La pandemia ha complicato ulteriormente gli sforzi per la tutela delle specie a rischio estinzione.
Stiamo perdendo specie animali ad un ritmo insostenibile, come mai accaduto prima d’ora, almeno in base a quello che sappiamo. Attualmente scomparirebbero almeno mille specie all’anno e molti esperti sono concordi che quella in corso sia la sesta estinzione di massa della storia del pianeta. Il comun denominatore di questa catastrofe ecologica è l’uomo, che in un brevissimo lasso di tempo ha devastato interi ecosistemi, cacciato specie fino all’estinzione, introdotto specie invasive e alterato la composizione dell’atmosfera e gli equilibri climatici e chimici degli oceani.
Come se non bastasse, la pandemia di Covid-19 ha reso ancora più incerto il futuro di molte specie a rischio estinzione. Contrariamente a quanto si è un po’ superficialmente detto, ovvero che la natura avrebbe approfittato della nostra temporanea assenza per riappropriarsi dei suoi spazi, in molte aree del pianeta la crisi sanitaria ha determinato una maggiore pressione sulla fauna selvatica e sugli ecosistemi.
Tigre del Bengala © Mathias Appel/Flickr
Parchi vuoti
La causa principale è il crollo dell’ecoturismo causato dalla pandemia. In tutto il mondo aree protette e parchi nazionali si sono trovati, di colpo, svuotati. La conservazione della natura, soprattutto in determinate aree, come l’Africa, dipende strettamente dagli introiti generati dal turismo.
Il drastico calo del turismo ha avuto una serie di conseguenze a catena: molti progetti di conservazione sono rimasti senza fondi, si sono indebolite le misure intraprese per garantire la sopravvivenza di specie a rischio, come gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei) e giaguari (Panthera onca), e le popolazioni locali, rimaste senza reddito, potrebbero ricorrere al bracconaggio e alla deforestazione illegale per sostentarsi, rischiando di vanificare decenni di sforzi di conservazione.
Safari fotografico in India © Amit Jain/Unsplash
Aumenta il bracconaggio
È ancora presto per fare bilanci, dato che anche molte attività di monitoraggio sono state interrotte a causa del coronavirus. Un incremento del bracconaggio è tuttavia stato registrato in diverse zone dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa. Molti parchi sono stati costretti a ridurre il proprio personale licenziando numerosi ranger, ultimo baluardo in difesa della fauna minacciata, lasciando gli animali alla mercé dei cacciatori di frodo.
Gorilla di montagna nel parco di Virunga © Leila Boujnane/Unsplash
In Cambogia, ad esempio, tre ibis giganti (Thaumatibis gigantea), specie in pericolo critico, sarebbero stati uccisi per la carne lo scorso aprile, secondo quanto riferito dalla Wildlife conservation society. Mentre nel corso dell’ultimo anno nella Repubblica Democratica del Congo, roccaforte dei rari gorilla di montagna, sono stati assassinati circa venti ranger. In Colombia, l’organizzazione per la conservazione dei grandi felini Panthera, ha registrato un picco del bracconaggio, con due giaguari, un ocelot e un puma uccisi nelle ultime settimane.
Conservazione in crisi
Molti centri che si occupano di conservazione e tutela della fauna selvatica sono stati costretti a chiudere per mancanza di fondi, e milioni di persone sono rimaste senza lavoro. L’ecoturismo, cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni, si è dimostrato la strada migliore per valorizzare le ricchezze naturalistiche di molti paesi e consentire un nuovo tipo di approccio, non più basato sul consumo bulimico delle risorse.
Giaguaro nel Pantanal © Birger Strahl/UnsplashOggi questo modello è stato messo in ginocchio dalla crisi sanitaria che ha colpito il pianeta intero e che ha avuto origine, è bene ricordarlo, proprio dal rapporto perverso che l’essere umano ha con le altre specie animali. Il Covid-19 ha avuto un impatto senza precedenti su ogni aspetto della nostra vita, con conseguenze catastrofiche per la salute umana e per le economie globali. Mentre cerchiamo faticosamente di ricostruire il nostro futuro non dobbiamo però dimenticare il mondo naturale e le specie più vulnerabili.
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