Punto di vista

Anche l’Italia è a rischio di contaminazione radioattiva


Il punto sui rifiuti nucleari: dove si trovano e cosa bisognerebbe fare per mettere il territorio in sicurezza

Nel mese di luglio appena concluso è finalmente stato inaugurato il nuovo sarcofago presso la ex centrale nucleare di Chernobyl: una struttura isolante che conterrà il reattore n.4, quello che esplose la notte del 26 aprile 1986, e centinaia di tonnellate di materiali radioattivi ancora al suo interno. Un progetto finanziato da 45 Paesi e che si è iniziato a studiare già nel 1997, quando il sarcofago costruito subito dopo il disastro, che in teoria avrebbe dovuto resistere 30 anni, iniziò a dare segni di cedimento dopo appena 11. Questa nuova struttura dovrebbe restare in funzione per 100 anni, limitando il più possibile i danni, ma il problema è tutt’altro che risolto: non si vedono all’orizzonte piani per la ricostruzione di quest’area e non si sa ancora come trattare i materiali radioattivi liquidi, anche se certamente occorrerà un altro impianto specifico. Nonostante siano passati 33 anni da quella drammatica pagina della storia contemporanea, la cittadina dell’Ucraina è ancora una zona off limits, in cui l’attività principale è lo smaltimento delle scorie radioattive; insomma, risanare un ambiente contaminato da radioattività non è una sfida semplice, per alcuni scienziati addirittura impossibile.

Foto: www.ohga.it

Ma se pensate che il rischio delle centrali nucleari e il problema dello stoccaggio dei rifiuti siano collegati solo agli incidenti come quello di Chernobyl, vi disilludo subito. Anche il normale ciclo di produzione di energia nucleare produce dei rifiuti, ovvero le scorie radioattive: gli Stati Uniti sono i primi produttori al mondo, con 2300 tonnellate l’anno, quindi certamente si devono preoccupare eccome su come mettere in sicurezza il proprio territorio. I rifiuti ad alta radioattività, provenienti soprattutto dalle attività militari, sono stati conservati per lungo tempo in un deposito, all’interno di una miniera di sale, nel New Mexico, chiamato WIPP (Waste Isolation Pilot Plant), in funzione dal 1999; peccato che dopo soli 5 anni abbiano iniziato a verificarsi perdite di plutonio, convincendo gli esperti che non fosse un luogo idoneo per questo scopo, tanto che ora contiene solo i rifiuti a media o bassa radioattività. Come alternativa venne individuato lo Yucca Mountain, una montagna nel Nevada, sotto cui costruire un deposito a 300 metri di profondità: questo avrebbe dovuto consentire (nonostante le perplessità di alcuni scienziati come Jeremy Rifkin) la messa in sicurezza per 10.000 anni. Il progetto, costato al governo svariati miliardi di dollari, è stato più volte abbandonato e ripreso, e al momento non è ancora stato ultimato, lasciando così tonnellate di rifiuti radioattivi in depositi non sotterrati e tutt’altro che sicuri.

Foto: www.reteclima.it

E in Europa non va meglio. La Germania aveva creato un deposito in una miniera dismessa ad Asse, tra Amburgo e Hannover, in cui tra il 1967 e il 1978 sono stati portati 126000 fusti contenenti scorie radioattive: il luogo sembrava ideale e ad assoluta tenuta stagna. Purtroppo i fatti hanno smentito queste certezze, perché alcune crepe formatesi lungo le pareti di roccia hanno permesso all’acqua di infiltrarsi (circa 12000 litri al giorno); l’acqua, insieme al sale, ha corroso i fusti, che hanno cominciato a rilasciare il materiale radioattivo. Si è deciso per uno sgombero, per trasferire i fusti in un altro deposito, ma l’operazione ha un alto rischio di disastri ambientali e anche se dovesse riuscire richiederà 20 anni e 2/3 miliardi di euro. Nel frattempo, l’acqua è già stata dichiarata radioattiva e c’è la preoccupazione che possa salire in superficie contaminando le falde acquifere, inoltre la roccia sempre più erosa potrebbe collassare con all’interno i fusti.

Vi racconto questi episodi perché sono d’accordo con gli esperti che sostengono che la vita dei materiali radioattivi sia pressoché infinita, e che quello del loro smaltimento è un problema da non mettere in secondo piano.
L’argomento invece non suscita la dovuta preoccupazione, soprattutto in Italia, dove ci sentiamo al sicuro visto che abbiamo dismesso le nostre centrali nucleari dopo il referendum del 1987. Eppure non è così: abbiamo ancora le scorie degli impianti smantellati, più quelli che continuiamo a produrre ogni anno tra attività di ricerca e ospedaliere, per un totale di 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi presenti in Italia. La cosa più grave però è che non sappiamo dove metterli, perché abbiamo più di 20 depositi temporanei sparsi in varie regioni, ma un deposito nazionale definitivo non è neanche all’orizzonte, nonostante se ne parli da decenni.

Foto: www.depositonazionale.it

Legambiente Onlus sta cercando di fare pressioni al mondo politico affinché risolva questo problema, iniziando con l’individuare una possibile area, e a questo scopo ha da poco organizzato un incontro con la Commissione Ambiente. Per fare il punto sui rifiuti radioattivi in Italia, mi sono fatta raccontare tutto da Andrea Minutolo, coordinatore scientifico di Legambiente: la situazione è davvero grave o, come dicono alcuni, non c’è di preoccuparsi visto che la maggior parte dei rifiuti sul nostro territorio non sono ad alta radioattività? «È vero che il grosso sono a radioattività bassa o media, ma il rischio è dato dal fatto che non sono al sicuro. Questi depositi temporanei, a forza di rimandare, si stanno trasformando in depositi definitivi, ma non sono idonei ad ospitare scorie radioattive, perché si trovano in luoghi sottoposti a rischi geologici o in strutture in decadimento. Un esempio? I rifiuti radioattivi interrati a Saluggia (VC) si trovano in una zona a rischio allagamento, perché ogni inverno avvengono delle esondazioni, che possono creare un enorme danno ambientale distribuendo materiale radioattivo, anche solo in piccola quantità

Foto: nuovaperiferia.it

Questi depositi “provvisori” sono sempre più colmi, perché ospitano i rifiuti del passato, appartenenti alle ex centrali nucleari (ancora radioattivi, visto che il decadimento di questi materiali richiede anche diverse centinaia se non migliaia di anni), più le diverse tonnellate che si accumulano anno dopo anno: basta pensare ai rifiuti ospedalieri, strumenti come radiografie e TAC impiegano materiali radioattivi, e anche il camice degli operatori che viene contaminato è considerato un rifiuto speciale. L’azione più urgente quindi sarebbe la creazione di un deposito nazionale: a che punto siamo? «Il progetto prevede varie fasi, di cui una prima che consiste nella scelta di un luogo geologicamente adatto. Dal momento che non c’è neanche una possibile ubicazione, il progetto non è ancora partito. Anni fa si ipotizzò di creare il sito del deposito nazionale a Scanzano Jonico, in Basilicata, ma poi l’idea è stata abbandonata in seguito alle numerose proteste dei cittadini locali. Nessuno vuole scorie radioattive sotto casa, ed è condivisibile, ma quello che bisogna comprendere è che la situazione attuale è molto più pericolosa: per questo che per la scelta dell’area sicuramente è importante la volontà della politica, ma lo è altrettanto un’opera di informazione e sensibilizzazione dei cittadini, in modo che capiscano il rischio legato a questi rifiuti, perché c’è urgenza di gestirli e che tutto il processo verrà fatto in modo sicuro. Quando si realizzerà un deposito nazionale, oltre che alla scelta del luogo si presterà attenzione anche alla struttura, che verrà costruita secondo le norme di sicurezza antisismica per gli edifici. Ora i rifiuti radioattivi si trovano in depositi non antisismici in zone soggette a terremoti: ogni scossa potrebbe provocare un disastro ambientale e sanitario, che colpirebbe tutti, anche chi si oppone alla creazione di un deposito nazionale.»

 

Poca informazione e poco impegno politico stanno rendendo questi rifiuti un vero problema, in Italia e nel resto del mondo, e ci si domanda se il danno sia rimediabile solo quando accadono disastri come quello di Chernobyl. Certo che è stato un bell’affare il nucleare…

 

Foto copertina: www.lifegate.it

 

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