Inquinamento e company
Chiunque mi segue da un po’, sa quanto amo il mare. Non solo la vacanza, la vita sotto l’ombrellone: sono legata a doppio filo con l’ambiente marino perché sono nata e cresciuta al mare e negli anni di “Pianeta Mare” ho avuto la fortuna di vedere luoghi meravigliosi e conoscere le persone che “di mare” vivono. I bilanci sulla salute dei nostri mari arrivano solitamente verso la fine della stagione balneare, ma io ho voluto prepararvi un quadro generale in anteprima.
Ho fatto due chiacchiere con Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente, associazione che ogni estate, con Goletta Verde, monitora l’inquinamento di mari e coste italiani.
Foto: Anna Paola Montuoro per Legambiente
Il viaggio è iniziato da poco e i dati delle analisi batteriologiche vengono aggiornati in tempo reale. L’inizio però non è certo confortante: sono già diversi i punti critici. L’anno scorso, su 266 campioni analizzati, il 45% riportava cariche batteriche superiori ai limiti di legge, con tre conseguenze disastrose:
- Per l’ambiente, perché queste sostanze causano uno squilibrio dell’ecosistema marino, mettendo a dura prova l’habitat di molte specie;
- Per la salute delle persone, adulti e bambini, che fanno il bagno in quelle acque (ricordate l’epidemia di gastroenterite nella costa ionica dello scorso agosto?);
- Per l’economia del nostro Paese, perché allontana i turisti.
«Il 42% degli scarichi fognari manca di impianti di depurazione adeguati. Abbiamo già ricevuto due condanne da parte dell’Unione Europea, che ci sono costate 450 milioni l’anno: una cifra esorbitante, che sarebbe stata più che sufficiente per mettere a norma gli impianti di depurazione». E invece sperperiamo soldi pubblici e ne paghiamo il conto.
Come fare a sapere se il mare in cui vogliamo concederci una nuotata è a rischio? Le varie ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) dispongono di stazioni fisse che svolgono regolari controlli e, se in quel momento trovano cariche batteriche fuori norma, lo segnalano al Comune che è obbligato a vietare temporaneamente la balneazione. Fate quindi riferimento al Comune della località prescelta: sperando che le segnalazioni arrivino in modo tempestivo…
Foto: Anna Paola Montuoro per Legambiente
Ma l’inquinamento non è solo di tipo microbiologico: c’è anche quello chimico a minacciare le nostre acque.
Lungo l’Italia ci sono tanti impianti industriali, quasi tutti degli anni ‘30-’50, e i tratti di mare su cui si affacciano soffrono per sversamenti di mercurio e molte altre sostanze chimiche. Al sud come al nord: il polo petrolchimico di Augusta, l’industria di Cogoleto nella riviera ligure, Porto Marghera nella Laguna di Venezia. Un’altra zona inquinata che conosco molto bene, essendoci cresciuta, è Rosignano: le famose Spiagge Bianche, di cui tutti parlano e che sembrano quelle di un’isola tropicale, sono in realtà il risultato di anni di scarichi della sodiera Solvay. Gli scarti di produzione includevano varie sostanze tossiche, tra cui mercurio, che hanno trasformato questo tratto di costa in uno dei più inquinati d’Italia.
Foto: www.ilpost.it
Le aree a rischio, su cui affacciano poli petrolchimici, solitamente vengono interdette in modo permanente, come è successo a Cogoleto. Ma non i tratti di mare circostanti, che potrebbero essere comunque inquinati…
«Dove ci sono poli industriali, oltre agli scarti di lavorazione, si aggiunge il rischio di idrocarburi in mare: il Mediterraneo inoltre è un bacino chiuso e le conseguenze sarebbero ancora più gravi. Un rischio che si corre ad esempio durante le attività di carico e scarico; e incidenti a parte, dobbiamo fare i conti anche con le attività illecite di sversamento: pensiamo ai fatti di cronaca, come alla piattaforma Vega, al largo di Pozzallo. In mare finiscono così circa 100.000 tonnellate di petrolio l’anno».
A minacciare il nostro mare, poi, ci sono tonnellate di rifiuti solidi che abbandoniamo nell’ambiente.
Foto: Anna Paola Montuoro per Legambiente
Sempre Goletta Verde ha fatto un monitoraggio dei rifiuti galleggianti: la scorsa estate ne ha avvistati ben 32 per kmq. E non è che la punta dell’iceberg: «Il 75% dei rifiuti è sui fondali. Abbiamo trovato quantità elevate di rifiuti nelle zone più frequentate, in particolare golfo di Napoli e Ischia, Tirreno, alto Adriatico. Il 90% dei rifiuti è costituito da plastica, come le classiche buste della spesa», che costituiscono una minaccia per animali come le tartarughe; ma le microplastiche, ingerite dai pesci, entrano anche nella catena alimentare, arrivando fin sulle nostre tavole.
Ma da dove vengono tutti questi rifiuti? «Non tutti vengono buttati direttamente in mare, alcuni arrivano dalle coste o dall’entroterra. Ritorniamo sempre al problema della mancata depurazione degli scarichi fognari, che si somma a un comportamento umano poco rispettoso. Dovremmo iniziare prima di tutto a produrre meno rifiuti, riciclando di più».
I comportamenti scorretti si vedono anche sulle spiagge: secondo l’indagine beach litter condotta sempre da Legambiente, la plastica non manca neppure qui. Bottiglie e altre stoviglie usa e getta la fanno da padrone. «E sono in continuo aumento di anno in anno, così come le cicche di sigarette, che secondo molte persone sono biodegradabili. Non lo sono e, anzi, sono cariche di sostanze inquinanti».
Foto: Anna Paola Montuoro per Legambiente
Come spesso succede, siamo noi, con le nostre azioni, la causa del nostro male. Come ha detto Paul McCartney, “Ci deve essere un modo migliore per fare le cose che vogliamo, un modo che non inquini il cielo, o la pioggia o la terra”. O il mare.
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