A tavola

Impronta idrica della nostra dieta


Come si dice, l’acqua è vita. E non solo perché senza non esisteremmo, considerando che il corpo umano è costituito per il 75% da acqua, ma anche perché quasi tutto quello che ci circonda non esisterebbe senza acqua. Fondamentale per ogni essere vivente, è l’essenza stessa della vita e non a caso negli ultimi anni l’acqua ha preso il soprannome di “oro blu”, denominazione che rende bene l’idea del fatto che l’acqua sia una risorsa preziosa e limitata, che purtroppo sta cominciando a scarseggiare. È bene quindi essere consapevoli di quanta ne consumiamo, non solo mentre ci laviamo, facciamo la lavatrice o innaffiamo le piante, ma anche del consumo della cosiddetta acqua virtuale, ossia quella quantità di acqua “nascosta” di cui non vediamo direttamente il consumo, ma che è stata comunque utilizzata per produrre ciascuno dei beni e dei servizi che usiamo.

Quindi come calcolare il nostro reale consumo di acqua? Grazie all’impronta idrica, parente stretta dell’impronta ecologica, che ci permette di misurare quanta acqua dolce consumiamo e\o inquiniamo.

In particolare, oggi mi voglio soffermare sull’impronta idrica della nostra dieta, poiché la produzione di cibo rappresenta più di due terzi dell’impronta idrica totale dell’umanità. È di conseguenza importante imparare a conoscere qual è l’impatto ambientale dovuto a quello che mangiamo e regolarci di conseguenza.

Che cosa è l’impronta idrica

Immagine presa dal sito Water Footprint Network

L’impronta idrica (in inglese Water Footprint) è la quantità di acqua dolce utilizzata per produrre beni o servizi e ci aiuta a capire per quali scopi le nostre limitate risorse di acqua dolce vengono consumate e inquinate. Nel suo calcolo viene tenuto conto sia dell’uso diretto che di quello indiretto dell’acqua, considerando tutto l’utilizzo idrico di un processo, prodotto, azienda o settore e includendo il consumo e l’inquinamento idrico durante l’intero ciclo produttivo, dalla catena di fornitura all’utente finale.

L’impronta idrica diretta è l’acqua usata direttamente dalle persone, mentre l’impronta idrica indiretta è la somma delle impronte idriche di tutti i prodotti consumati. Oltra a questa differenza, si può fare un’ulteriore distinzione in 3 componenti:

  • Impronta idrica blu rappresenta il volume di acqua dolce prelevato dalla superficie e dalle falde acquifere, il consumo è per scopi agricoli, industriali e domestici, consumo di acqua che non viene restituito ai bacini idrici;
  • Impronta idrica verde indica l’acqua delle precipitazioni che evapora o traspira dalle piante o dal terreno, questa tipologia è particolarmente rilevante per i prodotti agricoli, orticoli e forestali;
  • Impronta idrica grigia è la quantità di acqua dolce necessaria per diluire il volume di acqua inquinata, in modo tale che la qualità dell’acqua rimanga al di sopra degli standard idrici prefissati.

Come avrete capito, il calcolo dell’impronta idrica include un sacco di fattori e per questo è molto complicato, ma fortunatamente alcuni siti ci vengono in aiuto su questo. Sicuramente il miglior sito di riferimento è il Water Footprint Network, sul quale è possibile trovare un interessante “menù” del consumo dell’acqua dei diversi alimenti, vediamone qualcuno andando per gradi e cercando di capire quali sono i prodotti meno idrovori.

Impronta idrica delle bevande

  • Caffè: per produrre una tazzina di caffè ci vogliono 130 L; ma vi dirò di più, dal 1996 al 2005 i flussi internazionali di acqua relativi al commercio di caffè, sono stati di 85 miliardi di m3/anno, ossia pari al 3,7% del totale di flussi internazionali di acqua relativi al commercio di prodotti agricoli e industriali nel mondo!
  • Thè: considerando il thè nero e considerando che occorrono 3 grammi per una tazza di thè, per produrre una tazza di thè ci vogliono 30 L di acqua; quindi, per produrre una tazza di thè standard (ossia circa 250 ml) sono necessari 120 tazze di uguali dimensioni di acqua.
  • Vino: un bicchiere di vino (125 ml) ha un costo idrico di 110 L; quindi per produrre un litro di vino occorrono 870 L di acqua.
  • Birra: un bicchiere di birra (250 ml) ha un costo idrico di 74 L di acqua; questo significa che per produrre un litro di birra sono necessari 298 L di acqua.

E se già questo vi ha lasciato a bocca aperta, preparatevi per il resto. Ormai lo sappiamo che la carne è tra gli alimenti col più alto impatto ambientale, ma qual è la carne che richiede un minor consumo di acqua?

Impronta idrica delle fonti proteiche

Ovviamente l’impronta idrica della carne dipende fortemente dal sistema di produzione da cui la carne deriva (come pascolo, industriale etc), dalla composizione del mangime e dall’origine del mangime. Come vi ho detto, il consumo di acqua utilizzato per ottenere il prodotto finito è un calcolo molto complesso che tiene in conto tutti i fattori necessari all’ottenimento del prodotto e di conseguenza dipende anche da questi. Per questo è importante segnalare che i consumi riportati fanno riferimento ad un’impronta idrica media globale, il che vuol dire che la maggior parte (ma non tutti) dei prodotti che andiamo a comprare causano questo consumo di acqua.

  • Carne di pollo: 4330 litri/kg;
  • Carne caprina: 5550 litri/kg;
  • Carne suina: 6000 litri/kg;
  • Carne ovina: 10400 litri/kg;
  • Carne bovina: 15400 litri/kg.

Eh già, numeri considerevoli che dovrebbero meritare una riflessione. Ma andiamo avanti, andando ad analizzare l’impronta idrica dell’altra fonte di proteina nella nostra dieta, ossia i legumi.

  • Ceci 4177 litri/kg;
  • Fagioli secchi 5000 litri/kg, contro i 561 litri/kg dei fagioli freschi;
  • Lenticchie 5874 litri/kg;
  • Mandorle con guscio: 8047 litri/kg, contro i 16095 litri/kg delle mandorle già sgusciate;
  • Nocciole 10515 litri/kg;
  • Pistacchi 11363 litri/kg.
  • Noci 11615 litri/kg;
  • Anacardi 14218 litri/kg.

Impronta idrica di frutta e verdura

Come possiamo immaginare i prodotti ortofrutticoli hanno sicuramente un impatto minore rispetto a quelli già citati, ma è comunque importante essere consapevoli di quali sono più idrovori e quali meno.

  • Pompelmo: 506 litri/kg;
  • Arance: 560 litri/kg;
  • Kiwi: 608 litri/kg;
  • Clementina: 748 litri/kg;
  • Banana: 790 litri/kg;
  • Mela: 822 litri/kg;
  • Mirtilli:845 litri/kg;
  • Pesche: 910 litri/kg;
  • Albicocca: 1287 litri/kg;
  • Ciliegie: 1604 litri/kg.
  • Carote: 195 litri/kg;
  • Pomodoro: 214 litri/kg;
  • Cipolle: 272 litri/kg;
  • Broccoli, così come i cavoletti di bruxelles: 285 litri/kg;
  • Cavolfiore: 285 litri/kg;
  • Cetrioli: 353 litri/kg;
  • Melanzane: 362 litri/kg;
  • Piselli: 595 litri/kg.
  • Asparago: 2150 litri/kg;
  • Lattuga: 5520 litri/kg;
  • Peperoncini e peperoni secchi 7365 L/kg, contro quelli freschi che hanno un consumo di 379 litri/kg;
  • Finocchio: 8280 litri/kg.

Consigli utili

A fronte di tutto questo consumo enorme, è facile lasciarsi scoraggiare e sentirsi impotenti, ma proprio per questo mi ritrovo a scrivere queste righe! Perché la consapevolezza è sicuramente la prima arma per fare scelte più responsabili e la seconda è appunto fare scelte migliori, soprattutto sulla nostra tavola. Infatti, ridurre la propria impronta idrica è possibile, partendo da piccoli gesti.

Innanzitutto, è importante cercare di risparmiare acqua già nei gesti del nostro quotidiano e ovviamente stare attenti a quello che compriamo. Ecco quindi i consigli da seguire per scegliere cosa portare in tavola:

  • Preferire i prodotti freschi e di stagione, piuttosto che quelli di serra e trasformati/raffinati perché tendenzialmente hanno bisogno di meno acqua.
  • Non sprecare cibo – ricordiamoci che sprecare cibo significa sprecare anche tutte quelle risorse utilizzate proprio per produrre quel cibo, inclusa l’acqua -.
  • Prediligere i prodotti locali, invece che quelli importati, così riduciamo almeno le emissioni dei trasporti.
  • Adottare una dieta ricca di verdure, legumi, frutta, cereali integrali e carne da pascolo o allevamento bio che hanno decisamente minori consumi.

Buon appetito a basso impatto!

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