Punto di vista

Uova: come scegliere e i vari tipi di allevamento


Tutte le differenze per una scelta consapevole

uova GRAF

Allarme uova: più o meno così titolavano i giornali il mese scorso, quando migliaia di lotti in tutta Europa (Italia compresa) sono stati ritirati perché contaminati con il Fipronil, un insetticida utilizzato per debellare pulci, zecche e pidocchi, vietato però negli allevamenti di animali destinati al consumo umano. Nonostante ci abbiano rassicurato, sostenendo che sia tossico solo ad alte dosi (ma gli effetti a lungo termine non sono mai stati studiati), abbiamo iniziato tutti a farci qualche domanda in più sulle uova che mettiamo in tavola. Che non sono poche: mediamente 215 pro capite in un anno, secondo Coldiretti.

Ora, se avete la fortuna di abitare in campagna e avere qualche gallina (o un vicino con un pollaio), questo problema non vi riguarda più di tanto; ma se, come la maggior parte delle persone, dovete acquistare le uova al supermercato, ecco qualche informazione per fare una scelta consapevole.

Le uova vengono classificate secondo diversi parametri. Uno è la categoria, che indica la qualità dell’uovo: nella A rientrano le “uova fresche”, e sono quelle che troviamo sugli scaffali; nella B ci sono quelle di “seconda qualità”, non sempre destinate al consumo alimentare.
Le uova fresche devono avere precise caratteristiche (guscio intatto, albume e tuorlo privi di corpi estranei, assenza di odori…) e vengono suddivise in base al peso in XL-Grandissime, L-Grandi, M-Medie, S-Piccole.

Sul guscio troverete sempre un codice: è la carta d’identità dell’uovo, obbligatoria grazie al Regolamento CE 2295 del 2003 che ne ha introdotto la tracciabilità.
Ecco come leggerlo:

codici uova - codacons piemonte

Foto: Codacons Piemonte

La prima cifra, che in questo caso è 0, indica il tipo di allevamento.
0 sta per allevamento biologico, 1 galline allevate all’aperto, 2 allevamento a terra, 3 allevamento in gabbia.

La seconda sigla, come IT, indica invece lo Stato di produzione; questo però solo nel caso in cui provengano da un Paese all’interno della Comunità Europea, altrimenti leggerete sulla confezione la dicitura “sistema di allevamento indeterminato”.

Il numero che segue identifica il codice ISTAT del Comune di produzione, la sigla è invece la provincia, mentre l’ultimo gruppi di numeri rappresentano il codice dell’allevamento, assegnato dalle ASL; potete trovare anche la data di scadenza o quella di deposizione, ma non è obbligatoria.

Tutto abbastanza semplice da comprendere, tranne i diversi sistemi di allevamento delle galline ovaiole. Non sono in molti a conoscere le differenze fra i quattro, eppure sono abissali, sia in termini di benessere animale che per la salute del consumatore.
Ci si lascia sempre attirare da frasi come “uova fresche” o “galline allevate a terra”, corredate da immagini di questi volatili che beccano beati in spaziosi prati verdi; la realtà è purtroppo ben diversa, e vorrei perciò fare un po’ di chiarezza.

Una delle prime associazioni a denunciare le condizioni delle galline ovaiole, è stata CIWF onlus: qui potete trovare il loro filmato End the Cage, con immagini prese da allevamenti intensivi in 4 Paesi europei.

In Italia, il 65% delle galline sono allevate in gabbia. Dal 1° gennaio 2012, una legislazione europea (la direttiva 1999/74/Ce) ha introdotto nuove norme per la tutela degli animali, modificando ad esempio le dimensioni delle gabbie, che sono passate da 550 cm² a un minimo di 750; per darvi un’idea, la superficie in più è grande quanto una cartolina.

galline in gabbia

Foto: CIWF onlus

Le galline non hanno nemmeno lo spazio per muoversi e per assecondare alcuni comportamenti naturali, come aprire le ali o beccare; questa condizione causa loro uno stress che a volte sfocia in comportamenti aggressivi, motivo per cui viene loro tagliato il becco. Devono seguire ritmi di produzione molto intensi, circa 300 uova a testa l’anno, il doppio rispetto agli allevamenti di una volta; questo, insieme ai movimenti limitati, causa spesso fragilità ossea, con il 30% in più di rischio di fratture.

galline a terra

Foto: CIWF onlus

Non va meglio negli allevamenti a terra: non fatevi ingannare.
Le galline sono libere di muoversi, questo sì, e possono deporre le uova in un nido come in natura, ma vivono comunque chiuse all’interno di un capannone, con una densità di 9 galline per m² (1111 cm² circa per gallina), e la luce accesa giorno e notte perché non interrompano la produzione; inoltre, si cibano esclusivamente di mangime (quasi sempre OGM) ed è permesso l’uso di antibiotici (usati molto frequentemente).

galline all'aperto

Foto: CIWF onlus

Le galline da allevamento all’aperto, invece, come dice il nome, vivono in spazi aperti, anche se hanno sempre a disposizione un riparo coperto. Hanno circa 4 m² a testa, depongono le uova nei nidi o sul terreno e sono libere di beccare nei prati. Viene loro somministrato anche il mangime, quasi sempre OGM e coltivato con l’uso di pesticidi; anche in questo caso, le somministrazioni di antibiotici sono concesse.

galline bio

Foto: CIWF onlus

Diverso ovviamente il caso degli allevamenti biologici. Le galline vivono all’aperto, ma hanno anche un rifugio in cui fanno le uova e dormono la notte, anche per proteggerle dalle predazioni; non c’è una legge che regolamenta il tempo che passano dentro o fuori, perché l’accesso all’aperto è libero e gli animali si muovono autonomamente. Si nutrono di ciò che trovano nei prati e anche di mangime, che però deve essere non OGM e proveniente solo da agricoltura biologica.
L’uso di antibiotici è un argomento delicato: CIWF ha più volte denunciato come il loro uso massiccio negli allevamenti intensivi costituisca un pericolo per la salute umana, portando a fenomeni di antibiotico resistenza. Cosa prevedono le certificazioni biologiche? L’ho chiesto direttamente a Paolo Carnemolla, Presidente di FederBio: «I farmaci di sintesi e gli antibiotici dovrebbero essere evitati, ma il benessere degli animali viene prima di tutto. Se si ammalano e sono in pericolo di vita, dietro ricettazione del veterinario è possibile utilizzare farmaci allopatici per massimo due trattamenti nel ciclo di vita dell’animale. Quando ciò accade, la legge prevede un tempo di sospensione di alcuni giorni dopo l’uso del farmaco prima che si possano commercializzare i prodotti degli animali o prima che gli animali siano macellati: non vengono certificati bio fino al termine di questo periodo, al fine di evitare qualunque residuo nei prodotti. Inoltre, se in un anno, o nel ciclo di vita, si superano più di tre occasioni di cura con farmaci di sintesi, il prodotto derivante dall’animale non può essere venduto come biologico (Regolamento CE n. 889/2008).»

 

Spero che ora sia più chiaro perché da sempre preferisco acquistare uova da allevamento bio: più rispetto per gli animali, sicurezza per la nostra salute e migliore qualità.

CIWF ha intrapreso un’azione verso le principali catene di supermercato, per chiedere che non vendano più uova provenienti da galline in gabbia; se volete, potete firmare qui https://goo.gl/FbGjpw
Il nostro contributo più importante lo diamo non acquistando più questi prodotti, che sono frutto di una grande sofferenza: il potere è in mano al consumatore.

Foto copertina: blog.pianetadonna.it/pianetaveg

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2 Comments

  • Reply
    giulia
    4 Ottobre 2017 at 10:10

    Ecco io quando inizio a leggere e pensare eliminerei le uova dalla dieta, ma per quanto possibile al momento nella mia dieta vegetariana scelgo di comprarle da un contadino di fiducia

    • Reply
      Tessa Gelisio
      2 Novembre 2017 at 15:38

      mi sembra un ottima idea

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