Se cadranno i dazi tra le due sponde dell’Atlantico l’economia USA ed europea ne trarrarrano enormi vantaggi. Ma c’è un prezzo da pagare per i cittadini europei. O forse no?
Si chiama TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) e rappresenta, se ratificato, la possibilità di libero scambio tra America e paesi europei praticamente senza più dazi e con una regolamentazione comune. E’ un documento forse in dirittura d’arrivo dopo decenni di negoziazioni e di tira e molla determinati dalla politica, dall’economia e da modi di concepire la società in senso lato assai differenti. Negli ultimi anni il TTIP ha subito una forte accelerata dovuta al persistere della crisi (uno stimolo forte per gli europei) e ad Obama che ha una visione abbastanza chiara del commercio estero americano: meno dazi a Est, meno dazi a Ovest. E per farlo è disposto a trattare su punti critici per gli USA.
Le possibilità economiche offerte da un accordo del genere sono enormi. Alcune stime parlano di un incremento di 3-4 punti percentuali soltanto per l’asfittico PIL italiano. Ma, come sempre, bisogna farsi una domanda: in un trattativa come questa si ottiene qualcosa solo in cambio di qualcos’altro. E conosciamo bene il peso delle lobby economiche d’Oltreoceano nelle scelte del loro stesso Governo (non che dalle nostre parti sia troppo diversa la situazione).
D’altronde per aprire le frontiere economiche bisogna in qualche modo creare un’armonia di regole. Pensiamo alle automobili. Un’auto europea pur rispettando tutti gli standard UE deve subire ulteriori controlli in America prima di avere il via libera alla commercializzazione. E’ uno dei casi in cui gli statunitensi sono più rigidi di noi.
Quello che temo, io come altri che operano nel settore dell’ambiente e della sostenibilità, sono le implicazioni del TTIP in ambito alimentare. E qui si aprono questioni non da poco.
Per esempio, in UE far approvare un prodotto che contenga OGM o anche solo una semente ogm è sempre stato un bagno di sangue burocratico e politico per le multinazionali del settore (per fortuna). Non è un mistero che i cittadini europei non siano amanti delle genetica in campo alimentare. Soltanto 52 ogm sono stati approvati dall’EfsA (European food safety authority) a fronte di centinaia di brevetti presentati per ottenere il permesso alla commercializzazione.
Nonostante esistano anche grandi case europee che producono OGM, sappiamo bene che Cargill e Monsanto con i loro fatturati pesano come nazioni a livello politico.
Che dire poi degli anabolizzanti per il bestiame? In USA sono ancora permessi mentre in Europa sono stati messi al bando da anni. In campo di chimica e di alimentazione in Europa vige il principio di precauzione e quindi nessun prodotto per consumo o uso umano (parliamo anche dei cosmetici, per esempio) non viene immesso sul mercato fino a che non ne viene provata l’innocuità. In America è più forte il principio opposto: fino a che non si dimostra che un prodotto fa male non si ritira dal mercato, spesso quando è un po’ tardi e il danno è fatto….
Sulla base di due filosofie così differenti, abbiamo il diritto di essere preoccupati anche se L’UE giura che la sicurezza degli alimenti non è in discussione e che i parametri europei non sono materia di negoziazione. Certo, per rendere più semplici gli scambi non è scritto nel destino che si debbano abbassare i livelli qualitativi europei o irrigidire il sistema americano e aprire ai mercati agricoli americani non significa farsi invadere da prodotti OGM se l’Efsa, come sembra, manterrà i suoi soliti standard di qualità.
Tuttavia il documento è ben lontano dall’essere concluso. I più ottimisti parlano di un paio di anni, ma chissà quale sarà il pensiero della prossima amministrazione USA in merito? Un ottimo segno è che le trattative siano state desecretate un anno fa e che il TTIP non potrà essere ratificato alla chetichella senza che nessuno se ne accorga, almeno così dovrebbe essere. Vi terrò informati di eventuali novità interessanti!
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