Mai come nel corso dell’estate 2022 la crisi climatica si è fatta sentire. Le temperature hanno raggiunto picchi anomali già dal mese di maggio e, per tutta la successiva stagione, in Europa si è registrata una siccità così come non accadeva da decenni. Ma alle piogge praticamente inesistenti dell’estate si sono susseguite le bombe d’acqua delle prime settimane di settembre, con degli effetti devastanti che hanno colpito anche l’Italia, in particolare le Marche. Insomma, è l’ennesima conferma che i cambiamenti climatici sono già ben evidenti e la colpa, senza ombra di dubbio, è dell’uomo. Ma quanto l’umanità può continuare su questa strada, quanto può resistere il benessere per la nostra specie sul Pianeta, senza un’inversione di rotta?
Di fronte a queste domande, non possono che tornarmi in mente le parole di Lester Brown, l’agronomo e ambientalista statunitense che, da decenni, cerca di mettere in guardia l’intera umanità sugli effetti irrimediabili dello sfruttamento forsennato delle risorse naturali e della mancata contenzione dell’inquinamento. E c’è uno schema dello studioso, pubblicato nel 2008, che dovrebbe farci davvero riflettere su ciò che sta accadendo: quanto predetto da Brown si sta puntualmente verificando e, senza opportuni piani correttivi, per l’uomo non ci sarà praticamente scampo.
Chi è Lester Brown e perché il suo lavoro è importante?
Lester Russell Brown è un agronomo, scrittore e ambientalista originario degli Stati Uniti. Dal 1959 analista di agricoltura internazionale, inizialmente anche per il Ministero dell’Agricoltura a stelle e strisce, Brown ha passato la sua intera esistenza a studiare le condizioni del Pianeta e la relazione tra lo sviluppo dell’uomo e i cambiamenti climatici. La sua è quindi una voce autorevole e rispettata nel campo dell’ambientalismo, con le sue opere tradotte in oltre 40 lingue.
Fondatore del Worldwatch Institute e presidente dell’Earth Policy Institute, organizzazioni no-profit per la ricerca in campo agricolo e ambientale, già dagli anni 2000 Brown mette in guardia sui rischi dei cambiamenti climatici. Una delle sue opere più famose è infatti “Plan B: Rescuing a Planet Under Stress and a Civilization in Trouble” – ovvero “Piano B: salvare un Pianeta sotto stress e una civiltà nei guai”, edito per la prima volta nel 2003 e giunto già alla sua quarta revisione. Nella terza di queste, “Plan B 3.0: Mobilizing to Save Civilisation” – “Piano B 3.0: mobilitarsi per salvare la civiltà”, lo studioso ha elaborato un’analisi molto precisa di quel che sta accadendo nel mondo, con delle previsioni che si stanno tutte regolarmente avverando. Al centro dell’analisi di Brown, vi è il rapporto tra la scarsità di risorse sul Pianeta e la pretesa, tutta umana, di una crescita illimitata.
Lo schema di Lester Brown: la crisi climatica destina l’uomo all’oblio?
Così come vi ho già accennato, nella terza revisione di “Plan B” appare uno schema molto interessante e, allo stesso tempo, preoccupante. Lester Brown ha infatti voluto analizzare tutte le problematiche che oggi affliggono il Pianeta e l’umanità – dalla scarsità di cibo fino alla devastazione ambientale – mettendole fra loro in correlazione. È nato così il grafico dell’Interconnessione dei Problemi Mondiali: una teoria che non solo dimostra come le questioni umane e ambientali siano strettamente correlate, ma anche come ci stiamo sempre più avvicinando all’oblio, se nulla verrà fatto per invertire il percorso per nulla sostenibile che lo sviluppo umano ha intrapreso.
Brown parte da un’evidenza: il nostro Pianeta ha risorse limitate. Eppure l’uomo, anziché affidarsi al Pianeta stesso con il rispetto dei suoi cicli ecologici, si comporta come se queste risorse siano infinite, insistendo sulla possibilità di una crescita illimitata. Questo porta a una serie di problematiche, fra loro tutte interconnesse:
- Sviluppo illimitato: sulla base della falsa credenza che le risorse siano illimitate, e quindi anche lo sviluppo umano sia senza limiti, l’uomo ha puntato su una crescita industriale indiscriminata e deregolamentata. Si è investito sulla produzione senza sosta, sull’aumento dei consumi anche non prettamente necessari e sulla filosofia dell’usa e getta;
- Capitalismo globale e pressione demografica: la crescita industriale senza sosta ha però portato a delle gravi conseguenze. La produzione indiscriminata ha determinato uno sfruttamento eccessivo delle risorse e, al contempo, incentivato l’accumulo dei rifiuti e spinto l’inquinamento. Nel mentre, il capitalismo sempre più globale ha determinato pressioni demografiche che, sempre con l’illusione di una crescita illimitata, hanno portato a un aumento delle diseguaglianze sociali, a una povertà sempre più difficile da sanare, nonché a emergenze sanitarie difficili da gestire;
- Combustibili fossili e modificazioni climatiche: per poter sostenere il mito della crescita illimitata, l’industria ha dovuto far ricorso allo sfruttamento intensivo dei combustibili fossili, in particolare il petrolio. Da un lato, essendo il petrolio stesso una risorsa finita, si verifica nel tempo un crescente e sempre più incontrollabile aumento dei costi di produzione dell’energia e, allo stesso tempo, per il mantenimento del settore dei trasporti e della stessa industria ??? nonn si capisce. Dall’altro, il ricorso ai combustibili fossili determina un incremento folle delle emissioni di gas climalteranti, come la CO2, responsabili delle modificazioni climatiche;
- Danni all’ambiente e scomparsa delle risorse: le modificazioni del clima, ovvero i cambiamenti climatici, comportano danni ben visibili sull’ambiente. Si registra con sempre più frequenza un innalzamento della temperatura a livello globale, i ghiacciai si restringono fino a scomparire, si altera la portata dei corsi d’acqua dolce e il livello degli oceani si innalzano. Ciò determina altre conseguenze a catena – dall’aumento degli incendi alle sempre più scarse piogge – che portano dapprima a una scarsità d’acqua e, poi, a una riduzione delle risorse a disposizione dell’uomo. Il degrado del territorio, la scomparsa di interi habitat, i danni asul mare e asulla barriera corallina, la deforestazione e la desertificazione incidono sulla possibilità di produrre materie prime utili per l’uomo e, oltre a rendere attività come l’agricoltura e la pesca sempre più difficili, comportano l’estinzione di numerose specie animali e vegetali;
- Scorte alimentari, migrazioni e disfacimento della società: i danni provocati al Pianeta e l’esaurimento delle risorse a disposizione dell’uomo comportano innanzitutto una sempre maggiore scarsità di scorte alimentari. La prima conseguenza è quella dell’aumento dei prezzi degli stessi generi alimentari, con nuove disuguaglianze sociali. Un divario tra ricchi e poveri sempre maggiore porterà poi a una crescita delle cosiddette migrazioni climatiche, con larghe fette della popolazione globale che, a causa di territori ormai improduttivi e invisibili, cercheranno di concentrarsi in quei Paesi dove le conseguenze climatiche sono meno dure. Una simile movimentazione umana aumenterà però la pressione sui singoli Stati, i quali verranno indeboliti da continue tensioni sociali, terrorismo e conflitti per accaparrarsi le poche risorse rimaste in tempi di grave carestia. Ancora, gli stessi Stati non riusciranno a dedicare tempo e denaro per gestire la stessa crisi climatica che, pertanto, diventerà senza ritorno. E così, a poco a poco, si potrebbe raggiungere il potenziale disfacimento della civiltà.
Crisi climatica e previsioni Plan B: a che punto siamo?
Quando venne pubblicata nel 2008, l’analisi di Lester Brown ad alcuni apparve fin troppo catastrofista. Oggi, quattordici anni più tardi, ci appare invece fin troppo familiare: tutte le previsioni dell’agronomo sembra si stiano avverando e per salvare il Pianeta – e con esso, anche l’uomo – serve una vera e propria corsa contro il tempo. Ma a che punto siamo?
Oggi vediamo già chiaramente gli effetti delle alterazioni del clima, con l’alternanza di stagioni estive sempre più torride e aride, seguite da autunni caratterizzati da disastri ambientali sempre più frequenti. La scarsità d’acqua è una realtà tangibile, e ce ne siamo accorti proprio quest’estate con la necessità in tutta Europa di risparmiare quanta più acqua possibile. Non solo le emissioni climalteranti sono in netto aumento – solo la CO2, nel 2021 ha raggiunto il livello di 414,7 parti per milione, quasi 17 punti in più della soglia d’allerta stabilita a 400 – ma aumentano anche i costi dell’energia. Sul controllo delle fonti fossili si giocano conflitti e tensioni internazionali, basti vedere cosa sta accadendo proprio nel Vecchio Continente in relazione alla crisi tra Russia e Ucraina.
Semplificando, possiamo dire di essere a pochi passi dall’oblio, siamo alle ultime chance per invertire la rotta e non possiamo lasciarcele sfuggire. Ma cosa fare per prevenire gli effetti più drammatici delle previsioni di Brown?
Crisi climatica: cosa possiamo fare per invertire la rotta
Mai come in questo periodo – e il grafico di Brown ce lo conferma – è necessario investire sull’ambiente e sulla protezione delle risorse naturali, pena il disfacimento sociale. Ma come possiamo intervenire, quali sono gli ambiti su cui agire e le tecnologie da abbracciare?
- Fonti rinnovabili ed elettrificazione: appare più che evidente che, per limitare i cambiamenti climatici, non è più possibile affidarsi ai combustibili fossili per ogni necessità umana. Bisogna cambiare il paradigma, e anche il prima possibile, salutando il petrolio e i suoi derivati e abbracciando fonti più pulite come il fotovoltaico, l’eolico e l’idroelettrico. Un’evoluzione che può avvenire solo tramite l’evoluzione delle tecniche di stoccaggio dell’energia e, soprattutto, con un’elettrificazione diffusa degli immobili, del settore dei trasporti che industriale;
- Riduzione, riutilizzo e riciclo: non è possibile continuare a cullarci nei consumi smodati e nella filosofia dell’usa e getta, le risorse vanno preservate e riutilizzate il più possibile. Il primo e fondamentale passo da compiere è quello di consumare meno, usando solo ciò che davvero ci serve, evitando ogni tipo di spreco – dall’alimentazione all’energia – e adottando uno stile di vita a basso impatto ambientale. Dopodiché, è necessario riutilizzare il più possibile queste risorse e ridurre la produzione di rifiuti. E, quando questa strada è inevitabile, investire sul riciclo;
- Consumo locale, ricchezza globale: allo stesso modo, è necessario affidarsi il più possibile a risorse e prodotti realizzati localmente – dall’alimentazione a chilometro zero fino alle materie prime per l’agricoltura – per abbattere tutti i costi ambientali dovuti al trasporto di tali risorse da una parte all’altra del globo. Allo stesso tempo, è necessario ripensare all’economia per una redistribuzione più equa della ricchezza, anche per garantire ai Paesi penalizzati sul mercato globale la possibilità di sviluppare una fiorente – e più sostenibile – economia;
- Allevamento e agricoltura: dobbiamo anche ripensare al modo con cui produciamo i beni alimentari, a partire dagli allevamenti. Oggi il settore dell’allevamento intensivo non è solo responsabile di uno dei livelli più elevati di emissione di gas climalteranti, ma è anche fra le prime cause di deforestazione: interi “polmoni verdi” vengono rasi al suolo per far spazio sia agli allevamenti che ai campi per la coltivazione di mangimi. Allo stesso modo, l’agricoltura intensiva non fa altro che depauperare i terreni – ad esempio con le monoculture: serve un cambio di prospettiva, tornando alla coltivazione tradizionale e, ovviamente, anche a quella biologica e biogenerativa;
- Sostenibilità a 360 gradi: il principio della sostenibilità ambientale deve essere sposato a tutti i livelli. Dalla produzione industriale alla governance, ma anche nella vita di tutti i giorni. Siamo tutti chiamati ad adottare uno stile di vita più sostenibile, al recupero delle risorse, a scelte di consumo che non abbiano gravi conseguenze sul Pianeta. Da azioni quotidiani come fare la spesa, utilizzare i mezzi pubblici o non lasciarsi sopraffare dall’acquisto compulsivo delle mode del momento, le nostre decisioni hanno un grande impatto sul Pianeta.
In definitiva, abbiamo ancora qualche possibilità di evitare le previsioni più funeste di Brown. Ma, per farlo, dobbiamo iniziare ora, senza ulteriori indugi.
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