Vi siete mai chiesti cosa c’è dietro un uovo? Questo ingrediente rappresenta una delle basi della dieta e della cucina mediterranea, tanto che non manca mai all’interno delle nostre dispense. Eppure, spesso non ci rendiamo conto che spesso quell’uovo è sinonimo di sofferenza animale e inquinamento, soprattutto quando proviene da allevamenti intensivi.
È proprio per questo motivo che ho deciso di parlarvi del processo alla base della produzione dell’uovo, affinché si possano compiere delle scelte d’acquisto più consapevoli. Perché, per quanto sia difficile eliminare completamente emissioni e sofferenza animale per le nostre necessità alimentari, di certo le si può ridurre enormemente.
Dietro un uovo c’è un’esistenza segnata
Per capire cosa ci sia dietro un uovo, dobbiamo partire davvero dagli inizi: ovvero, sin dalla fecondazione delle stesse uova. Ho già avuto modo di parlarvene in un recente approfondimento qui su Ecocentrica: produrre un uovo significa, nella maggior parte dei casi, contribuire alla morte di quasi 40 milioni di pulcini maschi l’anno.
Proprio così: gli allevamenti di galline ovaiole non sanno che farsene dei pulcini maschi e, per questa ragione, vengono uccisi a poche ore dalla schiusa. E i metodi non sono propriamente dolci: di norma si procede con il soffocamento senza stordimento o, peggio ancora, con la triturazione da vivi. Due tecniche crudeli che una normativa di recente approvazione metterà al bando a partire dal 2026, preferendo invece l’ovosessaggio, ovvero delle tecniche a infrarossi e laser che permettono di identificare il sesso degli embrioni quando ancora protetti dal guscio.
Per quale ragione, però, questi pulcini maschi non vengono impiegati per la produzione di carne? Purtroppo, appartengono a razze dalla ridotta e lenta crescita, sempre poco interessanti per questa industria. Un pollo Broiler, ovvero quello preferito per gli allevamenti da carne, raggiunge i quattro chili in soli 40 giorni, le più classiche razze possono richiedere anche il doppio o il triplo del tempo.
Dietro un uovo spesso c’è una vita in prigione
Non si può dire, tuttavia, che i pulcini femmina destinati agli allevamenti ovaioli abbiano maggior fortuna. Raggiunta la maturità sessuale, e quindi avviata la produzione di uova, negli allevamenti intensivi le galline trascorrono la totalità della loro esistenza in minuscole gabbie.
Secondo i dati resi pubblici da Animal Equality, in Italia quasi il 50% di allevamenti per la produzione di uova è intensivo. Nei fatti, ciò si traduce in galline chiuse in gabbie dalla superficie inferiore a quella di un comune foglio A4, impossibilitate a muoversi o, semplicemente, a stiracchiarsi o allungare le ali. In alcuni casi, dentro queste minuscole gabbie vengono stipati fino a 6 esemplari, con tutto quello che ne consegue:
- Mutilazioni: poiché un gran numero di esemplari stipati in spazi così ristretti sviluppa stress e comportamenti aggressivi, la mutilazione è una pratica comune in questi allevamenti. Per evitare che le galline si becchino reciprocamente, anche ferendosi in modo grave, ne viene regolarmente limato o completamente rimosso il becco. L’operazione avviene a pochi giorni dalla nascita e non sempre prevede anestesia;
- Malattie e infezioni: le galline degli allevamenti intensivi sono spesso colpite da malattie muscolari e articolari, proprio per l’impossibilità di muoversi liberamente, e inoltre possono subire diverse infezioni nel corso della loro esistenza. L’affollamento delle strutture porta infatti a una rapida circolazione degli agenti patogeni, sia batterici che virali;
- Denutrizione e morte: sempre a causa delle gabbie affollate, non tutte le galline riescono a vincere la competizione per il cibo, trovandosi così in una condizione di forte denutrizione. E spesso accade che diversi esemplari muoiano di stenti, anzitempo rispetto ai ritmi naturali;
- Maltrattamento genetico: le principali razze ovaiole oggi presenti negli allevamenti intensivi deriva da ibridazioni, pensate per produrre quante più uova possibili per ogni singolo esemplare. Queste galline depongono quasi 400 uova l’anno, più di una al giorno, circa il 40% in più di altre comuni razze. E vengono alimentate appositamente per produrre sempre più uova, con evidenti squilibri nutrizionali che vanno a impattare sulla loro salute.
Se si considera come in Italia vengano consumati 41.05 milioni di uova ogni anno, il 42% proveniente da allevamenti intensivi in gabbia, è evidente quanto esteso sia questo problema.
Dietro un uovo ci sono livelli elevati di gas serra
Come se non bastasse, alla base della produzione di uova tramite allevamenti intensivi vi sono anche elevate emissioni di gas serra. Per ogni chilo di uova prodotto in queste strutture si emettono in atmosfera 530 grammi di anidride carbonica, con una media globale che si aggira attorno ai 22 grammi per ogni singolo uovo.
Non è però tutto, perché i liquami prodotti dalle galline – ogni singolo esemplare può produrre fino a 150 grammi di rifiuti fisiologici – sono molto difficili da smaltire all’interno di questi allevamenti, tanto che spesso in prossimità di queste strutture si registrano livelli più elevati di contaminazione di terreni e campi agricoli. Nei casi più gravi vengono intaccate anche le falde acquifere, con tutto ciò che comporta nella protezione del nostro bene più prezioso: l’acqua dolce potabile.
Uova più sostenibili: cosa fare?
Fortunatamente, per chi non volesse rinunciare – non almeno completamente – alle uova all’interno della propria dieta, già oggi esistono alcune alternative più sostenibili, sia a livello ambientale che in termini di benessere animale. E nonostante qualche problema rimanga irrisolto, rappresentano una scelta di consumo da prendere in considerazione.
Come scegliere le uova giuste
Innanzitutto, il consumatore ha dalla propria un’efficace arma: non acquistare uova provenienti da allevamenti intensivi, dove le galline sono tenute in gabbia. E riconoscere queste uova è decisamente semplice poiché, oltre a trovare l’indicazione in etichetta, la loro origine è tracciata con un apposito codice direttamente sul guscio:
- Codice 0, Allevamento biologico: è la modalità più sostenibile ed etica, poiché le galline vengono allevate in piena libertà, senza il ricorso a trattamenti farmacologici o nutrizionali per stimolarne la produzione, seguendo i loro ritmi di vita naturali;
- Codice 1, Allevamento all’aperto: anche in questo caso le galline sono allevate in libertà, senza però che vengano specificatamente seguite pratiche biologiche;
- Codice 2, Allevamento a terra: queste galline vengono allevate a terra e sono libere di muoversi, ma all’interno di spazi confinati e in grande numero, poiché il loro allevamento avviene esclusivamente al chiuso;
- Codice 3, Allevamento in gabbia: la produzione di queste uova è legata ad allevamenti intensivi, dove le galline trascorrono la loro intera vita in gabbia.
Allevamenti a impatto zero, le uova del futuro
Già da diversi anni esistono diverse realtà, al momento purtroppo ancora esigue, che si sono impegnate nella produzione di uova a impatto zero, ovvero garantendo il massimo del benessere agli animali e compensando tutte le emissioni emesse. Il Guardian ne parlava già nel 2017 ma, purtroppo, si tratta ancora di esperimenti di nicchia.
Ma in che modo queste strutture riescono a raggiungere l’obiettivo di uova a impatto zero? Innanzitutto, le galline sono allevate a terra o all’aperto, seguendo il più possibile tecniche naturali d’allevamento. Vengono poi privilegiate razze tradizionali rispetto agli ibridi ovaioli – producono meno uova, ma anche meno scarti fisiologici e consumano meno mangimi – e i liquami vengono raccolti e trattati, per la produzione di fertilizzanti o biogas. Ancora, tutte le strutture sono alimentare da fonti rinnovabili e vi è una forte ottimizzazione dei consumi idrici, anche con tecniche di filtraggio per il recupero dell’acqua e l’utilizzo per l’irrigazione dei campi. Va da sé che, al momento, in un simile contesto il prezzo di queste uova “carbon neutral” sia decisamente più elevato rispetto a quelle più comuni e, forse anche per questo, simili iniziative non hanno ancora preso molto piede.
Con una maggiore attenzione al benessere animale e all’ambiente, e scelte di consumo più consapevoli, un futuro diverso per la produzione di uova è possibile. E chissà se, fra qualche anno, dietro a un uovo ci troveremo storie virtuose anziché inquinamento e sofferenza!
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