La verità sul biologico, le frodi e i falsi miti da sfatare
Quando parlo di biologico c’è sempre qualcuno che mi risponde: «Io al bio non ci credo», come se parlassimo dell’oroscopo. Mi fa sempre un po’ sorridere, perché se ne parla come di un qualcosa di opinabile e non come di un metodo di coltivazione, che ha anche dei canoni ben definiti, che è quindi oggettivo.
Sicuramente non aiutano gli scandali legate alle truffe; ci sono anche nel bio, certo, come in tutti i campi. Una recente puntata di “Report“ ha portato alla luce la frode di un grano spacciato e venduto per biologico, ma che biologico non era. O meglio, non tutto il grano era quello coltivato dell’agricoltore, che è certificato biologico, perché in più c’erano diverse tonnellate di cereale da lui acquistato altrove e rivenduto come proprio; in realtà, il mulino che l’ha lavorato afferma di aver eseguito le analisi e che il prodotto era conforme a uno bio e non presentava tracce di pesticidi. Insomma, legalmente la truffa c’è, ma il grano che è finito sulle tavole di mezzo mondo era comunque un prodotto equivalente al biologico perché non aveva alcun residuo (tutto il lotto è stato comunque ritirato).
Foto: www.eathical.it
Un episodio che ha “macchiato” la reputazione dell’agricoltura biologica, che non è piaciuto agli operatori del settore, ma che fa parte di casi isolati: nel 2015 l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari ha controllato 1.800 imprese biologiche e ha effettuato solo 31 denunce; nelle aziende convenzionali i numeri sono decisamente più alti: con 660.804 ispezioni, il 10% circa di esse si è rivelato non conforme.
Foto: www.feder.bio
Insomma, si tratta comunque della filiera più sicura e più controllata. Come ogni cosa, è sicuramente migliorabile: sarebbe da rivedere il sistema di certificazione, come suggerisce FederBio, e creare un portale che serva da banca dati di tutte le aziende (ad esempio con le superfici dei terreni o i volumi della resa) e consultarlo ogni volta prima di effettuare un’operazione, in modo da accorgersi immediatamente se qualcosa non torna.
Per capire meglio questa ed altre questioni, per fugare ogni dubbio sull’agricoltura biologica, ho intervistato due esperti del settore: Paolo Carnemolla, Presidente di FederBio, e Roberto Pinton, Segretario di AssoBio, l’associazione delle imprese di trasformazione e distribuzione dei prodotti biologici.
La prima grande accusa rivolta al bio è che costa di più. Per quale motivo?
R.P.: «Partiamo da una premessa: in soli vent’anni han chiuso un milione e quattrocentomila imprese. Questo perché l’industria e la distribuzione impongono agli agricoltori prezzi che non coprono i costi di produzione.
Quindi non sono i prodotti biologici a costar troppo: sono i prezzi dei prodotti convenzionali a essere vergognosamente bassi e a non bastare agli agricoltori per vivere.
È uno dei motivi per cui ragionamenti come “i prodotti biologici sono cari” van presi con pinze molto lunghe: se i prezzi dei prodotti convenzionali strangolano gli agricoltori e a fan loro chiudere baracca e burattini, non li si può prendere come termine di paragone.
Secondo, l’agricoltura produce alimenti che sembrano economici inquinando il territorio: quanto costa avere due terzi delle nostre acque contaminate da pesticidi? Secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale del ministero dell’Ambiente, nel 63,9% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali sono stati trovati pesticidi e risulta contaminato il 31,7% dei punti di quelle profonde; il 21,3% delle acque superficiali ha concentrazioni superiori ai limiti europei, come il 6,9% delle acque sotterranee. I costi di questo inquinamento vanno sommati a quelli che si pagano al supermercato: non li vediamo, ma son lì. Un prodotto convenzionale che sembra costar poco, ma per produrre il quale si sono sversate le tonnellate di glifosate, metolaclor, triciclazolo, oxadiazon, terbutilazina che troviamo nelle nostre acque, costa davvero così poco?»
P.C.: «Inoltre, non necessariamente il prodotto biologico costa di più, in particolare per i prodotti trasformati a base vegetale, non di rado il posizionamento di prezzo del bio è inferiore a quello della marca top. In generale per l’ortofrutta il maggior costo è dovuto a rese produttive minori e maggiore scarto rispetto agli standard estetici che pretende il mercato e a tecniche di coltivazione e allevamento anche molto differenti da quelle dei prodotti convenzionali, oltre alla notevole incidenza di costi fissi aziendali e di logistica dovuta a volumi ancora bassi di prodotto. Da non trascurare il costo del confezionamento obbligatorio in molti casi per il bio quando non è possibile vendere sfuso.»
(Volete mangiare bio e risparmiare? Qui vi ho spiegato come fare.)
Ho letto spesso che negli alimenti bio le sostanze nutritive sono molto più concentrate rispetto ai cibi convenzionali. È vero?
R.P.: «Sì ed è confermato anche da recenti studi, come quello del 2012, realizzato dalla Society Chemical Industry, una società indipendente, e pubblicato su una famosa rivista: le analisi dimostravano che i prodotti latto-caseari biologici contenevano molte più proteine e acidi grassi omega 3. L’ultimo invece risale al 2014 e si tratta di uno studio inglese pubblicato sul Journal of Nutrition: frutta e verdura bio si sono rivelate più ricche di antiossidanti, oltre ad avere meno residui di metalli pesanti.»
Foto: www.tuttogreen.it
Quali sono le principali differenze nella normativa tra il biologico italiano e quello extra UE?
P.C.: «Fra l’Italia e gli altri stati della UE non ci sono grosse differenze, ad esclusione del fatto che in Italia siamo ancora più restrittivi perché non è possibile certificare e commercializzare bio un prodotto con più di 0,01 ppm di residuo di principi attivi non ammessi (ovvero praticamente nulla, questo è lo scarto inevitabile che bisogna considerare per gli errori di rilevazione), che viene definito “residuo zero”.
Le differenze fra UE e Paesi Terzi non esistono se non per dettagli specifici e ben individuati se i Paesi sono in “equivalenza” (es USA, Argentina, India, Israele, Svizzera, etc.), mentre per i Paesi non in equivalenza l’UE autorizza singoli organismi di certificazione in quel Paese e sono loro che devono dimostrare che certificano secondo le norme UE; ma è molto difficile controllare se ciò avviene realmente (come nel caso della Cina).»
Come funzionano i controlli nel bio? E quanti controlli ci sono?
P.C.: «Il bio è l’unico sistema di qualità regolamentato dall’UE dove è obbligatorio almeno un controllo completo dell’azienda ogni 365 giorni, mentre nei vini o nei prodotti tipici possono passare anche fino a 10 anni per avere un controllo. Inoltre nel bio ogni anno almeno il 20% delle aziende deve essere sottoposta a prelievo di campioni e analisi per la ricerca dei residui di prodotti non ammessi. Gli organismi di certificazione pianificano il numero di visite e analisi a seconda della classe di rischio in cui è inserita un’azienda (ad esempio un’azienda che fa sia bio che convenzionale è nella classe di rischi massima, una che fa solo prati e pascoli bio in quella minima) e programmano le visite secondo i momenti critici delle colture e degli allevamenti. I piani di controllo annuali devono essere notificati alle Regioni, che possono chiedere modifiche e che devono vigilare sulla loro corretta attuazione.»
Quanti controlli ci sono nelle coltivazioni tradizionali?
R.P.: «Nel convenzionale non c’è un sistema di controllo paragonabile a quello del bio nemmeno per gli obblighi di legge, ad esempio per le prescrizioni d’impiego dei pesticidi, per cui è impossibile saperlo.»
Quanti tipi di frodi esistono nel biologico?
P.C.: «Possono esserci anche quelle che riguardano la produzione agricola, come l’utilizzo di sostanze non ammesse che poi nei prodotti commercializzati spariscono, o l’aumento delle rese produttive allo scopo di vendere più prodotto; nella maggior parte dei casi però si tratta di frodi fiscali, ovvero false fatturazioni che hanno coperto la vendita di materie prime convenzionali come bio, ma si trattava comunque di prodotti a “residuo zero”.»
Che percentuale di frodi sono state riscontrate nel bio?
P.C.: « Secondo i dati dell’Ispettorato repressione frodi del MiPAAF l’incidenza delle “non conformità” nel bio è intorno al 2%, la metà per esempio di quelle scoperte nei prodotti tipici e circa un terzo di quelle scoperte nei vini, dunque il biologico rimane il settore più sicuro.
L’Italia è l’unico Paese in UE che ha fissato un limite per la presenza di residui di principi non ammessi sui prodotti bio anche se la presenza è dovuta a contaminazione accidentale e tecnicamente inevitabile. Il limite è di fatto coincidente con il limite di rilevabilità in laboratorio di molti principi attivi e questo fatto ha stimolato le aziende a dotarsi di sistemi di analisi che garantiscono che i prodotti biologici siano sempre a “residuo zero”, dunque anche nei casi di frode accaduti di recente non c’è mai stato rischio per i consumatori di mangiare alimenti con presenza di residui di principi attivi non ammessi nel bio.»
Forse è questa la morale della storia: sì, anche con il biologico si corre qualche rischio, gli “ecofurbi” sono sempre in agguato e pronti a cavalcare l’onda, mescolandosi in mezzo a tanti produttori onesti, che però per fortuna sono la stragrande maggioranza. Non lasciamoci condizionare da questi casi isolati: io nel bio ci credo!
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