Avete mai pensato all’impatto ambientale dei piatti pronti? Certo, non si può dire non siano comodi: li si compra al supermercato e, una volta giunti a casa, bastano pochi minuti nel microonde per poter essere gustati. Eppure, tutta questa comodità si paga, con un peso ambientale non indifferente, dalla produzione allarmante di packaging in plastica, fino a costi energetici folli. Per non parlare della salute, dato un elevato rischio di contaminazione.
D’altronde, le ricerche scientifiche condotte negli ultimi anni hanno confermato tutte le preoccupazioni sui piatti pronti, come uno dei mali ambientali dei nostri tempi. E perché non tornare, allora, alle vecchie e care abitudini, preparando dei gustosi pranzetti con cibo fresco e tanta passione?
Piatti pronti e packaging: un problema da non sottovalutare
Innanzitutto, è utile partire dal problema più evidente: quello del packaging. Non è di certo un segreto: affinché possano essere distribuiti facilmente, i piatti pronti vengono confezionati in appositi contenitori e avvolti da speciali pellicole. E in che materiale sono realizzate queste protezioni? Ovviamente, in plastica.
Secondo recenti stime, il packaging alimentare potrebbe rappresentare il 10% dei rifiuti in plastica a livello mondiale e, fatto non meno importante, anche il 10% delle emissioni di gas climalteranti sul Pianeta. Non è però tutto, poiché oltre alla produzione di dannose microplastiche, degli inquinanti ormai ubiquitari, le confezioni in plastica per i cibi sono anche dannose per la salute.
Uno studio ha infatti evidenziato come siano oltre 3.600 le sostanze chimiche dannose che entrano nel nostro organismo tramite la catena alimentare, la maggior parte delle quali a causa della migrazione di composti dannosi dalla plastica ai cibi. In particolare PFAS, ma anche altre tipologie di interferenti endocrini, come ftalati, BPA e molti altri ancora.
Piatti pronti: un grande consumo di energia
Vi è un altro fattore da prendere in considerazione, quando si cede alla tentazione di acquistare un piatto pronto: un grande consumo di energia. Bisogna infatti considerare l’energia consumata:
- per la produzione di questi cibi;
- per il loro congelamento;
- per il mantenimento della catena del freddo in tutti i passaggi della distribuzione;
- per la preparazione finale a casa.
Alcune recenti ricerche, tra cui uno studio condotto sui cibi pronti più comuni in vendita nel Regno Unito, evidenziano che il consumo di energia complessivo sia del 40-50% in più rispetto alla preparazione dello stesso piatto a casa, con ingredienti freschi e seguendo le ricette originali passo per passo. È proprio il mantenimento della catena del freddo a rappresentare il fonte più energivoro e, purtroppo, anche quello più inquinante: rifacendosi al mix energetico britannico, molto simile a quello europeo, si ha un surplus di almeno il 15% nell’emissione di gas climalteranti, che potrebbe essere evitato preparando da zero il pasto nella cucina della propria abitazione.
Indicativamente, se si considera una porzione di lasagna – circa 300 grammi – la produzione industriale, la catena del freddo e la distribuzione possono arrivare a consumare 3 kWh. Per preparare una teglia da 4 porzioni a casa, cotte con un forno elettrico, si consumano in media dagli 1,17 agli 1,5 kWh.
L’analisi LCA dei piatti pronti
Il packaging inquinante e le richieste di energia rappresentano, però, solo due dei fronti negativi dei piatti pronti, almeno in termini ambientali.
Una ricerca apparsa sul Journal of Cleaner Production ha voluto paragonare l’impatto ambientale dei cibi pronti alla creazione domestica delle stesse ricette, rilevando per i primi un impatto ambientale almeno del 35% più alto. In particolare, lo studio ha evidenziato che:
- la lavorazione e la catena del freddo comportano tra il 17 e il 21% dell’impatto extra dei cibi pronti rispetto a quelli preparati a casa;
- il packaging pesa tra l’8 e il 10%, sempre sull’impatto aggiuntivo;
- i costi di trasporto e i rifiuti, invece, influiscono sull’impatto in eccesso del 10-25%.
In particolare, i ricercatori hanno considerato un piatto da circa 360 grammi di pollo arrosto, con contorno di verdure come carote, piselli e patate. Per la preparazione domestica, le emissioni di CO2 equivalente sono indicativamente di circa 1,14 chilogrammi, mentre per il piatto pronto superano gli 1,71 chilogrammi. È però necessario sottolineare che vi può essere un’enorme variabilità in base alla qualità e all’origine degli ingredienti scelti per la preparazione da zero, così come ai luoghi di produzione del cibo confezionato: più distanti sono gli impianti, soprattutto se all’estero, maggiori sono le emissioni di anidride carbonica equivalente.
Uno sguardo alla salute
Infine, per quanto non riguardi esplicitamente l’impatto ambientale dei cibi pronti, è utile prestare anche attenzione alle conseguenze sulla salute dovute al consumo di questi alimenti.
Si è già visto che i cibi confezionati possono esporre l’organismo all’azione di 2.600 sostanze, dei contaminanti che trasmigrano dal packaging all’alimento, perlopiù interferenti endocrini. Oltre a questo, le analisi scientifiche rivelano che queste preparazioni presentano un profilo nutrizionale inferiore rispetto all’equivalente ricetta preparata a casa, in particolare contengono il 20% in più di oli di scarsa qualità, grassi saturi e sale, nonché si caratterizzano per un indice glicemico peggiore. Inoltre, il consumo continuativo espone maggiormente a rischi cardiovascolari.
In definitiva, è vero che i piatti pronti ci permettono di risparmiare tempo, ma ne vale davvero la pena? Dal punto di vista ambientale, e della salute, meglio di gran lunga preparare tutto in autonomia!
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