Punto di vista

Fertilità a rischio: l’inquinamento colpisce anche gli animali


Fertilità degli orsi polari

Inquinamento e interferenti endocrini non mettono a rischio solo la fertilità umana: anche negli animali si registra un calo delle nascite a causa di gravi contaminazioni ambientali. È quello che emerge da “Countdown: come il nostro stile di vita minaccia la fertilità, la riproduzione e il futuro dell’umanità”, l’opera di Shanna Swan di cui vi ho parlato in un precedente intervento. Le stesse sostanze chimiche che stanno danneggiando la capacità riproduttiva dell’uomo colpiscono numerose specie animali, con esiti drammatici per la biodiversità. Cosa fare?

Dagli alligatori sterili della Flora agli albatross dai profili ormonali alterati, passando per gli insetti impollinatori e molti altri animali: l’uomo sta trascinando nel baratro la gran parte delle specie viventi. Ma cosa potremmo fare, per evitare una vera e propria ecatombe animale?

Fertilità: gli albatross contaminati dalla plastica

Albatross e fertilità

Sull’atollo di Midway, nell’Oceano Pacifico, hanno trovato dimora migliaia di albatross. Eppure, negli anni la loro capacità di riproduzione è scesa vorticosamente, tanto che le popolazioni di questi maestosi volatili faticano a raggiungere un sufficiente ricambio generazionale. Per quale ragione?

Questo atollo non è molto distante dal Pacific Plastic Vortex, l’isola artificiale fatta di rifiuti di plastica che, da qualche decennio, si è formata autonomamente per via delle correnti oceaniche mondiali. Nell’apparato digerente della maggior parte degli albatross di Midway sono stati rinvenuti frammenti di plastica, probabilmente ingoiati poiché scambiati per prede, e questo sta avendo due principali effetti. Da un lato la morte di esemplari adulti, a causa della plastica accumulata nello stomaco che impedisce una normale digestione. Dall’altro, l’aumento sensibile di pulcini che non riescono a sopravvivere a pochi giorni dalla schiusa delle uova: più di un terzo sul totale delle uova deposte. Si sospetta che i responsabili siano gli interferenti endocrini, come BPA e ftalati, che andrebbero ad alterare lo sviluppo del pulcino prima della nascita.

Delfini e foche a fertilità zero

Non se la passano meglio i delfini tursiopi che vivono nell’Adriatico, dove da tempo si registrano problemi di riproduzione. Secondo gli studi analizzati da Shawn, i responsabili di questa alterazione della fertilità sarebbero i PCB – o policlorobifenili: dei fluidi diatermici per apparecchiature elettroniche. 
L’88% delle biopsie raccolte proprio sui delfini dell’Adriatico dimostra livelli di PCB ben sopra alla soglia di sicurezza, con effetti diretti sulla produzione di testosterone ed estrogeni e, conseguentemente, sulla fertilità. E se si considera come i PCB dagli anni ‘70 siano andati pian piano scomparendo, ciò rende l’idea di quanto le contaminazioni ambientali siano durature nel tempo.

Dall’Adriatico si passa al Mar Baltico, dove le foche faticano sempre più ad avere cuccioli. In questo caso, oltre ai PCB, si sono registrate concentrazioni elevate di pesticidi e ritardanti di fiamma bromurati, probabilmente responsabili di un’elevata incidenza di fibromi uterini nelle foche adulte.

Genitali poco sviluppati per alligatori, visoni e orsi polari

Alligatore sterile

Il lago Apopka, in Florida, purtroppo detiene un triste primato: la maggiore concentrazione oggi conosciuta di alligatori sterili. Per comprendere cosa stia accadendo, però, bisogna fare un passo indietro agli anni ‘80: il lago fu infatti oggetto di una pesantissima contaminazione da ftalati, BPA, pesticidi, DDT e acido solforico.

Il risultato? Gli alligatori femmina hanno sviluppato forme gravi di infertilità, mentre sempre più maschi presentano genitali di dimensioni ridotte e sperma poco fertile, a causa di una bassa produzione di testosterone e alti livelli di estrogeni.

Effetti analoghi si sono registrati in Canada, analizzando i visoni destinati – purtroppo – alla produzione di pellicce. A causa di una continua esposizione a pesticidi e interferenti endocrini, questi visoni presentano peni e testicoli fortemente sottodimensionati rispetto alla norma, tanto da inibire la riproduzione.

Dal Canada alla Groenlandia, dove sempre più orsi polari mostrano membri di dimensione ridotta e testicoli pressoché inesistenti, a causa di PCB, pesticidi e ftalati disciolti in acqua e capaci di contaminare il pesce di cui questi plantigradi si nutrono.

Lumache e rane dal sesso alterato

Se il quadro non fosse già sufficientemente allarmante, basti sapere che alcuni contaminanti ambientali stanno portando alcune lumache di mare a cambiare sesso. Non dei veri e propri animali transgender, bensì degli “imposex” – così come ribattezzati da Shawn: degli esemplari con accenni di genitali del genere opposto, non funzionali.

A causa delle contaminazioni da TBT – il tributilstagno, una sostanza chimica tossica usata per decenni per impedire lo sviluppo di organismi marini sugli scafi delle grandi navi – sempre più lumache femmine sviluppano piccoli peni e vasi deferenti. E si tratta, come facile intuire, di esemplari sterili.

Nel Midwest degli Stati Uniti, nel frattempo, accade un fenomeno simile: le rane leopardo di sesso maschile presentano testicoli poco sviluppati, ormoni maschili pressoché assenti e caratteristiche femminili. Il tutto a causa dell’esposizione all’atrazina, un erbicida impiegato su mais, soia e altre coltivazioni.

Insetti privi di fertilità e volatili disinteressati all’accoppiamento

Fertilità delle pulcinelle di mare

Le contaminazioni ambientali stanno avendo effetti diretti anche sulla fertilità degli insetti, in particolare quelli impollinatori. Dal 1990 al 2017, negli Stati Uniti si è registrato un calo del 75% degli insetti volanti. A esserne maggiormente colpite sono le api, ma anche le farfalle monarca, calate dell’86% dal 2017 al 2018. I maggiori responsabili sono i pesticidi sintetici, con due modalità distinte: da un lato uccidono questi insetti, dall’altro le dosi non letali che rimangono sulla vegetazione rendono questi esemplari infertili.

Nel frattempo, gli uccelli marini appaiono sempre meno interessati alla riproduzione. Tra il 1999 e il 2005 il numero di pulcinelle di mare si è ridotto del 7% all’anno, sia per habitat sempre meno ospitali che per la mancata formazione di coppie fertili. Di pari passo con la riduzione della fertilità, infatti, è aumentano il numero di coppie stabili di pulcinelle omosessuali, sia maschi che femmine.

Lo stesso fenomeno si osserva tra gli ibis maschi della Florida, dove ormai da decenni si registra un aumento esponenziale delle coppie stabili omosessuali. Mentre per le pulcinelle di mare non si è identificato un vero responsabile, bensì un mix di sostanze, per gli ibis la colpa sarebbe del metilmercurio. Si tratta della forma più tossica di mercurio, agirebbe alterando la produzione di ormoni sessuali, inibendo lo sviluppo genitale e la capacità di riproduzione. La formazione di coppie omosessuali è una conseguenza indiretta: non sentendo la pulsione a riprodursi, questi volatili stringono relazioni fra maschi per collaborare insieme nella ricerca del cibo, poiché più vantaggiose rispetto a legami con le femmine.

Bestiame sotto steroidi e corsi d’acqua invasi dai contraccettivi orali

Infine, non si può non parlare del bestiame orribile, animali – suini, ovini, equini e altri da lavoro o per la produzione di carne – sempre più “pompati” tramite steroidi. In molte parti del mondo viene infatti utilizzato il trenbolone, ovvero uno steroide anabolizzante, per ottenere capi dalla stazza maggiore. Questo ha effetto sulla loro fertilità, rendendoli sterili, ma anche sulla salute dell’uomo: consumando queste carni, ci si espone all’assunzione di pericolosi ormoni.

Nel frattempo, i pesci d’acqua dolce faticano sempre più a riprodursi. La causa? Gli elevati livelli di contraccettivi orali, ormoni e altri farmaci disciolti nei corsi d’acqua, a causa degli scarichi urbani non adeguatamente filtrati.

In definitiva, l’uomo nel danneggiare l’ambiente non ha solo messo un’ipoteca sulla sua fertilità, ma sta influenzando le capacità di sopravvivenza di moltissime specie. E intervenire non è semplice, poiché molte sostanze – si pensi al DDT, vietato negli anni ‘70 e ancora oggi presente in alte concentrazioni nel Mediterraneo – rimangono nell’ambiente per decenni, se non centinaia di anni. Servono però regolamentazioni più stringenti, affinché la situazione non peggiori ulteriormente: tornare indietro è praticamente impossibile, evitare gli stessi errori in futuro è un dovere morale.

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