Punto di vista

L’AVIS vende il sangue? Ecco come stanno le cose


Quello che c’è da sapere sul sistema sangue

Il web è una risorsa preziosa, ma insidiosa: è difficile distinguere un’informazione arrivata da una voce autorevole, da un’insinuazione paragonabile a una “chiacchiera da bar”. È molto facile lanciare accuse e ai lettori vengono instillati dei dubbi, e faticano poi a capire dove stia la verità.

Anche AVIS, Associazione Volontari Italiani del Sangue, è stata presa di mira: c’è chi li accusa di essere imprenditori, che quello del sangue sia un vero e proprio business, che vendano sacche al miglior offerente, quasi sempre cliniche lussuose, così VIP e ricchi sono sempre al sicuro mentre le persone normali sono costrette a condividere in rete appelli strazianti.

Oggi voglio fare un po’ di chiarezza su tutti questi aspetti e spiegarvi, grazie al Direttore Generale di AVIS Milano Sergio Casartelli, cosa succede alla sacca di sangue raccolta dal donatore e come sta in piedi e funziona AVIS onlus.

LA FILIERA DEL SANGUE

Foto: gazzettadimodena.geolocal.it

Prima di tutto, cerchiamo di capire qual è il lavoro che AVIS (o le altre federazioni come FIDAS o Croce Rossa) deve svolgere.
«Dopo ogni prelievo effettuato dalle associazioni dei donatori, la sacca (identificata con un codice a barre che ne assicuri la tracciabilità) viene portata ai centri trasfusionali degli ospedali pubblici che lavorano il sangue intero donato e separano i vari componenti, globuli rossi, piastrine, plasma, e controllano con gli esami di laboratorio l’idoneità dell’emocomponente. È a questo punto che il singolo emocomponente viene messo a disposizione dei reparti ospedalieri interni oppure delle cliniche private che sono sprovviste di centri trasfusionali.»

Ora capirete che tutto questo iter ha delle spese, sia che venga gestito all’interno dell’ospedale, sia quando richiesto alle associazioni dei donatori: dalle analisi del sangue, ai materiali come sacche e siringhe, alle consegne, al personale che vi lavora, più le spese di gestione delle sedi, come l’affitto e le utenze.

COME STA IN PIEDI UN’ASSOCIAZIONE DI RACCOLTA DEL SANGUE?

Foto: www.quasimezzogiorno.org

AVIS vende il sangue? Non è proprio così: semplicemente ricevono un rimborso dal Sistema Sanitario della Regione per le attività che l’ospedale non è in condizione di svolgere oppure non è in grado di supportare economicamente. Ma chiariamo, non sono le associazioni che fanno i prezzi: «Dal 1990, il sistema del sangue è gestito dalla sanità pubblica. Il valore delle sacche di globuli rossi, plasma e piastrine, viene stabilito a livello nazionale dal Ministero della Salute, sia per l’ospedale pubblico che cede all’esterno l’emocomponente, sia per il rimborso all’associazione per l’attività che le è richiesta.
Uno specifico decreto emana il tariffario a cui le Regioni si devono adeguare per la cessione dell’emocomponente o per contribuire ai costi per la raccolta dell’unità di sangue.»

Quindi, le spese per la donazione del sangue sono a carico delle regioni, che le rimborsano agli ospedali, i quali a loro volta, per la sola parte relativa al servizio di raccolta svolto al posto loro, li riconoscono alle associazioni di donatori; la cifra riconosciuta a queste associazioni, tra l’altro non determinata da loro ma da un decreto, è semplicemente per pagare l’attività che svolgono al posto dei centri trasfusionali degli ospedali. Il Servizio Sanitario così risparmia pure!

D’altra parte, è un’attività che deve in qualche modo essere riconosciuta alle associazioni di donatori: hanno personale dipendente, medici, infermieri, chi si occupa dell’amministrazione, le unità mobili di raccolta sangue, il materiale, i trasporti…

«Addirittura, sugli acquisti l’associazione è tenuta a versare l’IVA, il 22% oggi, che non può nemmeno recuperare perché, a differenza delle aziende profit, il rimborso per attività sanitaria è esente IVA. E qui ci guadagna l’Agenzia delle Entrate, è assolutamente assurdo ma è così.
Per legge, non si può fare attività sanitaria solo con volontari, perché bisogna essere in grado di gestire la regolare attività giornaliera, 360 giorni l’anno, e anche le emergenze; bisogna assegnare l’attività a personale con i titoli previsti dalla legge, applicare contratti di lavoro regolari, remunerare i dipendenti, versare i contributi…» (giustamente, aggiungo, inoltre un sistema così complesso non si potrebbe basare solo su volontari).

«Ad AVIS Milano ad esempio, oltre al rimborso del Servizio Regionale previsto dal decreto, occorrono 300.000 € l’anno per funzionare correttamente. AVIS Milano contiene la perdita grazie al lavoro dei volontari che gestiscono i compiti non sanitari, come la promozione nelle scuole, l’organizzazione di eventi pubblici, i contatti con i donatori. Essendo una onlus, riesce a pareggiare i conti con donazioni da parte di aziende, cittadini, raccolte fondi e i contributi con il 5×1000.»

OCCHIO ALLE TRUFFE

Foto: www.meteoweb.eu

Vi sarà capitato di leggere in rete appelli di presunti amici o famigliari di una persona in fin di vita, che ha bisogno di sangue, e la richiesta di presentarsi all’ospedale “tal dei tali” per fare una donazione e salvarla.
«Mai rispondere o condividere queste catene: sono false notizie, perseguibili penalmente, che mettono solo in difficoltà l’ospedale (pensate il caos di decine di persone che invadono le sale chiedendo di fare una donazione di sangue o le migliaia di telefonate che inondano i centralini del Pronto Soccorso!).
Non funziona così, c’è una rete regionale che si occupa di gestire le richieste e decidere dove mandare le sacche di sangue necessarie; in situazioni di emergenza, come quelle raccontate nelle fake, è il Servizio Regionale a chiedere aiuto alle associazioni di donatori di sangue, non certo a famiglie o a internet.
Questo scambio può avvenire anche al di fuori della regione in caso di necessità.»

 

In conclusione: perché in rete girano continuamente queste notizie che screditano il lavoro di associazioni come AVIS? «Secondo me, oltre alla denigrazione gratuita, è un modo furbo e anche semplice per mettersi a posto la coscienza, trovare una possibile buona scusa per non donare il sangue.»
E invece ce ne sarebbe tanto bisogno: «su 50 milioni di italiani, 28/29 milioni potrebbero tranquillamente essere idonei per età o salute, eppure i donatori sono solo 2 milioni

La legge italiana sostiene la possibilità dell’adesione alle associazioni, perché questo è il modo migliore per organizzare sia la promozione sia la raccolta del sangue, sostenendo le cure e gli interventi chirurgici.

E un consiglio: mai giudicare il lavoro altrui senza conoscere!

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