Punto di vista

Mal di plastica: cosa sono le microplastiche e come danneggiano la nostra salute


Microplastiche sulla spiaggia

Una spiaggia ricoperta di frammenti colorati, dove ormai la sabbia ha ceduto il passo a tonnellate di pellet di plastica e di microplastiche. Si apre con questa immagine preoccupante l’ultima inchiesta di Presa Diretta, dedicata agli effetti dell’inquinamento da microplastica non solo sull’ambiente, ma anche e soprattutto sulla salute. Accade a Brindisi, nelle immediate vicinanze di alcune aziende petrolchimiche che, sin dagli anni ‘60, hanno contribuito a ricoprire le spiagge di minuscoli rifiuti. Tanto che gli adulti di oggi ricordano quando, da bambini, si ritrovavano proprio sul bagnasciuga a raccogliere le minuscole sfere blu, rosse e bianche, quasi fossero piccoli trofei. Dei granuli colorati solo apparentemente innocui, capaci negli anni di frantumarsi in porzioni sempre più piccole contaminando tutto: l’aria, il mare e i terreni agricoli, insinuandosi nell’intera catena alimentare per poi finire nel nostro organismo. E gli effetti sulla salute che iniziamo a comprendere ora potrebbero essere solo una frazione di quelli che potrebbero essere in realtà.

La plastica oggi è ovunque: non c’è luogo della Terra che non ne sia contaminato, tra rifiuti di grandi dimensioni e impercettibili frammenti. Dei possibili danni delle microplastiche sulla salute ne ho già parlato qui su Ecocentrica, eppure l’aggiornamento sul tema dell’inchiesta televisiva è inquietante. In che modo la plastica ci sta facendo male e, soprattutto, come possiamo difenderci?

Microplastiche e inquinamento ambientale, dallo Sri Lanka alla Puglia

Pallet di plastica

Prima di parlare dei possibili effetti nocivi delle microplastiche sull’organismo, è necessario fare un passo indietro.

Ogni anno nel mondo vengono disperse oltre 230.000 tonnellate di granuli di plastica, ovvero i famosi pellet che servono poi a livello industriale per la produzione dei più svariati oggetti. L’associazione irlandese Fidra, che oggi opera in oltre 23 Paesi, da qualche anno organizza tornate di raccolta di queste “palline” di plastica e, oltre a confermare come questi granuli siano stati rinvenuti negli stomaci dei principali animali marini, ha purtroppo notato un trend in crescita. In particolare in Sri Lanka dove, a causa del naufragio di una nave-container nel 2021, circa 1.680 tonnellate di granuli si sono riversate in mare. Ma non è tutto, poiché ne produciamo sempre di più: nel corso del 2021, a livello mondiale la richiesta di granuli è aumentata di 6 milioni di tonnellate, praticamente un chilo in più a testa per ogni persona.

Eppure, la contaminazione non avviene solo sulle lontane coste cingalesi, ma anche a casa nostra. Sulle spiagge del brindisino, dove sono attivi diversi impianti petrolchimici, è dagli anni ‘60 che questi pellet vengono rinvenuti sulle spiagge. Tanto che oggi, in alcuni punti è difficile addirittura trovare la sabbia: i granuli ricoprono intere porzioni di costa, per decine di centimetri di profondità. Questi, degradandosi con il tempo, si trasformano in microplastiche che contaminano l’aria e l’acqua, oppure vengono ingerite dai pesci ed entrano nella catena alimentare. E così, oltre a inalarle e berle, ce le troviamo nel piatto.

Stando allo studio epidemiologico Forastiere, commissionato nel 2017 dalla Regione Puglia, in 7 comuni del brindisino – dove l’industria petrolchimica è molto attiva – si sono registrati dei dati allarmanti: un aumento del 4% del rischio di sviluppare tumore maligni, dell’8% per i tumori del pancreas, del 7% di eventi coronarici acuti e del 7% di malattie all’apparato respiratorio. Se si considerano solo i VOC – ovvero i composti organici volatili – nella stessa zona si rileva un sensibile aumento dei ricoveri di bambini nel primo anno di vita per malformazioni congenite. E questo perché, come spesso ci si dimentica, non è solo la plastica a essere dannosa, ma anche la sua produzione: per ottenerla al 98% si ricorre a petrolio e gas, con elevatissime emissioni di inquinanti in atmosfera.

Le microplastiche? Le abbiamo nel sangue

Poiché le microplastiche sono ormai ubiquitarie, ogni giorno il nostro organismo ne viene contaminato. Le inaliamo respirando, le ingoiamo nutrendoci e le mettiamo a contatto con la nostra pelle, indossando capi sintetici. Il tutto senza nemmeno rendercene conto, date le loro dimensioni: ogni giorno bombardiamo inconsapevolmente il nostro corpo con frammenti di plastica. Ma quali sono gli effetti sulla salute?

Il sangue contaminato… e non solo

Microplastiche nel sangue

Nel corso degli ultimi anni, diversi studi hanno evidenziato la presenza di microplastiche non solo nelle feci e nelle urine umane, ma anche nei polmoni e addirittura nella placenta. Ma è di pochi mesi fa la scoperta più allarmante: questi frammenti sono presenti anche nel sangue.

Lo studio è stato condotto dal VU Medical Center di Amsterdam. Dall’analisi è emerso che ben l’80% dei campioni di sangue presentava microplastiche. Ben 1.6 microgrammi per millilitro di sangue, perlopiù composti da PET: la tipologia di plastica più diffusa, quella ad esempio usata per la produzione delle classiche bottigliette.

Ma quali potrebbero essere le conseguenze di un sangue contaminato dalla plastica? Il Laboratorio di Medicina Rigenerativa del Policlinico di Milano ha analizzato l’effetto delle microplastiche da fibre sintetiche su degli “organoidi” – semplificando, degli ammassi di cellule che funzionalmente riproducono in piccolo un vero organo, in questo caso il polmone. Inglobando i frammenti di plastica in queste cellule, si è identificata innanzitutto una reazione infiammatoria: le cellule stesse tendevano proprio a concentrarsi attorno al corpo estraneo. Non è tutto, poiché si è notato anche un effetto obesogeno: il contatto con le microplastiche induce un aumento del volume delle cellule.

Il Laboratorio di Igiene Ambientale dell’Università di Catania, dotata di macchinari unici al mondo in grado di identificare anche frammenti inferiori ai 10 micron, ha avviato un vasto studio epidemiologico per comprendere un possibile collegamento tra l’esposizione a microplastiche e l’insorgenza di tumore al colon-retto. Ancora, gli studi di laboratorio sulle cellule staminali hanno dimostrato come, a contatto con la plastica, queste ultime cambino la loro destinazione finale. Esperimenti condotti su alcune larve di pesce, invece, hanno evidenziato la capacità dei frammenti di plastica di rendere ciechi questi animali, inibendo le funzionalità della cornea.
Al momento, nessuna ricerca ha ancora indagato gli effetti dell’esposizione a lungo termine alle microplastiche sulle persone. Tuttavia, si sospetta che le microplastiche possano giocare un ruolo importante anche nelle malattie neurodegenerative, oggi sempre più frequenti: con la respirazione raggiungono in modo veloce il cervello, dove si accumulano insieme ad altri interferenti endocrini.

Microplastiche e salute: non c’è cibo che si salva

Carote e microplastiche

Come ho già evidenziato più volte, le microplastiche sono davvero ovunque. Una volta liberata la plastica nell’ambiente, contamina l’aria, l’acqua e anche i terreni agricoli. Così l’Università di Catania ha voluto indagare in quali alimenti siano presenti frammenti potenzialmente nocivi. I risultati sono disarmanti: dalla carota alla spigola selvatica, passando dalla mela alla lattuga, non sembra esserci cibo che non ne sia contaminato.

Frutta e verdura sono gli alimenti più colpiti e, purtroppo, non sembra far molta differenza il metodo di coltivazione. Le microplastiche sono sempre presenti: questo per la loro capacità di diffondersi ovunque senza che ce ne possiamo accorgere.

Da dove arrivano le microplastiche e come difendersi

Microplastiche e asciugatrice

Non è però solo il cibo a essere contaminato, le fonti a cui siamo quotidianamente esposti sono le più disparate. Soprattutto all’interno delle nostre case: ce ne sono circa 10 volte in più rispetto all’aria aperta, praticamente 1.500 per metro cubo d’aria. Considerando come l’uomo respiri circa 10 metri cubi d’aria, ogni giorno l’organismo entra in contatto con 15.000 microplastiche. Le origini domestiche più comuni sono:

  • contenitori di alimenti, soprattutto se scaldati nel microonde;
  • indumenti in fibra sintetica;
  • biberon, quando si riscalda il latte;
  • bustine di tè in materiali plastici;
  • acqua in bottiglia;
  • acqua di rubinetto;
  • pneumatici.

Ma come difendersi? Innanzitutto, è utile acquistare alimenti provenienti da luoghi diversi poiché le concentrazioni di microplastiche nel suolo non sono ovunque uniformi. Dopodiché, si dovrebbero prediligere vestiti in fibra naturale, evitare di usare l’asciugatrice e rinunciare all’acquisto di alimenti con packaging di plastica. Ma vi è un ulteriore consiglio, forse il più importante: “È il mercato che fa la domanda”, se tutti riducessero gli acquisti in plastica richiedendo alternative più salubri e rispettose dell’ambiente, la produzione di questo materiale diminuirebbe così come le sue dannosissime conseguenze.

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