Punto di vista

Scuole a rischio amianto


Quanto e perché questa fibra è ancora così presente

Smog, roghi di rifiuti tossici, scarichi di poli petrolchimici… sono alcune delle principali fonti di inquinamento dei nostri tempi, che avvelenano l’aria, l’acqua e la terra, ma non sono le uniche. Ce n’è una, definita dagli esperti la sostanza più pericolosa e più diffusa nell’ambiente: l’amianto. Questo materiale è stato ampiamente utilizzato, fino agli anni ’80, nell’edilizia, per i rivestimenti, i tetti, i garage, tubature, rotaie, treni, navi, perfino per i forni per il pane e per le tute dei vigili del fuoco, per la sua resistenza al calore; sono stati identificati circa 3.000 utilizzi. La sua pericolosità venne fuori molto tempo dopo, così l’Italia ha emanato una legge che ne vietava la produzione e la lavorazione solo nel 1992.

Si è scoperto che l’amianto è la causa principale del mesotelioma, un tumore maligno che colpisce il rivestimento di alcuni organi interni, in questo caso i polmoni (l’80% dei mesoteliomi è causato dall’amianto), guadagnandosi un posto nella lista 1 di IARC, quella che comprende i cancerogeni certi per l’uomo. Perché c’è voluto così tanto tempo? Per lo stesso motivo per cui questa fibra viene chiamata “killer silenzioso”: ha un’incubazione molto lunga, i tumori compaiono dopo 20-40 anni dall’esposizione. Così nel frattempo questo materiale è stato impiegato un po’ ovunque e, indovinate un po’, è ancora in circolazione.

In questa foto potete vedere la più recente mappatura relativa ai siti inquinati da amianto in Italia, (cliccate sul link per visualizzarla ingrandita), realizzata dal Ministero dell’Ambiente.

Il dossier di Legambiente “Liberi dall’amianto?”, presentato lo scorso aprile con i dati aggiornati rispetto a 3 anni fa, fa una fotografia impietosa del nostro Paese. Dopo 26 anni dalla messa al bando, ci sono ancora 32 milioni di tonnellate di amianto, 5 quintali per ogni cittadino. Troppa lentezza, sia nel mappare i siti inquinati che nelle bonifiche: al ritmo a cui stiamo procedendo, afferma l’associazione, ci vorranno altri 85 anni prima di eliminarlo completamente. E con quali conseguenze? Secondo i dati INAIL, dal 1993 al 2012 in Italia ci sono stati 21.463 casi di mesotelioma provocati dall’esposizione all’amianto, con oltre 6.000 vittime l’anno. Tra le strutture censite finora da Legambiente, in 370.000 è stata rilevata presenza di amianto, e di queste 50.744 sono edifici pubblici come uffici, ospedali o scuole.

Foto: www.lanuovaecologia.it

Le scuole: proprio secondo Legambiente, l’amianto si trova nel 10% degli edifici scolastici. E non meno confortanti sono i dati di ONA (Osservazione Nazionale Amianto), Ministero della Salute e Ministero dell’Ambiente, che parlano di 350.000 studenti e 50.000 insegnanti e altri lavoratori a rischio esposizione. Purtroppo però potrebbero essere numeri sottostimati, perché la stessa ONA lamenta il fatto che ci sia poca collaborazione da parte delle amministrazioni comunali nella mappatura degli istituti scolastici, con la conseguenza che i dati sono poco aggiornati e incompleti. Insomma, i controlli nelle scuole sono pochi se non inesistenti, nonostante le Regioni abbiano l’obbligo di trasmettere al Ministero i dati sulla presenza di amianto ogni anno il 30 giugno.

E allora chi si occupa di segnalare i luoghi a rischio? Esistono diversi progetti, tutti volontari. Uno è quello di ONA, che raccoglie segnalazioni (anche in forma anonima sulla piattaforma web) verificate poi dai soci: hanno completato la mappatura nelle scuole di Roma, e grazie al loro intervento il Governo ha destinato 150 milioni di euro per la bonifica.

La giornalista Stefania Divertito, insieme al regista Luca Signorelli, ha realizzato un documentario chiamato “Asbeschool – stop amianto a scuola”, girato in varie scuole d’Italia, Bari, Firenze, Casale Monferrato (sede dello stabilimento Eternit), Rosignano, Oristano, Roma, dove la presenza di amianto è stata rivelata casualmente in seguito ad alcuni lavori di ristrutturazione.

Foto: www.agenpress.it

Una novità è rappresentata dal progetto Asbesto 2.0, ideato nel marzo 2017 dal Ministero dell’Ambiente e dalla Struttura di missione per l’edilizia scolastica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che attraverso la tecnologia dei droni con telecamere ad alta definizione, servirà ad ottenere più velocemente una mappatura nazionale; si inizierà da tre città pilota, Avellino, Pisa e Alessandria, per poi estenderlo a tutto il territorio italiano se dovesse funzionare.

Tempistiche a parte, per bonificare i siti a rischio, secondo ISPRA, occorrerebbero almeno 40-50 milioni l’anno, per tre anni; oltre alla mancanza di discariche idonee per l’amianto, sono proprio i dati incerti e poco omogenei sui siti contaminati che rallentano i lavori, e nel frattempo ci si continua ad ammalare (secondo l’ultimo registro dei tumori, sono già 62 gli insegnanti vittime dell’amianto).

Molti di noi però possono dare il proprio contributo: come spiega l’Avv. Ezio Bonanni di ONA, «anche i  singoli cittadini possono intervenire direttamente per chiedere la bonifica e messa in sicurezza delle scuole e delle università, formulandone una formale richiesta alle autorità competenti», che in questo modo saranno obbligate a controllare. In alternativa, potete inviare la segnalazione anche a ONA, che si occuperà ugualmente di intervenire; inoltre, potete rivolgervi a questa associazione per avere assistenza medica e legale in seguito a esposizione all’amianto, ad esempio chiedere il risarcimento danni.

Non c’è altro tempo da perdere, questo materiale così pericoloso è già stato fin troppo in circolazione.

 

Foto copertina: www.altrenotizie.org

 

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