva qualsiasi vegetale comprese le coltivazioni che avrebbe dovuto proteggere.

 

E ora?

Siamo nell’era degli OGM e i ricercatori Monsanto hanno creato le Roundup ready (Rr), piante geneticamente modificate per resistere al glifosato. Se vogliamo, dal punto di vista ambientale, le Rr permettono di usare una minor quantità di fitofarmaci visto che l’erbicida superpotente può essere tranquillamente sparso sulle coltivazioni in caso di infestazione e non necessariamente preventivamente in fase di preparazione del terreno e in grandi quantità. Da allora il Roundup non ha conosciuto limiti di diffusione: ovunque vi fosse del cotone, della soia, della colza o del mais Monsanto c’era e c’è il glifosato. Il che significa che è praticamente ovunque.

La Monsanto all’indicazione della IARC risponde affermando che si tratta di “spazzatura scientifica” e che se è stato approvato dall’americana FDA e l’europea EFSA (le agenzie di controllo per la sicurezza di prodotti chimici e alimentari) il glifosato non può non essere sicuro… Anche all’IARC, un istituto autorevole, indipendente, tuttavia sanno quello che fanno.

Il glifosato è finito sul banco degli imputati insieme ad altre molecole utilizzate nei fitofarmaci accompagnato da dati e statistiche contenute in un articolo pubblicato a fine marzo su Lancet (una delle riviste mediche specialistiche più importanti al mondo) e quindi dopo aver passato il vaglio critici esperti e tutt’altro che morbidi. Nel pezzo viene indicata la probabile correlazione tra il linfoma di Hodgkin (un tumore delle vie linfatiche) e l’esposizione degli operatori agricoli al glifosato. Per ora la Monsanto si può attaccare a quel “probabile” ma non al fatto che si tratti di scienza spazzatura. Sono certa che anche l’EFSA avrà letto con interesse l’articolo e non dubito che approfondirà l’argomento. Lì sono molto interessati alla “scienza spazzatura” specialmente se lancia allarmi sulla salute dei cittadini. Detto questo, stupisce sempre l’atteggiamento aggressivo delle grosse compagnie che difendo i propri prodotti al di là di ogni ragionevole dubbio: sul tavolo ci sono centinaia di milioni di dollari e, si sa, non esistono “milioni spazzatura” nel mondo degli affari.

(foto commons.wikimedia.org – NRCS)

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