Punto di vista

Come stanno i ghiacciai italiani?


Ghiacciaio del gran paradiso

Destano sempre più preoccupazione le condizioni dei ghiacciai a livello mondiale e, naturalmente, anche in Italia. Abbiamo ancora tutti davanti agli occhi il terribile crollo della Marmolada, quando la scorsa estate diversi escursionisti persero la vita a causa del distacco di grandi quantità di ghiaccio. E con temperature sempre più elevate non solo nella stagione estiva, ma anche in inverni ormai miti, il rischio che a breve questi bacini d’acqua dolce scompaiano è tutto fuorché remoto. Ma come stanno i ghiacciai italiani?

Ne ho parlato pochi giorni fa con Marco Giardino, docente dell’Università di Torino e vicepresidente del Comitato Glaciologico Italiano, in occasione di una diretta per Ecocentrica On Air. Ho deciso di riproporvi alcuni dei punti salienti emersi dall’intervista, che è possibile rivedere per intero qui sotto oppure su tutti i miei canali social.

Lo stato di salute dei ghiacciai italiani

Ghiacciaio dei forni

Purtroppo, i ghiacciai italiani non stanno affatto bene. Il Comitato Glaciologico Italiano dal 1914 ogni anno monitora lo stato dei principali ghiacciai dello Stivale, registrando un regresso continuo delle masse glaciali. Per regresso si intende una riduzione frontale del ghiacciaio, in altre parole un ritiro nella sua lunghezza, a cui si accompagnano alterazioni nel suo spessore e quindi nel volume.

Grazie proprio alle attività del Comitato Glaciologico Italiano, con oltre 100 anni di dati raccolti, è possibile effettuare confronti molto precisi sui cambiamenti rilevati nei ghiacciai. Inoltre, dagli anni ‘70 e ‘80 si effettuano i cosiddetti bilanci di massa, ovvero la misura dell’apporto nevoso che si trasforma in ghiaccio su ogni ghiacciaio, rilevati a livello annuale. E il quadro che ne emerge non è dei più rassicuranti.

Ghiacciaio dei forni, confronto storico

Un caso esemplare è quello del ghiacciaio dei Forni, in alta Valtellina, che dal 1928 a oggi ha subito una trasformazione estrema. Quello che un tempo veniva considerato un “ghiacciaio himalayano” – per la presenza di più lingue che si univano in un’estesa lingua frontale, occupando gran parte della valle – oggi ha perso la maggior parte del suo ghiaccio.

Confronto ghiacciaio del Gran Paradiso

Una situazione analoga la sta vivendo il ghiacciaio del Gran Paradiso, quello che negli ultimi anni ha destato maggiore preoccupazione. Questo ghiacciaio negli ultimi decenni si è ritirato di centinaia di metri nella sua parte frontale, liberando gran parte della valle che un tempo era occupata dai ghiacci. Un problema che, secondo le rilevazioni del Comitato Glaciologico Italiano, si è reso più evidente soprattutto nell’ultimo anno, su tutto l’arco delle Alpi Occidentali: su 101 ghiacciai visitati, e 49 misurati, il ritiro frontale medio è di oltre 40 metri. Come se non bastasse, quello italiano è un quadro ben più allarmante rispetto ad altri luoghi. Per la sua conformazione, lo Stivale è più suscettibile all’aumento delle temperature, le Alpi non fanno eccezione.

Eppure, la situazione non è florida nemmeno a livello mondiale. Oggi non si conoscono ghiacciai che non siano in ritiro: anche il ghiacciaio Perito Moreno in Argentina, che ho avuto modo di visitare, ha iniziato la sua lenta diminuzione, dopo che dagli anni ‘70 aveva invece segnato un processo di estensione. Come specifica Giardino, in realtà l’espansione rilevata ai tempi risulta essere comunque un effetto dei cambiamenti climatici: le più alte temperature avevano determinato una maggiore movimentazione di acqua che, risalendo in superficie, si trasformava in ghiaccio rendendo apparentemente il ghiacciaio più grande. Questo singolare processo ha coinvolto anche un ghiacciaio italiano, quello del Belvedere sul Monte Rosa, che negli anni ‘80 ha registrato un’avanzata. In questo caso, lo scioglimento del permafrost montano – ovvero il terreno congelato in profondità per via delle basse temperature, composto da sedimenti, rocce e suolo – aveva determinato un maggiore deposito di detriti rocciosi sullo stesso ghiacciaio, accelerandone la discesa a valle.

Quali sono le cause del ritiro dei ghiacciai?

Quali sono le cause del ritiro dei ghiacciai, perché si assiste a un’accelerazione nella perdita di grandi masse d’acqua soprattutto negli ultimi decenni? Secondo Marco Giardino, le ragioni sono molteplici:

  • aumento della temperatura, cresciuta negli ultimi 120 anni di oltre un grado a livello mondiale e sulle Alpi addirittura del doppio. Ciò impedisce la conservazione delle precipitazioni, anche la trasformazione di neve in ghiaccio. Le Alpi, in particolare, risultano particolarmente fragili dal punto di vista climatico;
  • modifica delle precipitazioni che, proprio per effetto delle temperature più alte, sono perlopiù piovose. Un tempo alle quote dei ghiacciai la maggior parte delle precipitazioni era costituita da neve che, depositata sul ghiacciaio, si trasformava in poco tempo proprio in ghiaccio. Questo non accade, invece, con la pioggia che invece ne facilita la fusione;
  • inverni miti ed estati estreme, che limitano il naturale processo di recupero dei ghiacci. Con inverni sempre più tiepidi e abbastanza privi di precipitazioni, ed estate torride caratterizzate dalla siccità, l’arrivo delle stagioni fredde non è più caratterizzato dalla formazione di nuovo ghiaccio.

Cosa significa perdere un ghiacciaio?

Ghiacciaio del Miage

Ma cosa significa perdere un ghiacciaio, quali sono le conseguenze sulla montagna e, più in generale, sui nostri ecosistemi? Per spiegare questo fenomeno, Giardino ha preso come esempio il ghiacciaio del Miage, in Valle d’Aosta. Tra il 2018 e il 2022 è stato misurato lo spessore di ghiaccio perso: ben 23 metri, per un volume totale di 110 milioni di metri cubi di ghiaccio. Nell’area in fotografia segnata in rosso, ad esempio, viene messa in evidenza l’area di spessore perduta in poco meno di 5 anni, grazie a una rilevazione digitale effettuata da elicottero: in alcuni punti questa riduzione è di addirittura 50 metri.

Collasso del ghiacciaio Miage

Nei fatti, come si traduce questa riduzione?

  • perdita di un risorsa idrica, in questo caso la scomparsa di 100 miliardi di litri d’acqua dolce e potabile;
  • svuotamento dei laghi nelle aree limitrofe ai ghiacciai, con la conseguente perdita di altri bacini fondamentali di acqua dolce;
  • aumento delle condizioni di pericolosità, poiché l’acqua che viene espulsa in modo violento dal ghiacciaio, determinando crolli rocciosi, instabilità e possibili catastrofi naturali.
Ghiacciaio di Lares, calderoni

Queste conseguenze si sono rese molto evidenti sul ghiacciaio di Lares, sull’Adamello, dove la fusione delle masse glaciali ha determinato dei veri e propri “calderoni”: dei collassi circolari dove il ghiaccio si immerge nell’acqua di fusione, cambiando completamente la morfologia del ghiacciaio. 

Dal punto di vista ambientale, vi sono poi altre conseguenze dovute alla scomparsa dei ghiacciai. Effetti che, in parte, il professor Giardino ha potuto studiare nello Yukon, in Canada, analizzando diverse distese di ghiaccio locali:

Ghiacciaio Yukon
  • accelerazione nella crescita delle temperature in alcune zone, poiché i ghiacciai riflettono i raggi solari impedendo l’assorbimento e il surriscaldamento al suolo;
  • incremento dell’instabilità degli ammassi rocciosi che, privati dal ghiaccio, non risultano più legati fra di loro, determinando crolli e frane;
  • formazione di morene laterali ai ghiacciai, composte perlopiù da detriti rocciosi;
  • formazioni di nuovi torrenti sul fronte del ghiaccio, per il deflusso dell’acqua di fusione;
  • apparizione di ampie aree di “ghiaccio morto”, ovvero non più in grado di muoversi con il ghiacciaio, avvolto da acque di fusione. Questa condizione accelera il ritiro del ghiacciaio stesso;
  • alterazione della biodiversità, sia sul ghiacciaio stesso – con la colonizzazione di specie prima assenti – che a valle;
  • emissione di gas un tempo intrappolati nel ghiaccio, come il metano, con conseguente aumento dell’effetto serra;
  • modifica della composizione chimica delle acque montane, con maggiori concentrazioni di metalli pesanti e altre sostanze chimiche pericolose. Ad esempio, con l’incidente di Chernobyl dell’86 diversi ghiacciai hanno intrappolato particelle radioattive trasportate dalle precipitazioni. Nel 2012, un’analisi sul ritiro dei ghiacci della Valnontey ha testimoniato la liberazione del cesio un tempo intrappolato, con contaminazione delle acque potabili e tracce anche nel latte delle mucche allevate in zona;
  • rischio di riemersione di vecchi patogeni rimasti per secoli bloccati nel ghiaccio, tuttavia serviranno ulteriori studi scientifici per comprenderne la reale pericolosità;
  • crescita del livello dei mari.
Ghiacciaio Yukon

Scioglimento dei ghiacciai, tra soluzioni e fake news

Di fronte a una situazione così preoccupante, che potrebbe colpire l’uomo con effetti molto gravi quali appunto la scomparsa della nostra “borraccia naturale” di acqua potabile, quali soluzioni si possono adottare?


È evidente come la prima ragione del ritiro dei ghiacciai sia dovuta ai processi di cambiamento climatico in atto: bisogna quindi investire nella diminuzione delle emissioni di gas climalteranti, puntando su una società il più possibile a emissioni zero, per rallentare l’aumento delle temperature e mantenerle sotto a 1.5 gradi rispetto al periodo pre-industriale. Ma esistono altre soluzioni?

Ad esempio, negli ultimi tempi si sta parlando molto della produzione di teloni per rallentare lo scioglimento dei ghiacciai, alcuni dei quali già posati su diversi rilievi montani. Così come spiega il vicepresidente del Comitato Glaciologico Italiano, si tratta quasi di una fake news: coprire i ghiacciai è certamente utile ma, al contempo, non abbiamo la possibilità di ottenere una copertura massiva di tutti i ghiacciai. Inoltre, i materiali di cui questi teloni sono composti comportano costi ambientali da non sottovalutare: gas climalteranti per la loro produzione, rilascio di inquinanti durante le operazioni di copertura e scopertura dei ghiacciai ed emissione di particelle sempre inquinanti sulla superficie del ghiaccio.
In definitiva, più che di soluzioni per evitare il ritiro dei ghiacciai dovremmo parlare di nuovi stili di vita per limitarne la scomparsa: uno sviluppo più attento alle esigenze dell’ambiente, a zero emissioni nette e con bassa produzione di rifiuti e inquinanti. Solo così potremo controllare le temperature, conservando quel che rimane dei nostri ghiacciai!

Per saperne di più:

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