A tavola

Patatine in busta? Meglio leggere le etichette


Tessa Gelisio, patatine in busta

Croccanti, saporite e irresistibili: le patatine in busta rappresentano uno degli snack più consumati al mondo, si tratti di uno sfizio da gustare per la merenda o dell’accompagnamento per un aperitivo. Eppure, per quanto si possa pensare che la preparazione sia semplice – patate, olio e sale – le alternative di produzione industriale contengono diversi ingredienti in più, non tutti amici della salute. Per questo, è indispensabile leggere con attenzione le etichette.

Tra aromi artificiali, oli di scarsa qualità e coloranti, le informazioni riportate sulla confezione svelano molto della qualità del prodotto.

Gli ingredienti delle patatine in busta

Non è di certo un segreto: le patatine che si preparano a casa richiedono pochi ingredienti: un po’ di patate tagliate nella forma che più si preferisce, dell’olio per friggere di alta qualità – d’arachidi – e un pizzico di sale. Quanto basta per gustare uno snack che, di tanto in tanto, non può di certo avere effetti negativi sulla salute. Ben diverso è il discorso per le patatine in busta, che potrebbero includere degli ingredienti a dir poco inattesi.

Gli oli delle patatine di produzione industriale

Patatine in busta, olio di semi

Il primo fattore da prendere in considerazione è di certo quello dell’olio scelto per la frittura. La maggior parte delle patatine in busta viene realizzata con oli di media o scarsa qualità, poiché più economici per la produzione su vasta scala. In particolare, vengono impiegati:

  • olio di semi, solitamente girasole, mais, colza oppure un mix fra questi. Presentano un punto di fumo inferiore rispetto all’olio di arachidi o d’oliva, ma sono decisamente più economici e, per questo, preferiti a livello di produzione industriale. Per questa ragione, possono più facilmente rilasciare composti dannosi, come l’acrilamide, inoltre possono presentare una quantità elevata di grassi saturi, rischiosi perché aumentano i livelli di colesterolo nel sangue;
  • olio di palma che, seppur non frequente per la preparazione di patatine fritte, si trova in sempre più prodotti. Il profilo nutrizionale è leggermente migliore rispetto agli oli di semi, tuttavia è uno dei principali responsabili della deforestazione in molte aree del mondo, come nel Sudest asiatico, dove le coltivazioni di palma da olio stanno letteralmente sostituendo a tappeto la biodiversità locale.

Farine e fecole, non sempre si usano le patate

Amido di patate

Un altro fattore da prendere in considerazione è il fatto che, incredibilmente, non sempre vengono utilizzate le patate per ottenere patatine fritte. Può sembrare un controsenso, eppure è così: per gli snack dalle forme più insolite – fiocchi, stick, palline friabili – vengono perlopiù impiegati amidi, fecole e farine

Pur trattandosi di derivati delle patate, si tratta di ingredienti sostanzialmente diversi, poiché meno ricchi dal punto di vista nutrizionale, per via dei processi di lavorazione. Perché, tuttavia, si ricorre a farine e affini, anziché utilizzare direttamente il tubero? In linea generale, perché:

  • farine e amidi permettono di ottenere snack dalle più svariate forme;
  • presentano tempi di cottura inferiori;
  • sono più economici da recuperare all’ingrosso, considerando che spesso vengono derivati da scarti di lavorazione di patate utilizzate per altri scopi.

Inoltre, quando si leggono le etichette, bisogna prestare attenzione anche all’eventuale aggiunta di formaggi, che servono appunto per garantire una maggiore consistenza per le produzioni da farine, amidi e fecole, ma possono peggiorare il profilo nutrizionale aumentando la presenza di grassi dannosi.

Additivi e aromi: un gusto “artificiale”

Paprika

Uno degli aspetti che differenzia maggiormente le patatine in busta da quelle preparate a casa è la presenza di additivi e aromi di origine artificiale. Nella maggior parte dei casi, questi ingredienti servono a esaltare il gusto o la sapidità dello snack, riducendone però il profilo nutrizionale e aumentando il rischio di reazioni allergiche. Ad esempio, uno studio sugli esaltatori di gusto utilizzati in molti snack salati, tra cui anche le patatine, ha dimostrato un aumento delle probabilità di soffrire di reazioni allergiche come rash cutanei, orticaria e sintomi respiratori, soprattutto nei bambini.

Ma quali sono gli aromi e gli additivi da monitorare sulle etichette? Bisogna prestare particolare attenzione a:

  • esaltatori di sapidità, in particolare il glutammato monosodico, segnalato con la sigla E621. Per quanto normalmente sicuro in dosi ridotte, questo composto può causare reazioni allergiche nei soggetti ipersensibili. La questione è ancora molto dibattuta a livello scientifico – si pensi alle varie ricerche condotte sulla cosiddetta sindrome da ristorante cinese, dove il glutammato è molto diffuso – tuttavia alcuni studi hanno confermato possibili reazioni di ipersensibilità;
  • coloranti, come gli estratti di paprika, segnalati come E160. Sono normalmente di origine naturale e servono per conferire un colore ambrato alle patatine, ma possono aumentare i rischi di conseguenze fastidiose nelle persone ipersensibili;
  • conservanti e antiossidanti, in particolare l’acido ascorbico – ovvero la vitamina C, segnalata come E300 – e il tocoferolo, ovvero la vitamina E, segnalata come E360. Non rappresentano un problema per la salute, bensì evitano che il prodotto si degradi velocemente, evitando l’ossidazione degli oli. Bisogna infatti considerare che le patatine, una volta imbustate, devono essere in grado di rimanere sulla grande distribuzione per mesi.

In definitiva, le patatine in busta possono rappresentare un prodotto ben diverso, e decisamente più impattante sulla salute, rispetto a quelle fritte a casa. La lettura delle etichette diventa perciò fondamentale e, per maggiore sicurezza, è meglio orientarsi su marchi bio che offrono fritture in oli di alta qualità e l’assenza di aromi e additivi aggiunti. Il tutto, senza considerare i problemi relativi al packaging: la maggior parte di questi snack è distribuita in sacchetti di plastica, estremamente difficili sia da smaltire che da riciclare.

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