Il libro “Atlante mondiale della zuppa di plastica” parla di cause e conseguenze dell’inquinamento dei mari e cosa potremmo fare per evitarlo.
Un po’ di tempo fa, ho letto un saggio molto interessante: “Atlante mondiale della zuppa di plastica”, di Michiel Roscam Abbing, pubblicato in Italia da Edizioni Ambiente. È stata una lettura coinvolgente e sconvolgente al tempo stesso, che mi ha colpita molto sia perché è un ottimo lavoro, molto approfondito ed accurato, sia perché apre gli occhi su una grande emergenza dei nostri tempi, la più grande secondo gli esperti insieme al riscaldamento globale, offrendo dettagli, dati aggiornati e immagini in grado di sorprendere anche gli esperti di tematiche ambientali. Ho inserito questo titolo tra le i migliori libri sull’ambiente che vi ho proposto, ma ho deciso che merita un approfondimento.
Di cosa parla “Atlante mondiale della zuppa di plastica”?
L’autore è uno scienziato olandese, impegnato anche sul fronte politico, che nel 2011 ha fondato la Plastic Soup Foundation, un’organizzazione no-profit che si occupa di documentare l’inquinamento da plastica e sensibilizzare istituzioni e opinione pubblica. Ed è proprio dalla raccolta degli studi scientifici più recenti realizzati per l’associazione che nasce questo libro, che non si limita a elencare dei dati ma è arricchito da illustrazioni a colori e fotografie impressionanti, tra rifiuti spiaggiati, animali impigliati nelle reti da pesca abbandonate in mare e sacchetti di plastica che hanno raggiunto le barriere coralline.
Il libro si può dividere in alcuni filoni principali. In apertura si trova una riflessione sulle origini di questo inquinamento, ovvero perché la plastica sia così diffusa: versatile, economica da realizzare, leggera, resistente, è parsa subito più vantaggiosa del vetro e degli altri materiali che ha presto soppiantato. Se però negli anni ’50 la produzione mondiale si assestava sui 2 milioni di tonnellate, nel 2017 erano 8,3 miliardi, e secondo gli studi a questo ritmo nel 2050 saranno 34 miliardi; se ne produce più di quanta si possa smaltire, perché i costi della raccolta differenziata sono alti e molte aziende preferiscono produrla ex novo. Ed ecco perché finisce nell’ambiente, a cominciare dal mare: l’autore afferma che ormai non c’è più una sola spiaggia del pianeta libera dalla plastica.
Foto: “Atlante mondiale della zuppa di plastica”, di Michiel Roscam Abbing
La presentazione di Legambiente
Vi consiglio di dedicare un minuto alla visione di questo video di presentazione del libro, creato insieme a Legambiente, in cui viene spiegato che normalmente quando un habitat naturale viene devastato, le specie che vi abitano migrano verso un altro luogo: in questo caso non c’è una via di scampo o un rifugio, perché la plastica è ovunque, in mare, nell’acqua, nella terra e nell’aria che noi tutti respiriamo.
L’associazione ambientalista ha collaborato all’edizione italiana del libro, per la realizzazione del capitolo “Italia chiama Europa, Europa chiami mondo” che fa il quadro sulla situazione del nostro Paese e del Mar Mediterraneo in particolare. Qualcosa che Legambiente conosce molto bene e su cui lavora da anni, portando avanti campagne sul Marine Litter, i cui dati vengono ripresi all’interno del libro: nel 2018 i volontari dell’associazione hanno ripulito oltre 600 spiagge italiane da 200.000 rifiuti, composti principalmente da oggetti in plastica (guidano le prime cinque voci della Top Ten, rappresentando l’80% del totale).
Ma c’è anche una buona notizia, ovvero che l’Italia si è dimostrata parte attiva nella lotta alla plastica, facendo da apripista per le normative adottate poi dalla Comunità Europea; di questo parla anche il Presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani: «Sul contrasto all’inquinamento ambientale da plastica siamo un modello a livello internazionale. Questo primato lo viviamo anche come un risultato del lavoro di Legambiente. Da questo lavoro sono scaturite le leggi italiane che hanno bandito i sacchetti per la spesa e i bastoncini per le orecchie non compostabili e le microplastiche nei cosmetici da risciacquo, grazie al lavoro di Francesco Ferrante ed Ermete Realacci in Parlamento. Norme che sono state copiate in due direttive europee e che dovrebbero essere replicate in tutto il mondo.»
Emergenza microplastiche
Foto: “Atlante mondiale della zuppa di plastica”, di Michiel Roscam Abbing
Non a caso ho introdotto il tema microplastiche. Chiarito come si è arrivati a trasformare gli oceani di tutto il mondo in una “zuppa di plastica”, il libro prosegue con un quadro sulle conseguenze (disastrose), non solo per l’ambiente o per le specie che abitano nei mari, ma anche per la nostra salute. Il rischio più grande deriva proprio da quei frammenti microscopici, un inquinamento subdolo perché invisibile, derivati da oggetti in plastica degradati oppure dai microgranuli utilizzati nei cosmetici e nelle fibre d’abbigliamento: sono talmente piccoli che il 75% di essi non viene filtrato dagli impianti di trattamento delle acque, finendo così in mare (ma non solo, si stima che ormai siano presenti in tutti i laghi italiani). Le microplastiche vengono ingerite da pesci e uccelli: le sostanze tossiche di cui la plastica è composta vengono assorbite nei loro tessuti, poi in quelli degli animali che se ne cibano, e via via, lungo la catena alimentare, fino ad arrivare all’uomo.
“Zuppa di plastica” e buone notizie
Ma non disperate, perché il libro si chiude con le speranze per il futuro: con l’intenzione di suggerire soluzioni per arginare il problema, viene fatta una bella panoramica di segnali positivi già in atto. E non mi riferisco solo alla direttiva europea che dal 2021 metterà al bando la plastica monouso; ho letto di tanti progetti, da quelli più famosi alle iniziative locali, come i prodotti realizzati in plastica raccolta dagli oceani (uno su tutti, le scarpe di Adidas e Parley for the Oceans, di cui vi ho parlato nel post dedicato alle sneakers sostenibili), i supermercati che hanno eliminato il packaging, e un’azienda toscana che ha trovato il modo per dare nuova vita ai rifiuti in plastica rinvenuti sulle spiagge.
L’ho trovata una bellissima conclusione per un quadro allarmante iniziale, che non deve però far pensare che tutto sia perduto, anzi, deve diventare una spinta ad agire, a modificare le nostre abitudini e comportamenti quotidiani. Basta davvero poco per cambiare la storia, e ognuno di noi può esserne protagonista.
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