Punto di vista

Dove va a finire la plastica (anche quella che ricicliamo)


L’inquinamento dei rifiuti plastici e perché il riciclo non è la scelta più eco

L’8 giugno è la Giornata mondiale degli Oceani, un’iniziativa nata per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza che questi ecosistemi hanno per il nostro pianeta. L’occasione per riportare sotto la lente d’ingrandimento uno dei problemi ambientali più gravi dei nostri tempi: l’inquinamento da plastica. È il terzo materiale più utilizzato al mondo, dagli anni ’50 ne sono state prodotte oltre 8 miliardi di tonnellate, e più di 6 miliardi sono state abbandonate in natura; la plastica ha dei tempi di degradazione lunghissimi, da 100 a 1000 anni, e mentre persiste nell’ambiente emette sostanze inquinanti (è costituita da derivati del petrolio!). Inoltre, spesso si decompone in particelle microscopiche, dando origine alle famose microplastiche, dal diametro inferiore ai 5 mm, che vengono ingerite da pesci e animali e sono ormai entrate nella catena alimentare, fino ai cibi che arrivano sulle nostre tavole. Secondo i dati di Environmental Investigation Agency, una ONG per la tutela di fauna selvatica e ambiente, ogni anno muoiono a causa della plastica 100mila animali e 1 milione di uccelli marini. Ormai si trova ovunque, dal mare alla montagna: un recente studio ha confermato per la prima volta la presenza di microplastiche in un ghiacciaio alpino, il Ghiacciaio dello Stelvio, a oltre 3000 m di quota, così come sono stati ritrovati alcuni sacchetti a 11mila metri sott’acqua, nella Fossa delle Marianne, l’abisso più profondo del mondo.

Foto: www.nonsprecare.it

Proprio in occasione della Giornata mondiale degli Oceani, WWF Italia ha pubblicato un report, intitolato “Fermiamo l’inquinamento da Plastica: come i Paesi del Mediterraneo possono salvare il proprio mare”, in cui fa un quadro della situazione attuale nel nostro Paese. Ogni anno finiscono nel Mediterraneo 570mila tonnellate di plastica: è come se ci buttassimo quasi 34mila bottigliette al minuto. E se fa discutere l’isola di rifiuti dell’Oceano Pacifico (grande almeno quanto Spagna e Portogallo messi insieme), ne è appena stata scoperta una anche nei nostri mari, tra l’arcipelago toscano e la Corsica, proprio al centro dell’area marina protetta che ospita il Santuario dei Cetacei. Siamo vittime e carnefici allo stesso tempo, perché sempre secondo il rapporto di WWF l’Italia è il secondo produttore di rifiuti plastici di tutta la regione mediterranea: a questo ritmo, nel 2050 l’inquinamento in mare sarà quattro volte quello di adesso. E se fortunatamente è stata approvata una direttiva europea che dal 2021 vieterà la plastica usa e getta, come piatti e posate, cannucce, bastoncini per palloncini, dovremmo fare la nostra parte ogni giorno senza che ci sia una legge ad imporlo. Al mondo, solo il 9% della plastica prodotta viene riciclata, il resto finisce in discarica o peggio dispersa nell’ambiente. Per di più, il riciclo non è certo la soluzione più sostenibile in assoluto.

Intendiamoci, riciclare e fare correttamente la raccolta differenziata è importante, ma non va considerata come la prima scelta o come un’attenuante per continuare ad acquistare prodotti e imballaggi in plastica. Vi cito sempre la regola delle 3R: ridurre, riutilizzare, riciclare. Quest’ordine non è casuale: bisogna prima di tutto produrre meno rifiuti, poi pensare a come poter utilizzare un oggetto in un altro modo prima di buttarlo, e solo alla fine, se proprio non c’è alternativa, destinarlo alla raccolta differenziata. Il riciclo dev’essere l’ultima spiaggia perché comunque non è ad impatto zero, ha un impatto ambientale la produzione e ce l’ha il processo di riciclaggio; inoltre non tutto può essere riciclato e non all’infinito, perché arriva a un punto in cui un rifiuto non è più recuperabile. Capite quindi che l’opzione più sostenibile è fare in modo che quei rifiuti non esistano, riducendone il volume già a monte con il nostro consumo (o non consumo, in questo caso).

Foto: ilsalvagente.it

Senza contare poi un altro aspetto: sappiamo dove finiscono i rifiuti di plastica che conferiamo nella raccolta differenziata? Da una recente inchiesta di Greenpeace, “Le rotte globali, e italiane, dei rifiuti in plastica”, emerge una realtà allarmante. Sono stati analizzati i dati sull’import-export dei rifiuti plastici nel mondo, tra il 2016 e il 2018; l’Italia è uno dei principali esportatori, con 197mila tonnellate nel solo 2018 (per darvi un’idea, è il peso di 445 aerei “Boeing 747” a pieno carico!). La Cina era la principale meta dei rifiuti in plastica dei Paesi occidentali, noi compresi (ne spedivamo circa la metà), finché a partire da gennaio 2018 ha imposto un bando che ne vieta l’importazione. Già in questo Stato il processo di riciclaggio non era dei più trasparenti: se in teoria la legge europea prevede che i rifiuti possano essere mandati solo in Paesi che hanno norme di trattamento equivalenti alle nostre in termini di tutela dell’ambiente e della salute, in Cina sono stati scoperti diversi traffici illeciti di rifiuti, con false certificazioni e impianti a norma solo sulla carta. Dopo il bando cinese, le principali destinazioni sono diventate Malesia e Vietnam, e in generale il sud-est asiatico, Paesi che non dispongono né di strutture né di regolamentazioni paragonabili alle nostre. Eppure, dal momento che la produzione di plastica è in continuo aumento e nel 2050 sarà quadruplicata, l’export dei rifiuti viene presentato come l’unica soluzione per non “annegare in un mare di plastica”, perché non siamo in grado trattare la quantità conferita nelle raccolte.

Foto: www.repubblica.it

Le alternative invece esistono, e se non provengono dalla politica, sta a noi cittadini: ogni volta che state per acquistare qualcosa in plastica, chiedetevi se non sia possibile farne a meno. Non fatevi ingannare dall’idea che tanto lo riciclerete da bravi eco-responsabili, ma pensate che state creando un rifiuto che viaggerà per tutto il mondo, forse finirà sulle montagne più alte o forse in mare e soffocherà un animale che lo scambierà per cibo, come la tartaruga Caretta caretta trovata morta nel mar Tirreno a febbraio. Pensate che una volta che create un rifiuto in plastica, ci metterà forse mille anni prima di scomparire, e nel frattempo causerà danni che non possiamo neanche immaginare.

 

Foto copertina: www.wwf.it, © Milos Bicanski

 

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