Chi ha paura del lupo cattivo?
Purtroppo ancora in molti! Condizionati da una rappresentazione popolare di efferato predatore sempre affamato, oppure da una visione più disneyana, vicina a quel desiderio di domesticazione che, nei confronti degli animali selvatici, è sempre sbagliato.
Oggi su Ecocentrica voglio raccontarvi di un lupo “custode e guardiano”, una creatura meravigliosa che svolge un ruolo fondamentale negli ecosistemi.
In Italia ci sono tra i 1500 e i 2500 Canis lupus italicus (questo il suo nome scientifico), una stima che è difficile da monitorare per le caratteristiche ecologiche e comportamentali di questa specie. Questi numeri, però, denotano una netta ripresa del lupo, che fino agli anni ‘70 era presente con appena 150 esemplari sparsi tra le zone più impervie dell’Appennino centrale e meridionale.Grazie a leggi per la protezione della specie, prima fra tutte il Decreto Ministeriale Natali (che ne vietò la caccia e l’uso di bocconi avvelenati nel 1971), il lupo ha iniziato a tornare nel suo areale d’origine. Certamente complici sono stati anche l’abbandono delle campagne e l’esodo delle popolazioni rurali verso le città, fattori che hanno permesso l’avanzata dei boschi, facendo aumentare anche quelle prede fondamentali per la sopravvivenza del lupo. Da qui in poi, in molti luoghi d’Italia è iniziata l’accettazione della presenza di questo animale selvatico e la comprensione del suo importante ruolo negli ecosistemi.
Ma sapete davvero perché il lupo è così importante?
Ho deciso di confrontarmi con Matteo Luciani, ecobiologo e fotografo, autore di Custodi erranti. Uomini e lupi a confronto (Pandion edizioni), un libro che ha documentato la coesistenza tra lupi e pastorizia nell’Appennino centrale.
Il lupo è una top predatore “specie chiave” degli ecosistemi, mi ha spiegato Matteo, e questo significa che dalla sua presenza dipende quella di moltissime altre specie di piante e animali. Il suo ruolo potremmo definirlo come quello di un “custode”, un fattore di regolazione delle popolazioni di ungulati selvatici come cervi, daini, caprioli e cinghiali. A proposito dei cinghiali c’è da dire però, che nel caso dell’Italia, il discorso è molto più complesso.Gli ungulati, in assenza di un predatore come il lupo, crescono in numero eccessivo rispetto a quanto un ecosistema può offrirgli in termini di cibo, e possono così arrecare gravi danni alla vegetazione, ma anche al settore agricolo. Mangiando le plantule del sottobosco, ovvero le piantine degli alberi da poco germogliate, se troppi, gli ungulati non permettono al bosco di rinnovarsi.
L’ecologia della paura non fa paura
Matteo prosegue nella sua spiegazione annoverando vari studi che dimostrano come gli erbivori selvatici, in assenza di un predatore come il lupo, tendono a frequentare sempre le stesse zone e ad avere un indice di attenzione molto basso. Ma dal momento che subentra il lupo succede qualcosa di molto interessante: l’indice di attenzione si alza, quindi, aumentando il pericolo, il comportamento più naturale e scontato degli erbivori è quello di spostarsi. Tale spostamento genera dei benefici per il bosco e i prati precedentemente sovrapascolati che possono tornare a crescere e a rigenerarsi. In questo caso lo spostamento degli ungulati va ad azionare la macchina dell’ecosistema le cui chiavi appartengono al lupo. Tale processo prende il nome di ecologia della paura, una dinamica naturale e affascinante che funziona sulla soglia di attenzione e reazione delle prede e che spiega come la paura della preda nei confronti del predatore incida nelle dinamiche ecosistemiche.
Il lupo generalmente agisce con la massima efficacia e il minimo sforzo, per questo di solito concentra i suoi interessi verso le prede più semplici: individui anziani, malati o giovani allontanati dalla madre. In questo modo il lupo fa una sorta di “scrematura”, lasciando gli individui più forti e adattati a quel determinato habitat, attuando nella caccia una dinamica di gestione che nasconde una vera e propria strategia di riequilibrio degli ecosistemi.Recentemente il lupo è tornato anche in Pianura Padana dove caccia la nutria, specie alloctona invasiva, pericolosa per la biodiversità e per il dissesto idrogeologico. Così facendo il lupo offre un ulteriore servigio, se pur minimo (visto il gran numero di nutrie), all’equilibrio dell’ecosistema.
«Al di là del suo ruolo nell’ecosistema – mi racconta con entusiasmo Matteo – camminare nei luoghi in cui vive il lupo, ci trasmette delle sensazioni incredibili e risveglia in noi degli istinti che purtroppo teniamo addormentati nel corso della nostra quotidianità, proprio perché ci siamo allontanati, con la mente e con il cuore, dal contesto ambientale dal quale noi tutti dipendiamo e dipenderemo sempre. E il lupo tutto questo ce lo ricorda. Ci rammenta che siamo complementari di un sistema complesso, affascinante e fragile allo stesso tempo. Percepire la sua presenza alimenta in noi sane e ancestrali paure, risvegliando la nostra anima più selvaggia e in equilibrio con il mondo. Le debolezze vengono a galla, non facendoci più sentire onnipotenti, ma parte integrante del Tutto e della vita. Imparare a conviverci ci permette di conoscere noi stessi, di rispettarci e rispettare ciò che abbiamo intorno».
Lupi e pastori, una convivenza difficile, ma necessaria
È difficile immaginare di scardinare l’immagine di lupo cattivo tra gli allevatori di bestiame che, un tempo, sono stati i primi mandatari dei “lupari”, quei cacciatori armati di fucile che percorrevano in lungo e in largo le montagne per uccidere quanti più lupi in cambio di laute ricompense.
Eppure alcune soluzioni esistono.
«È dimostrato – prosegue Matteo – che il 90% della dieta del lupo è costituita dalla fauna selvatica (cinghiali in primis). Naturalmente in determinate situazioni il lupo può predare anche gli animali domestici, ma questo dipende dalle modalità di gestione degli allevamenti e dalla quantità di prede selvatiche. Durante la mia esperienza a stretto contatto con i pastori ho capito che la difesa del bestiame è fondamentale per ridurre l’impatto da parte del lupo. A tal proposito ho potuto constatare l’estrema rilevanza rivestita dalla costruzione di recinzioni adeguate, dall’utilizzo dei cani da guardiania e dalla presenza costante del pastore durante il giorno. Questa considerazione trova riscontro anche in diversi studi condotti sulle Alpi, dove è stato accertato che combinando più sistemi di prevenzione per la protezione delle greggi ovi-caprine (appunto recinzioni, cani da guardiania e presenza giornaliera del pastore), la predazione del lupo diminuisce drasticamente. L’utilizzo dei cani da guardiania risulta essere una soluzione essenziale. La razza canina più utilizzata è il Pastore Maremmano Abruzzese, per il quale l’Italia vanta una tradizione plurisecolare. In una situazione in cui vi è l’assenza del pastore (o con controlli occasionali) e dove gli animali domestici sono lasciati liberi al pascolo senza alcuna forma di custodia, è chiaro che il lupo preferisca cacciare la preda più facile, con un minor consumo di energie. Per questo motivo è essenziale che gli animali domestici siano supervisionati giornalmente. In questo modo il lupo viene “educato” a rivolgere la sua attenzione sulle specie selvatiche, poiché i suoi sforzi nel catturare gli animali domestici (adeguatamente custoditi) supererebbero i reali benefici».
Ma quali sono le strategie effettive per una coesistenza tra lupi e allevatori in atto?
«Per poter permettere la convivenza tra lupo e attività zootecnica – conclude Matteo -, gli allevatori hanno soprattutto bisogno delle istituzioni e di personale altamente qualificato che possa prendere decisioni sulle giuste misure di tutela.
Oggi gli allevatori sono ampiamente supportati sia dalle istituzioni italiane sia dalla Comunità Europea, attraverso diverse misure atte a favorire le economie locali legate all’allevamento in montagna o in altri ambienti in cui il lupo è presente stabilmente. Un buon numero di iniziative e risorse vengono fornite dalla Commissione Europea: come il finanziamento di Progetti LIFE (qui un esempio) o le specifiche misure finanziate nell’ambito dei Piani di Sviluppo Rurale (come questo). Oltre all’Unione Europea sono diverse le regioni italiane, le province, i comuni, i parchi e le associazioni che investono per fornire i mezzi e le conoscenze necessarie agli allevatori affinché questi ultimi possano coesistere con i lupi. A livello regionale sono state emesse delle normative in materia d’indennizzo, la maggior parte delle quali prevedono il risarcimento in denaro per i danni subiti a causa della predazione del lupo. Ciononostante il sistema basato sul solo rimborso non risolve realmente il problema, poiché tale forma è solo uno strumento temporaneo che non permette un cambiamento della situazione».
Una soluzione potrebbe essere quella di modificare il destino dei risarcimenti e piuttosto mettere in campo strumenti di prevenzione più adatti a minimizzare l’impatto del lupo sul bestiame. A tal proposito alcune regioni stanno attuando iniziative differenti ed efficaci. Per esempio, in Piemonte dal 2011 è stata prevista l’erogazione del Premio Pascolo Gestito che consiste in un contributo in denaro per gli allevatori che mettono in opera una serie di scelte ritenute indici di una corretta gestione del pascolo in presenza del lupo. Un’altra buona idea viene dal Parco Nazionale della Majella con il programma “Il lupo riporta la pecora”: un progetto che prevede la creazione di un gregge di proprietà del Parco che verrà utilizzato per risarcire gli allevatori, con capi dello stesso valore commerciale.
«Tuttavia – commenta Matteo – la strada per attuare i giusti metodi e la migliore destinazione delle risorse messe in campo per raggiungere l’obiettivo della coesistenza tra lupi e pastori è ancora lunga ed è resa difficile soprattutto dall’elevata frammentazione amministrativa, istituzionale e culturale presente nella nostra penisola. Nonostante le difficoltà, la coesistenza tra lupo e uomo è possibile, ma per ottenerla c’è bisogno del volere e dello sforzo da parte di tutti noi, che abbiamo il dovere di sensibilizzare le presenti e le future generazioni, affinché si possa fare un importante passo di civiltà».
La conservazione del lupo è un argomento complesso, economico e culturale.
Ora che è tornato a popolare gran parte della penisola, avvicinandosi persino alle porte dei centri abitati, bisogna attuare una campagna di sensibilizzazione mirata.
La gestione dei rifiuti urbani, il problema dei cani domestici vacanti e incustoditi che potrebbero dare il via a una ibridazione incontrollata (con accoppiamenti tra cani e lupi che mettono a rischio l’integrità genetica del lupo) e spesso qualche stupido tentativo di domesticazione, sono gli argomenti da affrontare. Perché al contrario di quello che è comune pensare sono gli animali selvatici a correre un maggiore pericolo se entrano in contatto con l’uomo. E anche se sono passati circa duecento anni dall’ ultimo attacco documentato nei confronti della nostra specie, ne basterebbe uno solo, causato da nostri comportamenti poco “ecocentrici”, a riattribuire al nostro “guardiano di chiavi dell’ecosistema” quell’ aggettivo “cattivo” che non merita.
No Comments