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Ecomostri climatici: le centrali italiane che emettono più CO2


Riuscirà il nuovo Decreto Clima a combatterle?

L’ex Ilva è la prima fonte di CO2 in Italia. L’allarmante dossier dell’organizzazione ambientalista Peacelink non lascia dubbi: l’impianto siderurgico più grande d’Europa è anche il più pericoloso “climate monster” italiano, responsabile ogni anno dell’emissione di circa 10 milioni di tonnellate di anidride carbonica, se si considerano anche le due centrali termoelettriche connesse.

La notizia è rimbalzata a fine settembre su tutti i media nazionali, proprio nei giorni in cui a New York la giovane attivista svedese Greta Thunberg pronunciava il suo appassionato discorso sui cambiamenti climatici davanti ai potenti della Terra.

Non c’è soltanto l’ex Ilva nella lista delle centrali più “nere” del nostro Paese. Arriva dalla Commissione Europea l’indagine sui principali impianti responsabili delle emissioni di anidride carbonica. Il rapporto, redatto sulla base dei dati forniti da ogni stato, segnala per il nostro Paese al primo posto la Centrale termoelettrica a carbone di Civitavecchia, che nel 2018 ha emesso 8.100.000 di tonnellate di CO2.

Secondo in graduatoria il settore delle raffinerie – senza una specifica precisa sul nome e la località dell’impianto – con 6,3 milioni di tonnellate all’anno e, a seguire, la Centrale termoelettrica a carbone di Brindisi/Cerano, che immette nell’atmosfera 5,4 milioni tonn/anno.

L’ex Ilva, oggi gestita dal colosso mondiale dell’acciaio ArcelorMittal (vedremo se e quanto a lungo resterà ai comandi dello stabilimento) da sola si piazza al quarto posto con 4.700.000 di tonnellate annue di CO2, ma fate attenzione al conteggio: l’impianto siderurgico pugliese sale direttamente al primo posto, toccando i 10 milioni di tonnellate annue, se si aggiungono anche le due centrali termoelettriche ad esso connesse, CET2 e CET3, in funzione rispettivamente dal 1975 e dal 1996 e progettate per rifornire di energia unicamente l’ex Ilva.

«Da un punto di vista tecnico le centrali termoelettriche CET2 e CET3 forniscono energia allo stabilimento siderurgico di Taranto ricevendola a loro volta dal ciclo siderurgico in forma di gas e bruciandola.» spiega Alessandro Marescotti, Presidente di Peacelink «In tal modo viene emessa un’enorme quantità di CO2 che non figura nei conteggi ufficiali.»

Fonte: valori.it

Inequivocabili i dati delle centraline dell’Arpa Puglia che, mettendo a confronto il bimestre gennaio-febbraio 2019 con lo stesso periodo del 2018, hanno rilevato addirittura un aumento delle emissioni, in particolar modo degli idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) che hanno subito una impennata del 195%. Salita paurosamente anche la concentrazione di benzene, in aumento del 160%, e quella dell’idrogeno solforato, più che raddoppiata. Idem per le polveri sottili, in crescita di circa il 20%.

Non a caso gli impianti ex Ilva sono ancora sotto sequestro e funzionano solo in virtù di deroghe e proroghe frutto di una lunga serie di decreti legge. Importante ricordare che, proprio a causa dell’ingente inquinamento ambientale e dei devastanti danni provocati alla salute dei cittadini, lo Stato italiano è stato condannato nel gennaio del 2019 dalla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) di Strasburgo per non aver adeguatamente protetto la popolazione e non aver rispettato i vincoli ambientali.

Impressionanti i dati epidemiologici emersi. Le perizie sugli effetti nocivi causati dall’esposizione continuata agli inquinanti emessi dall’impianto siderurgico hanno evidenziato un totale di 11.550 morti, con una media di 1.650 morti all’anno, soprattutto per cause cardiovascolari e respiratorie. Se ci limitiamo ai ricoveri, sono stati in totale 26.999, soprattutto per cause cardiache, respiratorie e cerebrovascolari.

Indispensabile, quindi, per una corretta politica di sostenibilità ambientale, fare bene i conti e soprattutto inserire nel computo anche tutti gli impianti “satellite” che orbitano intorno ai grandi stabilimenti nazionali e che contribuiscono in misura per nulla trascurabile all’emissione di anidride carbonica in atmosfera.

Se, come dichiarato all’ONU, l’Italia è davvero in prima linea nella lotta al riscaldamento globale e all’inquinamento ambientale, è indispensabile contrastare la minaccia climatica rappresentata dai grandi ecomostri nostrani, primo fra tutti lo stabilimento siderurgico tarantino.

E’ proprio questa la speranza delle associazioni ambientaliste, che si interrogano sulla reale efficacia e tempestività del nuovo Decreto Clima, entrato in vigore dal 15 ottobre ed emanato dal governo come misura straordinaria e urgente per fronteggiare l’emergenza climatica in atto.

Un provvedimento strategico certamente essenziale, che dovrebbe ridurre le emissioni di CO2, migliorare la qualità dell’aria e soprattutto essere in linea con gli obiettivi del Green New Deal europeo, che mira alla piena de-carbonizzazione dell’Europa entro il 2050.

Il nostro Paese è già tra i più virtuosi in Europa dal punto di vista della transizione energetica, del riciclo dei rifiuti e del consumo di materie prime. Lo dichiara l’ultimo Report di Confindustria basato sui dati Eurostat. Abbiamo tutte le carte in regola per giocare un ruolo di primo piano nella climate fight globale, non solo contrastando l’inquinamento prodotto dai nostri pachidermi carbonici, ma anche trasformando la sfida ambientale in una opportunità di sviluppo, che possa portare a una crescita sociale ed economica che sia inclusiva e sostenibile.

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