Punto di vista

Microplastiche in mare: perché fanno male a salute e ambiente


Cosa sono, dove si trovano e cosa si sta facendo per limitarle

Del problema microplastiche si inizia piano piano a parlare sempre di più. Qui su Ecocentrica lo avevamo fatto in “tempi non sospetti”, quando gli allarmi provenivano più che altro dalle varie associazioni ambientaliste, ma finalmente anche istituzioni e cittadini iniziano a prendere coscienza di questo problema che sta avvelenando mari e oceani, insieme alle specie che vi abitano (e prima o poi, ricadrà anche sulla nostra salute).

Abbiamo parlato soprattutto di microgranuli nei cosmetici, perché sono una delle fonti principali e una delle piccole azioni quotidiane che ciascuno di noi può compiere per limitarne la diffusione; nel frattempo però sono stati fatti tantissimi studi volti a dimostrare la loro pericolosità e la loro presenza sempre più massiccia nelle acque di tutto il mondo.

Oggi cerchiamo di fare il punto della situazione: ecco quello che c’è da sapere sulle microplastiche in 5 punti.

COSA SONO LE MICROPLASTICHE?

Foto: www.ecquologia.com

Sono frammenti di plastica chiamati così per la loro dimensione, inferiore ai 5 mm, troppo piccoli per essere filtrati dai sistemi di depurazione delle acque. La plastica ha tempi di degradazione molto lunghi, perciò una volta che queste particelle raggiungono terreni, fiumi e mari, persistono nell’ambiente.

DA COSA SONO CAUSATE?

Foto: www.ecodallecitta.it

Le fonti sono diverse. Quelle primarie sono soprattutto dai prodotti per l’igiene personale, come creme, detergenti e dentifrici con microgranuli; le secondarie derivano dalla frammentazione di oggetti in plastica più grandi, più che altro usa e getta, o i vari imballaggi. Un’altra causa che viene presa poco in considerazione è l’abbigliamento: secondo Greenpeace, un pile lavato in lavatrice rilascia anche 700mila microfibre, e consideriamo che il 50-60% del vestiario è in materiali sintetici come il polietilene.
Il problema comunque è a monte, ovvero la produzione di plastica: aumentata a dismisura negli ultimi 50 anni, nel 2015 ne sono state messe in commercio 300 milioni di tonnellate, e si calcola che almeno 8 milioni finiscano in mare ogni anno.

QUALCHE NUMERO SULLA DIFFUSIONE

Foto: www.greenreport.it

L’Istituto di scienze marine del Cnr di Genova, insieme all’Università Politecnica delle Marche e Greenpeace Italia, ha analizzato campioni di acqua in 19 zone del mar Mediterraneo, da quelle più turistiche e balneari quindi ad alto impatto dell’uomo, a quelle di Aree marine protette, riscontrando livelli di microplastiche paragonabili a quelli dei famosi vortici di plastica dell’oceano Pacifico. Questi i picchi più alti che sono stati rilevati: «Nella stazione di Portici (NA) si trovano valori di microplastiche pari a 3,56 frammenti per metro cubo;  valori non molto inferiori (2,2 frammenti per metro cubo) si trovano anche alle Isole Tremiti. Per avere un’idea di cosa significhino tali valori, immaginiamo di riempire due piscine olimpioniche con l’acqua delle Isole Tremiti e l’acqua di Portici: nella prima ci troveremmo a nuotare in mezzo a 5.500 pezzi e nella seconda in mezzo a 8.900 pezzi di plastica

I RISCHI PER AMBIENTE E SALUTE

Foto: www.ehabitat.it

Il rischio tossicità è dato sia dalla plastica in sé (si tratta pur sempre di polimeri sintetici derivati dal petrolio), sia dai possibili additivi chimici utilizzati durante la produzione. Un esempio di composti molto diffusi sono gli ftalati, contenuti ad esempio nel PVC e in generale nelle plastiche flessibili: pericolosi perché considerati interferenti endocrini, ovvero sostanze in grado di alterare il funzionamento del sistema ormonale.

Foto: www.verdecologia.it

Essendo particelle molto piccole, le microplastiche vengono facilmente ingerite dalle specie marine, entrando così nella catena alimentare e trasportando le sostanze inquinanti. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista internazionale Environmental Pollution, una porzione di cozze può contenere fino a 90 microplastiche! Ma non bisogna guardarsi solo da pesci e molluschi, perché sono diversi gli alimenti contaminati da queste micidiali particelle. Amanti della birra? Potete bervi anche decine di microplastiche con una sola lattina. In 19 campioni di miele provenienti da Italia, Francia, Spagna, Germania e Messico, sono stati ritrovati mediamente 200 frammenti per chilo. Occhio anche al sale da cucina: l’Istituto per la chimica e la biologica dell’ambiente marino tedesco ha analizzato varie confezioni di sale prese al supermercato, e tutti presentavano microplastiche. Un’organizzazione di giornalisti indipendenti americana ha passato in rassegna 259 bottiglie d’acqua di varie marche provenienti da diversi Paesi del mondo: nessun marchio si è salvato, con una presenza media di 10 particelle per litro. Sempre loro, hanno analizzato anche l’acqua di rubinetto e le notizie non sono confortanti; è contaminata da microplastiche l’83% dell’acqua potabile al mondo (la media europea è lievemente inferiore, il 72%, ma pur sempre preoccupante).

Foto: ilsalvagente.it

Quali conseguenze? Esistono studi sui danni per la salute degli organismi marini, dall’aumento della mortalità dei pesci agli effetti sullo sviluppo. In particolare, uno dell’Università di Siena sull’impatto della plastica sui grandi animali come balenottere e squali: l’esposizione a queste sostanze tossiche interferisce con il loro sistema ormonale, che regola crescita, sviluppo, metabolismo e riproduzione. Gli studi di effetti sulla salute umana sono ancora pochi e non esaustivi, si sa che solo che le microplastiche vengono trasportate nei tessuti e qui possono rilasciare le sostanze di cui sono composte; certo è che un’esposizione prolungata e il problema dell’accumulo nel lungo termine dovrebbero destare qualche preoccupazione, visto gli effetti di additivi come gli ftalati.

COME RISOLVERE IL PROBLEMA?

Foto: www.tuttogreen.it

 

La politica italiana ha segnato un bel punto di svolta, con l’emendamento firmato dall’ex Presidente della Commissione Ambiente della Camera, Ermete Realacci, che prevede la messa al bando dei cosmetici contenenti microgranuli dal 1° gennaio 2020. Siamo il primo Paese in Europa a farlo (negli Stati Uniti è vietato già dal 2017), anche se sembra che altri siano pronti a imitarci; è vero che i cosmetici con microplastiche andrebbero vietati ovunque, ma è in Italia che si produce il 60% del make-up a livello mondiale, quindi è certamente un segnale positivo.

Ancora più importante del suo riciclo, è fondamentale ridurre la plastica, di cui siamo i secondi produttori in Europa con 6-7 milioni di tonnellate l’anno. Il problema sono soprattutto gli imballaggi, che solo in 4 casi su 10 vengono riciclati; nella maggior parte si tratta quindi di plastica monouso, che finisce per essere dispersa nell’ambiente.

Come sempre, l’intenzione di questo blog è soprattutto suggerire quello che possiamo fare noi consumatori: non utilizzare cosmetici con microplastiche, preferendo scrub e dentifrici naturali, e non acquistare oggetti in plastica se non necessario, come gli imballaggi e tutti i prodotti usa e getta.

Nel frattempo, speriamo che la ricerca continui e stabilisca con chiarezza l’impatto sulla salute, il modo forse più efficace per eliminare un po’ di plastica dalla nostra vita.

 

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