Punto di vista

Siccità: cosa dovremmo fare per adattarci alla crisi idrica


Tessa Gelisio, siccità

L’estate 2022 sarà probabilmente ricordata per il grave periodo di siccità che stiamo vivendo. Una crisi idrica a cui non si assisteva da anni, con i corsi d’acqua al minimo storico della loro portata, l’acqua del mare che addirittura risale le foci dei fiumi e un forte razionamento di quella potabile in tutta Italia. Sbaglieremmo, tuttavia, a pensare che la carenza d’acqua in corso sia un fenomeno passeggero. Certo, è probabile che il futuro autunno possa determinare il ritorno delle piogge e il ripristino dei bacini naturali d’acqua, ma la siccità è un fenomeno a cui dovremo adattarci. Sì, perché si tratta di una condizione destinata a peggiorare, anche diventando più grave, come conseguenza dei cambiamenti climatici. La cosa sconcertante è che lo sappiamo da decenni e non abbiamo fatto nulla.

Dobbiamo quindi imparare a convivere con questo problema e, soprattutto, adottare dei comportamenti che possano ridurne la portata. Ovviamente, per combattere la siccità servono degli interventi soprattutto strutturali che, purtroppo, a livello statale ancora latitano. Ma quali sono?

Siccità, i cambiamenti climatici sono più reali che mai

Siccità

Come dicevo in apertura, quello della siccità sarà un problema con cui dobbiamo imparare a convivere. E, purtroppo, l’Italia rischia di essere uno dei Paesi più esposti alla sua morsa. E non tanto per la carenza di risorse idriche, considerando come sullo Stivale non manchino di certo i corsi d’acqua, quanto per una gestione a dir poco disastrosa di questo bene prezioso.

Innanzitutto, è necessario comprendere una fondamentale questione: i cambiamenti climatici non sono fenomeni relegati alla teoria, non sono ipotesi di qualche ricercatore, sono già qui. Sono tangibili, li possiamo sperimentare nella nostra quotidianità e quest’estate torrida e arida ne è la dimostrazione più lampante. Eppure, per quanto le temperature siano sopra media ormai da anni e quello della carenza idrica un problema non capitato all’improvviso, l’Italia – e soprattutto la sua politica – ogni anno cade nello stesso errore. Quale? Quello di dimenticarsi dei cambiamenti climatici – a volte addirittura negarli – con l’arrivo degli acquazzoni invernali, il gelo e abbondanti nevicate.

Non dobbiamo illuderci: è proprio il processo di cambiamento climatico che, oltre a determinare delle estati decisamente afose, altera il classico e mite inverno mediterraneo rendendo più violente le precipitazioni. La pioggia battente, e spesso capace di determinare gravi calamità come frane e alluvioni, non è altro che l’altra faccia di questa medaglia.

Che fare, allora? Trovare delle soluzioni che possano calmierare il nuovo corso dei fenomeni naturali, dei fenomeni alterati proprio per causa nostra. Sia per difenderci dalla loro portata che impedire che possano peggiorare.

Rete idrica o colabrodo?

Rete idrica

Da decenni associazioni ambientaliste e non cercano di far luce su questo problema, ottenendo però un vago disinteresse sia della politica che delle istituzioni. La nostra rete idrica è purtroppo un colabrodo, sprechiamo enormi quantità d’acqua che, se fossero state correttamente gestite, avrebbero di certo reso meno dura la condizione attuale.

Sapete, infatti, che le tubature che attraversano lo Stivale perdono il 39% dell’acqua che le attraversa? È quanto ha confermato una rilevazione Utilititalia-Istat, sottolineando come in alcuni luoghi del Belpaese – come alcune regioni al Sud – questo spreco può arrivare anche al 60-70%. Rimanendo sulla media nazionale, significa che ogni 100 litri d’acqua immessi nella rete italiana, 39 vengono perduti.

Di conseguenza, se vogliamo ridurre i rischi legati alla siccità, non possiamo più aspettare oltre: servono grandi investimenti, sia pubblici che privati, per riparare le porzioni di rete idrica danneggiate ed evitare lo spreco di un bene così prezioso.

Per ridurre la siccità, ripensiamo l’agricoltura e l’allevamento

Siccità, irrigazione dei campi

Avreste mai detto che l’agricoltura e l’allevamento intensivi sono responsabili del consumo di oltre il 70% di tutta l’acqua dolce a livello mondiale? E questo considerando come meno del 20% dei terreni sul Pianeta siano destinati a queste due attività.

Ma da dove deriva questo grande consumo? Dal ricorso a sistemi ormai vetusti per la coltivazione di ortaggi oppure l’alimentazione del bestiame, poco efficienti e non sempre attenti alle necessità di rigenerazione dell’ambiente. Le coltivazioni intensive, spesso in monocultura, ad esempio non permettono ai terreni né di assorbire correttamente l’acqua – poiché le troppe piante in spazi relativamente ridotti ne richiedono più di quanto il terreno stesso potrebbe gestire – né di penetrare nelle falde. Negli allevamenti intensivi, invece, il consumo avviene sia per l’alimentazione degli animali che per gli estesi campi dove si coltivano i loro mangimi. Di norma, si costruiscono dei grandi sistemi di irrigazione che si approvvigionano dai vicini corsi d’acqua ma, siccome la portata di questi corsi non tiene il passo con le grandi richieste delle coltivazioni, il rischio prosciugamento è sempre dietro l’altro.

È necessario quindi cambiare prospettiva, ovvero tornare a discipline agricole e d’allevamento che siano meno impattanti sulle capacità della natura di rigenerare le proprie scorte d’acqua. Spesso adottando anche tecniche tradizionali, come la rotazione delle colture, che permette ai terreni e alle sottostanti falde di rigenerarsi. Ma anche rispettando e ricostruendo gli ecosistemi locali, con le buone pratiche dell’agricoltura rigenerativa e biologica. Questi sistemi, incentivando il ripristino degli habitat ed ecosistemi virtuosi, riducono gli sprechi d’acqua al minimo e aiutano l’ambiente a ripristinare i suoi normali livelli di umidità. Risultati analoghi si ottengono anche con tecniche molto moderne, come l’idroponico, che riduce al minimo gli sprechi d’acqua, fornendo alle piante solo le quantità di cui hanno davvero bisogno.

Siccità tra riforestazione e bacini di raccolta

Foreste e acqua

Se vogliamo ripristinare le nostre falde acquifere, o quantomeno evitare che si esauriscano, dobbiamo innanzitutto puntare sulla riforestazione. Ripristinare grandi aree verdi con la piantumazione di alberi non solo aiuta a limitare la crescita delle temperature, ad esempio assorbendo i gas serra e rinfrescando naturalmente con la loro presenza, ma permette allo stesso Pianeta di rigenerarsi.

La natura non lascia nulla di scontato e i grandi boschi hanno proprio la funzione di assorbire e conservare l’umidità, che poi si raccoglie nel terreno e, nel tempo, raggiunge le falde arricchendosi di minerali. Si tratta di un processo silenzioso e invisibile, di cui spesso nemmeno ci accorgiamo, che è tuttavia un passaggio fondamentale per avere sempre grandi quantità di acqua potabile a disposizione.

Allo stesso tempo, è necessario investire sui bacini di raccolta, costruendoli un po’ ovunque sullo Stivale. Proprio poiché l’altra faccia della medaglia dei cambiamenti climatici è l’aumento dei fenomeni piovosi violenti nelle stagioni meno calde dell’anno, perché non raccogliere quell’acqua per averla a disposizione quando davvero serve? Una struttura di piccole-medie dimensioni, perfetta per essere posizionata in ogni comune, può raccogliere migliaia e migliaia di metri cubi d’acqua ogni anno.

Rinaturiamo e depuriamo i fiumi

Siccità e canali

Nel corso dei secoli, e in particolare nel ‘900, l’uomo ha profondamente modificato la cartina idrografica del Paese. Molti fiumi sono stati alterati nei percorsi e nelle conformazioni, ad esempio con la costruzione di dighe per le necessità dell’industria, la cementificazione degli argini, la costruzione di canali di derivazione per l’irrigazione dei campi oppure la produzione di energia elettrica. Di primo acchito si può pensare che questi interventi abbiano ottimizzato il consumo d’acqua, ma in realtà ne aumentano lo spreco.

Modificare i corsi d’acqua naturali significa, innanzitutto, ridurne la capacità di rigenerazione e aumentare lo spreco d’acqua. Non a caso, i fiumi sottoposti alle trasformazioni più impattanti – come ad esempio la copertura totale in cemento – sono anche quelli più esposti a esondazioni e alluvioni, perché i letti artificiali non ne contengono la portata. Acqua questa che, oltre a creare danni inimmaginabili, viene ovviamente perduta.

Ancora, un fiume contingentato nel cemento non permette di alimentare una corretta biodiversità locale. Questo perché le piante acquatiche, che hanno anche la funzione di ossigenare e purificare l’acqua, non riescono a raggiungere il fiume. Ancora, la fauna locale non può approfittarne per abbeverarsi, costringendo così intere popolazioni di animali a trasferirsi altrove. Maggiore biodiversità significa una più efficiente umidificazione degli ambienti naturali, un più rapido assorbimento dell’acqua a livello del terreno e un veloce ripristino delle falde.

Dobbiamo poi pensare maggiormente alla loro depurazione. Per quanto le normative si siano fatte più stringenti su questo fronte, i margini di miglioramento sono elevatissimi. Depurare in modo più efficace gli scarichi industriali o anche la rete fognaria significa poter recuperare milioni di litri cubi d’acqua, che potrebbero poi essere destinati ad altri scopi, come ad esempio l’agricoltura.

Insomma, combattere la nuova era della siccità non è semplice. Ma, se vogliamo farlo, non possiamo più delegare a data da destinarsi gli interventi strutturali che si sarebbero dovuti implementare decenni e decenni fa. È questo l’unico modo che ci permetterà di calmierare gli effetti dei cambiamenti climatici.

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